La Germania rifiuta il price-cap sul gas e affonda l’unità europea

Con 200 miliardi di finanziamenti e aiuti contro il caro-energia e il no al tetto sul prezzo del gas, Berlino sfida gli altri paesi dell’Ue.

Enrico Grazzini

La Germania sfida gli altri grandi paesi dell’Unione Europea e sembra perfino pronta ad affondare la UE. Il governo tricolore di Olaf Scholz ha deciso di affrontare in pieno isolamento la crisi energetica approvando 200 miliardi di finanziamenti e aiuti contro il caro-energia a favore delle imprese e delle famiglie tedesche; contemporaneamente ha deciso anche di respingere il tetto sul prezzo del gas (price cap) valido per tutta l’Europa proposto da Italia, Francia, Spagna e da altri dodici paesi europei. Così l’Europa esce a pezzi dalla crisi energetica provocata dalla criminale invasione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin. Dunque il governo tedesco guidato da socialdemocratici, verdi e liberali ha deciso: Chacun pour soi, ciascuno per conto suo. La Germania ha abbracciato una politica nazionalistica che va in senso esattamente opposto alle politiche solidaristiche avviate durante la crisi del Covid, quando venne approvato il pacchetto Next Generation UE da 750 miliardi finanziato da obbligazioni comuni europee.

La Germania di Scholz sta affrontando la più grave crisi economica e geopolitica dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, ma, anche dopo avere approvato un pacchetto di 100 miliardi per riarmarsi e contrastare l’aggressività minacciosa di Putin sull’Europa, sembra procedere esclusivamente per conto proprio, ignorando la possibilità di potenziare la UE e l’alleanza con la Francia e l’Italia di fronte alla gravissima crisi comune. Anche sul piano della sicurezza e della difesa. Scholz sembra fidarsi più dell’ombrello atomico degli Stati Uniti piuttosto che di quello francese offerto da Emmanuel Macron.

Sembra quindi che l’invasione di Putin abbia diviso l’Europa più che unirla contro il comune nemico. Nella UE lo scontro sull’energia divampa. Quindici Stati membri della UE in una lettera congiunta inviata martedì 27 settembre al Commissario europeo per l’energia Kadri Simson hanno chiesto che l’Unione Europea imponga un tetto massimo di prezzo a tutte le importazioni di gas dei paesi membri per tenere sotto controllo l’aumento delle bollette energetiche. Attualmente il price cap è valido solo per la Russia, ma ormai dalla Russia, dopo il sabotaggio del North Stream, di gas ne arriva poco o nulla. La lettera è stata firmata da Francia, Italia, Spagna, Belgio, Polonia, Portogallo, Bulgaria, Croazia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Romania, Slovacchia, Slovenia. La Germania (supportata dall’Olanda, dall’Estonia, dal Lussemburgo e dall’Austria) ha respinto la richiesta, che da mesi è avanzata anche dall’attuale premier italiano Mario Draghi. “Non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali, serve solidarietà”, ha avvertito Draghi. Ma la Germania ha tirato dritto. E la Commissione UE ha assecondato (ovviamente) la posizione tedesca.

Non ci sarà un prezzo comune del gas per i paesi della UE. Questo vuole dire che i paesi della UE si faranno concorrenza tra di loro sulle nuove forniture energetiche, e ciò è particolarmente grave perché dalla Russia il gas non arriva praticamente quasi più e perché con il gas si produce buona parte anche dell’elettricità. Chi vince è la Norvegia, divenuta il principale fornitore di gas in Europa.

Per il resto i capi di governo della UE hanno trovato un accordo sul taglio dei consumi, il tetto agli extra ricavi per i produttori di energia elettrica e il “contributo di solidarietà” (cioè una tassazione straordinaria sui profitti) dei produttori di combustibili fossili. Ma il price cap sul gas era la decisione più importante che il governo Scholz ha rifiutato.

Il ministro liberale delle finanze, Christian Lindner è un falco dell’austerità e continua a ribadire che già l’anno prossimo, paradossalmente proprio quando la Germania entrerà prevedibilmente in recessione, verrà ristabilita la norma costituzionale del pareggio di bilancio, provvisoriamente sospesa a causa del coronavirus: “Anche se stiamo creando questo scudo protettivo, la Germania si attiene a una politica fiscale basata sulla stabilità e la sostenibilità” – ha affermato – “Le obbligazioni sovrane tedesche devono rimanere il gold standard (cioè i titoli più sicuri, ndr) nel mondo”.

I 200 miliardi di euro che Lindner e Scholz hanno deciso di investire contro il caro-energia verranno finanziati con nuovi prestiti e verranno distribuiti dal riattivato Fondo di Stabilizzazione Economica (WSF), un organo fuori bilancio pubblico istituito nel 2020 per aiutare le aziende come Lufthansa a sopravvivere nonostante i lockdown e le altre misure di salute pubblica imposte durante il Covid-19.

 

La tattica di Berlino sembra così contenere il debito pubblico ufficiale e mettere invece fuori bilancio i debiti che contrae per sostenere l’economia. In questo modo il governo tedesco punta a attirare i capitali dall’estero e a contenere il costo del debito pubblico tedesco anche e soprattutto a scapito dei partner europei.

Il principale investitore pubblico in Germania è KFW, la banca pubblica di sviluppo (simile alla nostra Cassa Depositi e Prestiti) che è contabilmente fuori dal perimetro di bilancio pubblico, come anche il Fondo di Stabilizzazione Economica che erogherà i 200 miliardi contro il caro-bollette. In tale modo il debito tedesco appare particolarmente basso. Così è facile che i capitali che fuggono dai titoli di stato dei paesi periferici della UE, come l’Italia, migrino verso i titoli di debito della Germania, considerati più sicuri e affidabili, o anche verso il dollaro. Non a caso i titoli italiani di debito pubblico stanno subendo un aumento dello spread (differenziale) con quelli tedeschi. I contribuenti italiani pagheranno più del dovuto il debito pubblico nazionale. In realtà sembra che la Germania si avvantaggi dei problemi degli altri partner della UE.

Eppure l’economia tedesca sta conoscendo la crisi più grave dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi, proprio a causa della deficienza energetica e della sua passata politica filo-russa. Il PIL tedesco è pari a 3.564 miliardi di euro, praticamente il doppio dell’Italia: ma l’economia tedesca sta vivendo una crisi peggiore a quella di Italia e Francia. Secondo le previsioni dell’OECD, l’organizzazione internazionale dei paesi avanzati, quest’anno la Germania crescerà solo dell’1,2% e il prossimo anno decrescerà dello 0,7%. In confronto l’Italia farà rispettivamente il 3,4% e poi, nel 2023, lo 0,4%. Anche la Francia farà meglio della Germania (con 2,5% e 0,6%). Se l’inverno sarà molto rigido, il Pil tedesco potrebbe abbassarsi anche di oltre il 7% nel 2023 rispetto a quest’anno: questo è lo scenario peggiore previsto dai maggiori istituti di ricerca tedeschi.

L’inflazione in Germania corre oltre al 10%, ed è più alta che in Italia e in Francia. Per contrastare il caro-prezzi Lindner preme perché la BCE della francese Christine Lagarde alzi il tasso centrale di interesse e contragga così il credito, i prestiti alle imprese e i mutui per le famiglie, in tutta Europa. L’aumento dei tassi di banca centrale comporta anche l’aumento del costo del debito per i Paesi europei. Così il governo tedesco preme per peggiorare l’austerità in tutta Europa, cercando invece – tramite gli ingenti finanziamenti pubblici previsti all’interno, pari a oltre il 5% del PIL – di mantenere competitiva l’economia tedesca e di conservare la pace sociale in casa propria.

Continuando così non è detto però che la Germania riesca a uscire dalla crisi e a mantenere la sua egemonia su tutta la UE. Anche perché in Italia il nuovo governo di destra Meloni-Salvini-Berlusconi non è certamente molto accondiscendente verso la UE, così come lo erano invece il governo Draghi e i partiti ultra-europeisti della “Agenda Draghi”, cioè il Partito Democratico di Enrico Letta e il partito di centro(destra?) del duo Calenda- Renzi. Si addensano nuvole nerissime sulla UE di Ursula von der Layen. E purtroppo anche sugli italiani!

(credit foto EPA/CLEMENS BILAN)



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