La Falange Armata: il terrorismo che abbiamo dimenticato

Nasce a Roma l’associazione dei Familiari delle Vittime della Falange Armata, un gruppo terroristico che Falcone definì “una rete di ‘menti raffinatissime’”.

Rossella Guadagnini

“Mi chiamo Stefano Mormile e sono il fratello di Umberto Mormile, ucciso l’11 aprile 1990 perché testimone scomodo degli incontri illegali che avvenivano nel carcere di Opera, dove faceva l’educatore. Per quell’omicidio, nonostante depistaggi, calunnie e tutto il triste corollario di tecniche inquinanti usato anche per altri eccidi, alla fine sono stati condannati esclusivamente i boss della ‘Ndrangheta Domenico e Antonio Papalia e Franco Coco Trovato, nonché gli esecutori Schettini e Cuzzola”. È la testimonianza di chi, 33 anni fa, ha subito una perdita terribile e ingiusta, denunciando che i mandanti dietro questo delitto non sono stati mai individuati.

Quello di Umberto Mormile fu il primo fatto di sangue rivendicato dalla Falange Armata. Solo di recente le due procure di Reggio Calabria e di Palermo hanno iniziato a indagare su questa associazione terroristica, svelando che dietro non c’erano affatto dei mitomani – come fu detto allora – ma un organizzato progetto eversivo, che dal ‘90 si concluse nel ’94, quando – dopo omicidi e bombe – si è passati dalla Prima alla Seconda Repubblica.

Ma cos’è la Falange Armata? Secondo Giovanni Falcone, che nella sua carriera si è occupato delle indagini su questo gruppo criminale, è “una rete eversivo-terroristica di ‘menti raffinatissime’”. “Grazie all’avvocato Fabio Repici – spiega Mormile – sono state riaperte le indagini sull’omicidio di mio fratello: dopo l’udienza preliminare del 30 novembre scorso, la nuova udienza è stata fissata per il 21 aprile a Milano”.

“Milano – racconta Mormile non ha ancora assunto iniziative in questa direzione, nonostante molti crimini annunciati e rivendicati dalla Falange Armata, siano avvenuti proprio lì. Insieme ad altri Familiari delle Vittime della Falange Armata, abbiamo costituito un’Associazione, con l’obiettivo di spingere gli investigatori ad accertare la verità, a cominciare proprio dal capoluogo lombardo”. La nuova Associazione è stata presentata a Roma, alla Biblioteca Interculturale Cittadini del Mondo (al Tuscolano), per illustrare scopo e iniziative, anche giudiziarie, che sono e saranno intentate. Assieme a Mormile erano presenti – con l’avvocato Repici – l’ex magistrato Giovanni Spinosa, autore di “La Falange Armata” (edito Piemme), Brizio Montinaro, fratello di Antonio ucciso nella strage di Capaci, e in video collegamento da Palermo Roberta Gatani, nipote del giudice Paolo Borsellino, e da Milano Salvatore Borsellino, fratello del magistrato assassinato nel ’92 e fondatore delle Agende Rosse.

Chi sono. “La Falange Armata -ricorda Spinosa- compare per la prima volta l’11 aprile 1990, con una telefonata all’Ansa di Bologna, per rivendicare e giustificare l’assassinio dell’educatore carcerario Umberto Mormile, avvenuta poche ore prima. In realtà, non viene usata ancora la sigla Falange Armata che appare a partire dai comunicati di maggio: all’inizio è la ‘FA carceraria’ e solo dopo alcuni mesi assumerà la dicitura definitiva. Nell’arco temporale di appena 4 anni, mette a punto un migliaio di comunicati, firma e rivendica centinaia di crimini, a seguito dei quali sono state uccise 51 persone innocenti”. Un lungo cammino di sangue. Spinosa ex giudice istruttore e componente della Direzione Distrettuale Antimafia a Bologna, ha condotto inchieste su ‘Ndrangheta, Stidda, sul doping nel ciclismo ed è stato titolare di quella sui crimini della Uno Bianca, consumati in Emilia-Romagna (tra il ‘87 e il ’94) che rientrano in quelli di FA.

Rivendicazioni e indagini parallele. I comunicati e le telefonate sono stati attentamente esaminati, permettendo di selezionare quelle autentiche, provenienti dalla stessa fonte, in virtù del linguaggio e dei codici identificativi utilizzati. Un materiale che ha fornito la mappa e gli obiettivi dell’organizzazione criminale, ordinando cronologicamente la copiosa documentazione prodotta.

I numerosi crimini commessi e rivendicati ufficialmente nel tempo sono stati trattati singolarmente: questo ha fatto sì che FA, svuotata della visione d’insieme, non è stata quasi mai “considerata rilevante nelle indagini”. Con due importanti eccezioni: le inchieste ‘’Ndrangheta stragista’ (la cui sentenza d’appello è arrivata sabato scorso, mentre si presentava l’Associazione delle Vittime della FA, confermando l’ergastolo per i boss Graviano e Filippone) e quella conosciuta come Trattativa stato-mafia. Entrambi i procedimenti hanno infatti attribuito alla FA un ruolo decisivo negli accadimenti, fornendo non solo riscontri concreti sull’effettiva responsabilità dell’organizzazione terroristica, ma svelandone anche la struttura ben articolata.

L’associazione delle Vittime della FA vuole incoraggiare “la ricerca della verità sul ruolo del gruppo criminale, in modo che procuratori e giudici forniscano delle risposte coerenti e si propone di avviare “tutte le azioni lecite e opportune per giungere a conoscere la verità giudiziaria ed anche la verità storica”, conclude l’avvocato Repici.

La domanda è: hanno ragione quei pm e magistrati che hanno stabilito che FA è una organizzazione eversiva responsabile dei crimini che ha rivendicato, o hanno ragione i procuratori e i giudici che l’hanno ritenuta, di volta in volta, una banda di “cialtroni, mitomani, opportunisti, addirittura burloni”? Un interrogativo rappresentato nella sua drammaticità dai familiari di 51 innocenti uccisi in quattro anni cruciali di storia italiana che hanno segnato il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, obiettivo dichiarato del progetto falangista. Dopo di che la Falange si inabissa e scompare.

Foto Wikipedia | autore sconosciuto. Strage Pilastro 4 gennaio 1991



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