La maternità surrogata fuori dal politicamente corretto

Ma lasciatele fare quel che vogliono del proprio corpo, le donne, ricche o povere, e che anzi, se povere, si facciano pagare profumatamente. Così impariamo, noi ricchi, a non fare più figli.

Mauro Barberis

Una stessa questione, la procreazione tramite madre estranea alla coppia, riceve tre nomi diversi: utero in affitto, maternità surrogata, gestazione per altri (GPA). Un bel sintomo del fatto che dietro ci sono problemi grossi come grattacieli: non solo morali, religiosi, politici, psicologici, e così avanti, ma anche concettuali. Questioni abbastanza intricate, comunque, da rendere il tema impenetrabile ai più, e anche da rendere possibile invocare, al proposito, quell’altra nozione equivoca sino al limite dell’autocontraddizione che è il reato universale: come ha fatto la destra di governo alla Camera la settimana scorsa.
Cominciamo allora proprio da “utero in affitto”: espressione usata dalla destra di governo per demonizzare questo tipo di procreazione come “abominevole e aberrante”, per citare la relatrice della legge approvata dalla Camera la settimana scorsa. Rispetto alle altre due espressioni, devo però dire, questa ha almeno il pregio della brutalità. “Utero in affitto”, almeno, evoca la cosa/rosa (Fabrizio De André) nella sua materialità: sia pure isolandola – com’è normale per una destra maschilista che sino a ieri voleva riaprire i bordelli – dalla corporeità complessiva della donna-persona.

Il corpo, utero compreso, è mio e lo gestisco io, dicevano invece le mie amiche femministe d’antan, in tempi infinitamente più liberi o meno ipocriti di questi. Oggi no: una femminista ortodossa non lo direbbe mai. Rivendicare la libertà di affittare il proprio utero, infatti, le sembrerebbe un elogio dello sfruttamento, se non della prostituzione. Così ogni femminista finisce per dividersi, anche entro la propria anima, fra chi trova prioritario rifiutare la schiavizzazione già cattolica del corpo della donna, e chi ritiene più grave lo sfruttamento neoliberista che si avrebbe con l’utero-in-affitto.
Sarà perché sono maschio, e liberale quanto basta per aborrire il politicamente corretto, ma trovo surreale, come dice ormai persino l’onorevole La Russa, questo trapestio femminista intorno alla propria coscienza. Arrivo a dire che lo trovo ancor più irritante della propaganda di destra. Almeno i post-neo-fascisti si capisce cosa vogliono: esibire il proprio potere. Le anime belle politicamente corrette neppure questo; magari ci soffrono pure, invece di farsi una sana risata. Ma per sottrarre queste mie riflessioni ai soliti sospetti, devo aggiungere una constatazione.

Sono almeno due secoli che le idee peggiori nascono a sinistra e poi si trasferiscono più o meno stabilmente a destra. È stato così persino per il socialismo: il nome completo del nazismo, ricordiamo, è nazionalsocialismo. Non parliamo poi del populismo, la mia specialità: l’appello al popolo, originariamente proveniente da sinistra, è ormai definitivamente usato dai truffatori del popolo. Lo stesso temo stia avvenendo per il politicamente corretto. Nato come strumento identitario di minoranze o anche maggioranze – le donne! –, rischia di diventare l’alibi di nuove inquisizioni.
È proprio quanto sta succedendo nel caso, mi sembra. Sono stati i post-neo-fascisti ad appropriarsi dell’argomento femminista dello sfruttamento del corpo delle donne – operaie povere e malpagate (Ivano Fossati) – da parte delle élites occidentali. Tacendo un piccolo particolare: fra i paesi che considerano l’utero-in-affitto perfettamente legale ci sono paesi occidentali e protestanti, come Usa, Regno Unito e Canada, tradizionalmente lacerati da sensi di colpa. Pensate un po’: una volta tanto, siamo noi italiani che sfruttiamo i corpi di donne – non africane, mediorientali o est-europee, come al solito – bensì americane, inglesi e canadesi.

Passando alla seconda espressione, “maternità surrogata”, è utile ricordare – per il 99,9% delle persone, come mia madre novantenne e con la quarta elementare, cui ho vanamente spiegato dove stia il problema – che in Italia la maternità surrogata è (già) vietata, con l’autorevole avallo della Corte costituzionale. Come se fosse una conquista di civiltà spedire all’estero, alla ricerca di uteri stranieri, quanti non possono avere figli nei modi tradizionali. Quando basterebbe aprire e sburocratizzare le adozioni, come suggeriscono sensatamente Chiara Saraceno e Cinzia Sciuto.
Ma siccome evidentemente vietare la maternità surrogata l’avevano già fatto altri e non basta ancora, a una maggioranza ansiosa di prendersi un bel mesetto di ferie, la Camera ha trovato il tempo per dichiarare questo tipo di procreazione “reato universale”: come i crimini contro l’umanità e i genocidi, per intenderci. Sicché, se la legge passerà anche al Senato, una coppia italiana che ricorra all’utero in affitto all’estero, al rientro rischia sino a due anni di reclusione e un milione di multa: per non parlare delle possibili discriminazioni anagrafiche subite dai neonati, rei solo di non essere nati come piace alla Meloni.

Se siete scioccati da tutto questo, però, tranquillizzatevi subito. Secondo i principi del diritto penale internazionale, o se volete secondo la comune opinione dei giuristi, il divieto della maternità surrogata all’estero non è punibile: basta che il reato sia stato commesso in paesi che la considerano lecita. Già parlare di reato universale, del resto, è una follia: un atto costituisce reato, da Beccaria in poi, solo per la legge del paese in cui è stato commesso. Neppure i crimini contro l’umanità fanno eccezione: sono considerati tali, infatti, anche dai paesi che li commettono quotidianamente.
Ma, se le cose stanno così, e vi assicuro che per un giurista stanno così, fatalmente vi chiederete: ma allora a cosa caspita serve una legge che nulla aggiunge alle precedenti? In effetti, se lo deve essere chiesto anche la povera relatrice della legge, mandata avanti dai suoi colleghi maschi, che si è onestamente risposta così. Qualificare la maternità surrogata come reato universale serve solo a mandare segnali, piantare bandierine: in breve, mostrare chi comanda. Anche all’estero: un ordine del giorno della stessa maggioranza impegna il governo a chiedere pronunciamenti altrettanto ridicoli anche all’Onu…

“Maternità surrogata”, a proposito di onestà intellettuale, mi sembra l’espressione meno peggio delle tre qui considerate: anche perché evoca la nozione di maternità. Maternità che è sempre sacra, a parere di quel laico impenitente che resta il sottoscritto: anche quando è compiuta per altri, e persino per ragioni commerciali, come vedremo. Chi siamo noi, direi per ora evocando papa Francesco, per giudicare una donna costretta ad affittare il proprio corpo, e persino una che lo faccia liberamente, non per non andare in prigione, come Sophia Loren in un vecchio film, ma al fine più banale di guadagnarci?
Di fatto, chi è che giudica con il ditino alzato? Di solito, la sinistra femminista e moralmente corretta, che su questioni come queste si scatena, usando una terza espressione vagamente ripugnante: gestazione per altri, peggio ancora GPA, in sigla, come fosse un virus. Ora, passi “per altri”, che già evoca l’abissale estraneità all’utero-in-affitto dei poveri affittanti. Ma pensate a “gestazione”: attività consistente nel farsi ingravidare meccanicamente e poi portare avanti la gravidanza per nove mesi, come da contratto.

Con il concreto rischio – anche per questo la maternità è sacra, e va nominata – che la gestante si affezioni a quel che l’Ave Maria chiama “il frutto del suo seno”: il figlio che porta in grembo, insomma, e che è pur sempre figlio suo. Tanto che dovrebbe essere giuridicamente libera di tenerselo, dico io, certo restituendo i soldi, altrimenti sarebbe una truffa. Questa dovrebbe essere l’unica sanzione umana per quanti – in maggioranza eterosessuali e solo più raramente omosessuali, con buona pace della destra – sono costretti ad affidare a un contratto il proprio sacrosanto bisogno di maternità/paternità.
Chiamiamo questa cosa “gestazione per altri”? Va bene, se proprio insistete nel voler sottolineare, contro qualsiasi solidarietà umana con le persone coinvolte, l’aspetto meccanico e anche commerciale della cosa. Ma, per favore, non parliamo di GPA solidale, come invece ha fatto l’insospettabile radicale Magi: (equa-e-)solidale, cioè non pagata. Con lo stesso retropensiero peloso della destra: non sfruttiamo le donne povere! Ma lo vogliamo lasciar decidere alle donne stesse, che ci mettono il proprio corpo, se farsi sfruttare, e come?

Anzi, non si potrebbe rovesciare l’argomento e ricordare che la coppia italiana costretta a ricorrere alla maternità surrogata estera, perché in Italia è vietata e le adozioni sono inavvicinabili, può essere lei a essere sfruttata dalla gestante-non-solidale? Specie se questa, come mi pare sempre più giusto, alla fine potesse tenersi lei il frutto della gestazione, beninteso dopo essercisi affezionata. Pensarla diversamente, coinvolgere nella stessa condanna morale chi ha bisogno di un figlio e chi glielo fornisce a pagamento, mi sembra un atto di paternalismo.
Paternalismo, sì: con tutte le connotazioni maschiliste che la parola comporta. Con la differenza che qui il paternalismo è esercitato soprattutto da donne femministe ortodosse: sicché dovrebbe chiamarsi, piuttosto, maternalismo. E lascio al lettore/lettrice/* giudicare cosa sia meglio/peggio, se il tradizionale paternalismo maschilista o questo solo relativamente nuovo maternalismo femminista. Apriamo un dibbbattito, con tre b, sul maternalismo? Ma perché no, forse sarebbe meno inutile che discutere sul niente, come s’è fatto in Parlamento e come si continua a fare sui social.

Nel niente ricomprendo anche l’alternativa equa-e-solidale: la maternità surrogata sì però gratis, con al massimo un congruo rimborso spese. Ma stiamo scherzando? Questa mi pare la soluzione più ipocrita di tutte: per non apparire sfruttate, o per non esserlo, non ho capito bene, le donne povere dovrebbero lasciarsi ingravidare gratis. E allora mi verrebbe da dire: ma lasciatele fare quel che vogliono del proprio corpo, le donne, ricche o povere, e che anzi, se povere, si facciano pagare profumatamente. Così impariamo, noi ricchi, a non fare più figli.
Perché il problema, alla fine, è tutto lì: la crisi demografica, direbbe uno statistico, io direi la salvezza di quella stirpe già gloriosa che furono gli italiani. Perché ci tenga tanto non lo so; sono europeista, anzi cittadino del mondo, e poi avrei potuto anche nascere calabrone, scorpione o cactus. Che volete che vi dica? Sono nato non solo umano ma italiano, e mi sono affezionato. E mi chiedo: lo vogliamo salvare, questo popolo disgraziato, dall’imminente estinzione? E allora ricorriamo a tutti i mezzi, politicamente corretti e no, maternità surrogata compresa. E basta ditini alzati: l’anima, quella, ce la salveremo un’altra volta.

CREDITI FOTO Flickr | Banc d’Imatges Infermeres



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