La democrazia a rischio in Israele e il silenzio palestinese sui crimini di Hamas

Troppe “sinistre” in Europa e negli Stati Uniti stanno dimenticando un punto cruciale del conflitto in corso, denunciato dallo scrittore israeliano David Grossman: “L’occupazione è un crimine, ma bloccare centinaia di civili, bambini, genitori, vecchi e malati e poi passare da uno all’altro per sparargli a sangue freddo, è un crimine più atroce. Anche nella malvagità esiste una gerarchia”.

Paolo Flores d'Arcais

Alcuni giorni fa al Circo Massimo di Roma oltre cinquemila giovani pacifisti partecipavano a un rave party, dodici ore di musica psytrance con dj di fama internazionale (tra cui un francese e un giapponese) e gruppi di pop-punk dal vivo: ballavano, cantavano, sventolavano bandiere arcobaleno, si baciavano. Improvvisamente fanno irruzione bande di terroristi islamici armati di mitra, granate, coltelli, che urlando Allāhu akbar trucidano oltre trecento giovani, alcuni sgozzati come capretti, e ne rapiscono altre centinaia, lasciando sul terreno anche copie del Corano.
Immediata, incondizionata e unanime la condanna delle forze politiche e dell’opinione pubblica. Le sfumature sembrano però diverse: a destra talvolta sembrano prevalere ragioni diplomatiche, a sinistra l’indignazione è massima e la condanna intransigente, i collettivi del Manzoni a Milano e del Mamiani a Roma hanno già occupato le scuole, la facoltà di lettere a Roma è anch’essa occupata dagli studenti di sinistra che espongono uno striscione con la scritta a lettere cubitali “NO AL TERRORISMO ISLAMICO”, e le occupazioni delle facoltà si stanno estendendo a macchia d’olio in tutti il paese. Una manifestazione nazionale con identico striscione su sfondo arcobaleno è già stata indetta per domani da Anpi, Arci, Comunità di Sant’Egidio e tutta la galassia delle associazioni e movimenti per la pace, e ovviamente dalla Cgil: partirà dal Colosseo, sfilerà sotto l’Arco di Tito e si concluderà al Circo Massimo.
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Oltre alle vite barbaramente trucidate, più di un migliaio, compresi bambini anche poco più che lattanti, e vecchi e donne ultraottuagenarie, e le migliaia di feriti, e le centinaia di ostaggi, la strage terrorista di Hamas ha già ottenuto alcuni potenti risultati politici.
Le manifestazioni contro il premier Netanyahu e il suo governo di alleanza con i fondamentalisti religiosi, che da mesi portava in piazza centinaia di migliaia di persone e che stava aprendo brecce nella stessa maggioranza di governo, ovviamente sono congelate. I giornali fanno il loro dovere di informazione e analisi e dunque sottolineano, anche quelli più conservatori, le responsabilità enormi di Netanyahu, ma l’eccidio terroristico mette la sordina a un possibile rovesciamento del governo. Hamas, insomma, ha fatto a Netanyahu il regalo più grande che mai potesse essere immaginato. E Netanyahu ne approfitterà per imporre l’unica politica che è in grado di immaginare: sterminare Hamas a Gaza anche a costo di un eccidio di popolazione civile. Esattamente quanto l’opinione pubblica democratica israeliana chiede di non fare.
Contro Netanyahu si è levata la voce di David Grossman, il grande scrittore che è, dopo la morte di Abraham Yeoshua, la coscienza morale di Israele e dei suoi valori fondativi. Subito dopo l’eccidio terroristico di Hamas ha scritto: “Abbiamo visto trascurare il paese in nome di piccoli interessi, a favore di una politica cinica, meschina, lunatica. Israele paga per essersi lasciata sedurre per anni da una leadership corrotta che l’ha trascinata sempre più in basso; che ha demolito le sue istituzioni giudiziarie, il suo esercito, il sistema scolastico. Che è stata disposta a mettere a repentaglio l’esistenza del paese pur di evitare che il primo ministro finisse in prigione” (riportato su “la Repubblica” del 12 ottobre).

E un altro scrittore israeliano, Dror Mishani, in una tribuna su Le Monde ha posto la domanda retorica (perché la risposta è evidentemente un rotondo NO): “Uccidere a Gaza senza distinzione davvero rafforzerà la sicurezza di Israele a lungo termine? … Perché è evidente che il male causato in questa enclave distrutta e affamata ci tornerà addosso in pieno viso, moltiplicata, tra uno, due, cinque anni”. Non solo in Israele, del resto, perché è più che prevedibile un contagio di atti terroristici “Allāhu akbar” in tutta Europa: il pugnalatore del professore di liceo assassinato l’altro giorno ad Arras, in Francia, troverà emuli ed epigoni.
E tuttavia resta cruciale e tassativo tener fermo quanto sottolinea Grossman, e che invece troppe “sinistre” in Europa e negli Stati Uniti stanno colpevolmente dimenticando: “Non inganniamoci, non facciamo confusione: con tutta la rabbia nei confronti di Netanyahu, dei suoi accoliti e della sua strada, le atrocità di questi giorni non sono state causate da Israele. È stato Hamas a produrle. L’occupazione è un crimine, ma bloccare centinaia di civili, bambini, genitori, vecchi e malati e poi passare da uno all’altro per sparargli a sangue freddo, è un crimine più atroce. Anche nella malvagità esiste una gerarchia”.
Del resto, e non a caso, il regime criminale degli ayatollah in Iran, da un anno scosso dalla manifestazione che hanno fatto seguito al pestaggio a morte di Mahsa Amini da parte della “polizia morale”, viene enormemente rafforzato, visto che tutti sanno che ha contribuito in modo cruciale al raid terroristico di Hamas. Hamas dunque, con la sua mattanza in Israele, regala una potentissima arma di incoraggiamento agli ayatollah e alle loro squadracce “morali” di assassini nelle loro quotidiane angherie contro le donne iraniane.
Infine ci sono due circostanze che non devono mai essere dimenticate.

Netanyahu sta cercando di distruggere la democrazia israeliana e trasformarla in una demokratura a tinta teocratica, ma le forze democratiche in Israele continuano ad essere vive. I consensi per il suo partito, la sua leadership e i suoi alleati fondamentalisti sono crollati. Dunque forse è pessimistica l’ipotesi formulata inizialmente da Grossman: “Israele dopo la guerra sarà molto più di destra, militante e anche razzista”. È invece lecito pensare – e sperare – che finita la fase più drammatica della guerra in corso la coalizione di governo sarà cacciata a furor di popolo e di voti.
Sul versante palestinese, mentre è doveroso non confondere la popolazione con Hamas, sia nella striscia di Gaza che a maggior ragione in Cisgiordania, bisogna sottolineare sempre (sì, sottolineare) che in tali territori non si vede la benché minima manifestazione di pluralismo, non si percepisce nemmeno un alito di dissenso. Qui, come del resto in quasi tutto il mondo islamico di potere, spadroneggia plumbeo il pensiero unico, la morale unica. Qui la minima fronda costa la vita, non parliamo di un libero giornalismo (come nella Russia di Putin e se possibile peggio), qui l’omosessuale conosce la corda dell’impiccagione o deve rifugiarsi nella “entità sionista” per sfuggirla.
E che – seconda circostanza – l’obiettivo dichiarato di Hamas, e di tutti i suoi alleati, dagli Hezbollah all’Isis e all’Iran komeinista, non è “due popoli, due Stati”, ma un solo popolo e un solo Stato, quello palestinese retto da Hamas e dalla sharia, visto che Israele-la-entità-sionista deve essere annientata, eliminata, cancellata. Parola del loro statuto.

ANSA/Laurence Figà-Talamanca



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