La giustizia tramutata in merce di scambio tra lavoratori pubblici e sindacati
Nella pubblica amministrazione il blocco del turn over, per decenni, ha impedito le nuove assunzioni: venti anni di esubero lavorativo e carenza di risorse umane. Ed oggi persiste l’intento di distruggere le mansioni e creare le famiglie professionali. L'imperativo categorico è livellare, rendere eguale e intercambiabile l'opera e la prestazione lavorativa degli impiegati. Un gravissimo errore, un amaro sotterfugio per bloccare le assunzioni delle giovani eccellenze e le progressioni dei lavoratori più istruiti facendo avanzare i mediani, i diplomati presenti nella P.A., quelli privi di laurea che, con un escamotage, sino al 2025, potranno diventare funzionari.
Evelina Cataldo
La Costituzione fonda la nostra Repubblica sul lavoro. L’Italia riconosce la dignità della persona e l’esercizio lavorativo deve concorrere alla crescita personale e sociale.
Il contratto serve a regolamentare, attivare uno scambio di prestazione equa e legittima, disciplinando anche eventi eccezionali come la malattia, i riposi, i permessi.
L’evoluzione democratica e progressista dei diritti collegati al lavoro ha però visto una battuta di arresto che è iniziata tempo fa, con la cesura storica generata dall’abolizione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori. Sia i partiti di destra che quelli di sinistra non hanno mai tutelato i lavoratori, né hanno mai attuato un piano strategico nazionale per riconoscere e sostenere i lavoratori e le lavoratrici, tanto che lo scenario del lavoro pubblico é debolmente analizzato sia a livello sociologico che sul piano dell’analisi giuridica.
La P.A. non è un mostro elefantiaco come molti evidenziano, i lavoratori italiani sono innanzitutto distinti in ministeriali (funzioni centrali) forze dell’ordine, enti economici, enti locali, Regioni, ASL, enti strumentali.
Alcuni settori sono chiaramente politicizzati, un esempio per tutte: le ASL. La dirigenza, in questo caso, é nominata dalla politica. Non vi è alcun merito ma solo meccanismi poco meritocratici, al nord come al sud. Altri settori, invece, parliamo della P.A. “pura” quella degli statali, non vive affatto di politica ma di vera Amministrazione. Si tratta di strutture dello Stato regolamentate, per l’ingresso, da concorsi pubblici complicati, lunghi e specifici, proprio perché condotti su base nazionale. Si tratta di lavoratori assunti per lo svolgimento di funzioni peculiari in settori strategici dello Stato. Essi possono operare in ogni contesto; in ogni Regione dello Stato italiano.
Si pensi, al riguardo, ai lavoratori della giustizia: un funzionario giudiziario, un cancelliere, un contabile del carcere, un funzionario giuridico pedagogico del dipartimento amministrazione penitenziaria, un funzionario del servizio sociale del dipartimento giustizia minorile, a titolo di esempio. Il blocco del turn over, per decenni, ha impedito le nuove assunzioni in questa parte della pubblica amministrazione: venti anni di esubero lavorativo e carenza di risorse umane. Sino ad arrivare ad oggi, anno 2023. Come avvenne nel non lontano 2009, applicano deroghe e attivano le progressioni verticali. Le proposte dei sindacati sono acconsentite dal governo e avallate dall’alta dirigenza pubblica.
L’intento è distruggere le mansioni e creare le famiglie professionali. L’imperativo categorico è livellare, rendere eguale e intercambiabile l’opera e la prestazione lavorativa degli impiegati.
Un gravissimo errore, un amaro sotterfugio per bloccare le assunzioni delle giovani eccellenze e le progressioni dei lavoratori più istruiti facendo avanzare i mediani, i diplomati presenti nella P.A., quelli privi di laurea che, con un escamotage, sino al 2025, potranno diventare funzionari. Funzionario è chi ricopre un pubblico ufficio esercitando un compito di immediata rilevanza giuridica. Qualcuno potrebbe obiettare che un diploma condito di esperienza equivale a un diploma di laurea. La forma mentis generata dagli studi universitari consente, anche con poca esperienza, di raggiungere risultati eccellenti. Tuttavia, sindacati e Amministrazione decidono di premiare l’anzianità, senza prevedere forme di valutazione legittime ed eque come i titoli culturali posseduti o di nuova acquisizione. Al Belpaese occorre cultura e merito ma bisogna anche adottare modelli innovativi, senza conflitti di interesse, per individuare i più bravi e diligenti. Democrazia non è eguaglianza di ruolo, i ruoli vanno differenziati ed il titolo di studio è un requisito essenziale per l’attribuzione di incarichi rilevanti. Se abbiamo lasciato che persone poco lungimiranti si occupassero di politica, non lasciamo che l’organismo amministrativo viva la stessa sorte.
Evelina Cataldo
*Funzionaria giuridico – pedagogica DAP – criminologa, giudice onorario minorile
CREDITI FOTO Flickr | Sesaab
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