La lezione di Samuel Paty e la sottovalutazione del pericolo islamista

A un anno dall'assassinio del docente, in Francia nessun movimento su larga scala è stato lanciato per difendere la laicità o per mettere in guardia dall’islamismo.

Monica Lanfranco

È passato un anno da quel 16 ottobre 2020 quando in Francia, nei pressi della scuola di Conflans-Sainte-Honorine, hinterland di Parigi, Samuel Paty, 47 anni, insegnante di storia e geografia, viene aggredito da Abdoullakh Anzorov, diciottenne di origine cecena che, con un coltello, gli taglia la gola.

La colpa del docente sarebbe stata quella di aver mostrato in aula, per stimolare il dibattito con la classe sulla libertà di espressione in uno stato laico, le vignette di Charlie Hebdo su Maometto, costate la vita alla redazione del giornale nel gennaio del 2015.

Durante le indagini sull’assassinio di Paty emerse lo strazio di un ulteriore dettaglio: una studentessa di 13 anni aveva dichiarato di essere stata allontanata dall’insegnante, perché aveva polemizzato, durante la discussione in classe. Il presunto atteggiamento discriminatorio era arrivato alle orecchie del padre della ragazza e a quelle di Abdoullakh Anzorov, che per questo aveva programmato l’aggressione mortale; la ragazzina confessò, poco tempo dopo, di aver mentito per coprire la sua assenza dalla scuola, proprio quel giorno. Una serie di coincidenze terribili e inquietanti.

La Francia si prepara dunque a rendere omaggio alla memoria di Paty, la cui vicenda è un drammatico esempio della difficile conciliazione tra indispensabile libertà d’espressione nella critica all’islam e l’ambiguo, pericolosissimo, atteggiamento (diffuso molto negli ambienti della sinistra) che invoca ‘moderazione’ nella critica, confondendo il conflitto con l’offesa, introducendo elementi di censura quando si tocca la religione.

Alla base di questa ‘prudenza’ ci sarebbe la necessità di non dare spazio al razzismo della destra, in Francia incarnata in particolare dai seguaci di Marie Le Pen; una preoccupazione che, però, rischia di diventare un ostacolo nella difesa della laicità nelle istituzioni. Il riferimento d’obbligo è all’ultimo, controverso conflitto in Francia sulla legge contro il separatismo religioso molto malvisto da chi pensa che la critica religiosa sia in automatico odio contro chi crede.

Samuel Paty, indicato dalla sorella come “un purista e un coraggioso insegnante, sempre alla ricerca del miglior modo di far riflettere” sarà ricordato, su indicazione del ministro dell’Istruzione Jean-Michel-Blanquer, in tutte le scuole di Francia con un minuto di silenzio e un’ora di lezione e di scambio su quanto accaduto.

La famiglia di Paty verrà inoltre ricevuta all’Eliseo dal presidente Emmanuel Macron ed un giardino di Parigi, l’attuale Square Painlevé, gli verrà intitolato. Situato in rue des Ecoles il futuro Square Samuel Paty ospita diversi monumenti legati all’insegnamento e alla cultura, come una statua di Montaigne e una lupa capitolina, offerta dal comune di Roma a quello di Parigi per sancire l’antico gemellaggio tra le due capitali. Sabato mattina, 16 ottobre, Eragny-sur-Oise, comune di residenza di Paty inaugurerà un monumento a forma di libro in suo nome e l’Associazione degli insegnanti di storia e geografia (APHG) gli dedicherà una borsa di studio.

Accanto a questi momenti di memoria e di riconoscimento c’è nel paese l’allarme per la sottovalutazione, il silenzio collettivo e la pericolosità dell’impatto e della fascinazione della violenza islamista sul mondo giovanile musulmano: in una intervista all’Express la filosofa e studiosa Elisabeth Badinter afferma che un anno dopo la decapitazione di Samuel Paty nessun movimento su larga scala è stato lanciato per difendere la laicità o per mettere in guardia dall’islamismo in Francia.
Al contrario, secondo Badinter, le giovani generazioni danno la precedenza al valore della ‘tolleranza’ su qualsiasi altro.

Un anno fa la decapitazione di Samuel Paty, afferma nell’intervista, ha causato un’indignazione senza precedenti nel paese, e il mondo laico sperava in una rinnovata energia per la rinascita del senso secolare nel paese.
Ma Badinter nota con angoscia come “la paura ha preso piede in molte aule e, per la preoccupazione di evitare il conflitto, viviamo in una sorta di silenzio. In alcune scuole, in particolare tra gli insegnanti di storia e geografia, visto che devono insegnare contenuti considerati blasfemi e offensivi dall’Islam radicale, la cui ideologia ha già conquistato i genitori e, quindi, i loro figli. Questo non è un fenomeno nuovo. Non solo perché gli insegnanti hanno ora paura di essere aggrediti fisicamente, ma anche perché, in alcune scuole dove l’islamismo ha preso piede, i giovani che li affrontano rendono quasi impossibile insegnare. Mi ha colpito la scoperta che gli alunni possano tapparsi le orecchie in classe per non sentire la musica, con la motivazione che la musica è un peccato nell’Islam. Questo è rifiuto di ascoltare e di conoscere. Come si può insegnare in queste condizioni?”, ha dichiarato senza mezzi termini.

In un dossier uscito di recente su l’Express sull’emergenza islamista in occasione di questo drammatico anniversario c’è un appello a non lasciare soli gli insegnanti nel trasmettere la cittadinanza repubblicana e la rivista AOC ha dato spazio alla docente e autrice di origine musulmana Wahida El Mansour che così scrive, ricordando il sacrificio del collega Paty: “Musulmana, donna, magrebina di prima o seconda generazione, sono soprattutto francese nel cuore e nella ragione attraverso la scuola e per la scuola. Sono francese nel cuore perché amo Olympe de Gouges, Louise Michel, Simone de Beauvoir, Victor Hugo, Jean Jaurès e tutti gli altri che compongono la mia Francia: libertaria, umanista, dreyfusarda, resistente. Francese per ragione perché ho imparato la libertà a scuola. Nel giugno 1989 sono arrivata in Francia attraverso il ricongiungimento familiare. A settembre sono andata a scuola per la prima volta nella mia vita. Ho incontrato due docenti meravigliosi. La prima ha capito che avevo bisogno di un sostegno individuale e mi ha affidato alla sua collega, un’insegnante specializzata. Quest’ultima ha lavorato giorno dopo giorno per insegnarmi a leggere e decifrare la lingua francese con parole, gesti e naturalmente libri. Ho così mosso i primi passi in un mondo in cui oggi, sono convinta, ragione è la parola chiave”. L’eco di questa consapevolezza rimbalza, in occasione dell’anniversario dell’assassinio di Paty, contro la dichiarazione delirante di uno degli autori della strage del Bataclan, Abdeslam, che recentemente ha affermato: “Abbiamo colpito la Francia, ma non c’era nulla di personale”.

 

(credit foto Jeanne Menjoulet from Paris, France, CC BY 2.0 via Wikimedia Commons)



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