La militarizzazione delle coscienze: la guerra santa di Putin e Kirill

Sotto la guida di Kirill, la Chiesa ortodossa russa è diventata uno dei principali alleati e sostenitori del governo russo e, in particolare, della sua propaganda patriottica ottenendo in cambio il riconoscimento di uno status privilegiato.

Massimo Rubboli

Le immagini in diretta dell’invasione russa dell’Ucraina, che ci hanno lasciati sgomenti e inorriditi, sono state così drammatiche da attirare tutta la nostra attenzione sulle centinaia di morti e migliaia di profughi. I carri armati dell’esercito russo, che travolgevano persone e cose schiacciando i princìpi del diritto internazionale e dell’autodeterminazione dei popoli, hanno fatto dimenticare altri aspetti di questa guerra, come la fornitura di armi dall’Italia alla Federazione russa, in violazione dell’embargo deciso dal Consiglio europeo dopo l’invasione della Crimea, o la violenza sulle donne, che ricorda gli stupri etnici delle milizie paramilitari serbe in Bosnia. Un aspetto rimasto ai margini dei commenti è quello della dimensione religiosa, legata in particolare alla tradizione cristiana dominante, cioè l’ortodossia, con la quale si identifica il 71% dei russi e il 78% degli ucraini[1]. Il cristianesimo ortodosso, quindi, è un importante fattore culturale per entrambi i popoli.

La dimensione religiosa

Vale pena ricordare che negli ultimi due decenni la posizione della Chiesa ortodossa russa ha subìto una profonda trasformazione, che l’ha portata ad assumere un ruolo sempre più importante nella vita pubblica e a esercitare una profonda influenza nella società russa. Il cambiamento – dal rifiuto di un coinvolgimento della Chiesa in politica di Alessio (Alexsej) II, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, alla collaborazione sempre più stretta con lo Stato con il patriarca Cirillo (Kirill) I, intronizzato nel gennaio 2009 – non ha seguito un percorso lineare ma il risultato è inequivocabile.

Cirillo, in realtà, raccolse l’invito a potenziare la «cooperazione della Chiesa con la Stato e la società civile, anche nel campo del miglioramento delle leggi» rivolto da Alessio pochi mesi prima della sua morte al Concilio dei vescovi[2]. Sotto la sua energica guida, la Chiesa ortodossa russa è diventata uno dei principali alleati e sostenitori del governo russo e, in particolare, della sua propaganda patriottica ottenendo in cambio il riconoscimento di uno status privilegiato.

Da strumento nelle mani dello Stato, come fu sotto Stalin e durante la II guerra mondiale[3], la Chiesa ortodossa russa è arrivata a essere un agente autonomo e indipendente, la cui influenza si fa sentire in aree diverse come l’istruzione pubblica e le forze armate. Essa ha anche svolto un ruolo centrale nella reinterpretazione della memoria storica che, a partire dalla riabilitazione degli zar, presenta le rivoluzioni del febbraio e ottobre 1917 come una «tragedia nazionale russa»[4] e investe di simbolismo religioso siti storici come i lager staliniani[5].

Inoltre, il patriarca Cirillo ha voluto e ottenuto il riferimento a Dio nella revisione costituzionale approvata mediante referendum popolare del 1° luglio 2020 e vigente dal successivo 4 luglio[6]. La maggioranza dei commenti si è soffermata sulla cancellazione del vincolo dei due mandati che permetterà a Putin di restare al potere fino al 2036 e ha trascurato la dimensione valoriale composta da “Dio, patria e famiglia”, che riserva una posizione di privilegio alla Chiesa ortodossa e, praticamente, reintroduce il legame bizantino tra Chiesa e Impero[7]. Come ha osservato Giovanni Codevilla, uno dei principali studiosi di storia delle relazioni tra Chiesa e Stato nell’Europa Orientale, «si rinnova tacitamente in tal modo tra il patriarca e il presidente quel contratto a prestazioni corrispettive che è tipico del giurisdizionalismo: da un lato il patriarca garantisce la legittimazione della sovranità dello Stato e dall’altro Putin concede una posizione privilegiata alla Chiesa»[8].

Per quanto riguarda il campo dell’istruzione pubblica, i tentativi di introdurre l’insegnamento della tradizione religiosa ortodossa che non avevano avuto successo fino al 2008 ebbero un esito positivo durante la presidenza Medvedev[9] quando, con un decreto governativo del gennaio 2012, la Federazione russa reintrodusse l’insegnamento religioso con il curriculum “Fondamenti della cultura ortodossa”[10]. Questo curriculum è centrato sull’educazione patriottica, che si fonda su tre elementi: la riabilitazione dei simboli della madrepatria e della memoria storica, la centralità della tradizione religiosa ortodossa e lo sviluppo di un patriottismo militarizzato che guarda con nostalgia al passato sovietico.

L’avvicinamento della Chiesa alle forze armate, condotto sotto lo slogan “L’esercito è sempre spirituale”, ha portato nel 2009 all’introduzione del ruolo del cappellano militare. La giustificazione della militarizzazione dell’educazione patriottica si basa sull’affermazione che la Chiesa ha sempre benedetto i cristiani che combattono in una “guerra giusta”, cioè in difesa della madrepatria; inoltre, come ha affermato il patriarca Cirillo, «il credente sacrifica la sua vita più facilmente del non credente, perché sa che la vita umana non finisce con la fine di questa vita»[11].

La legittimazione della guerra in difesa della madrepatria, identificata con la Madre Russia, comporta anche il sostegno delle operazioni militari russe all’estero. Ad esempio, la partecipazione dei militari russi alla guerra in Siria è stata descritta da Cirillo come una «missione storica»[12] in una guerra giusta e difensiva[13].

Le prese di posizione ultraconservatrici del patriarca di Mosca nel campo dei diritti umani lo hanno spesso portato a entrare in conflitto con il patriarca greco ortodosso di Costantinopoli su questioni riguardanti l’Ucraina e l’Europa occidentale, affiancandosi così alla sempre più aggressiva politica estera sella Russia nei confronti di questi Paesi.

Scisma ortodosso del 2018

Lo scontro con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, che risale al 2014 con l’occupazione russa della Crimea, arrivò a una rottura delle relazioni tra il patriarca di Mosca e il patriarca ecumenico Bartolomeo I alla fine del 2018, quando il cosiddetto Concilio di riconciliazione, riunito nella Basilica di Santa Sofia, portò a una riunificazione tra la Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Kiev e la Chiesa ortodossa autocefala ucraina. Epifanio fu eletto primate della nuova Chiesa nazionale ortodossa; il 6 gennaio 2019, il Patriarcato di Costantinopoli con il tomos dell’autocefalia[14], cioè il principio di autodeterminazione e di vera e propria indipendenza, attribuì al primate ucraino il titolo di metropolita di Kiev e di tutta l’Ucraina. Il presidente ucraino Petro Porošenko diede l’annuncio alla nazione, con toni solenni: «Questo giorno resterà nella storia come il sacro giorno della creazione della Chiesa ortodossa locale autocefala di Ucraina, il giorno in cui finalmente riceviamo la nostra indipendenza dalla Russia». Il Patriarcato di Mosca dichiarò «scismatica» la nuova Chiesa ortodossa ucraina e riconobbe come autentiche chiese ortodosse soltanto quelle rimaste fedeli a Mosca. Per Cirillo si trattò di una pesante sconfitta, con una perdita di territorio, numero di fedeli e autorevolezza sul piano internazionale.

Oggi, la posta in gioco è alta perché la guerra lanciata da Putin per riaffermare l’influenza russa nella regione è anche uno scontro sul futuro delle Chiese ortodosse russe e ucraine. La Chiesa russa non ha nascosto di ambire a unire tutte le chiese sotto il patriarcato di Mosca, per controllare così anche luoghi sacri dell’ortodossia, come il Monastero delle grotte, fondato nel 1051 dai monaci Antonio e Teodosio, che sovrasta Kiev, e milioni di credenti in Ucraina.

Divisioni nel fronte ortodosso

Non deve quindi sorprendere la diversa reazione delle Chiese ortodosse russe e ucraine all’aggressione voluta da Putin. Dopo che il presidente Putin aveva annunciato la «speciale operazione militare» contro l’Ucraina, Cirillo è rimasto in silenzio; poi, ha inviato un blando messaggio a tutti i fedeli della Chiesa ortodossa russa, invitando le parti coinvolte nel conflitto a «fare il possibile per evitare perdite tra la popolazione civile», assistere i rifugiati e i bisognosi d’aiuto. Non solo non ha chiesto esplicitamente la fine delle operazioni militari, ma ha anche sostanzialmente avallato le giustificazioni storiche e ideologiche dell’invasione usate da Putin nei suoi ultimi interventi. Difficile non riconoscere che Cirillo ha reso la Chiesa un agente del potere politico; come ha scritto Sergei Chapnin, «oggi è del tutto evidente che Cirillo non è pronto a difendere il suo gregge – né il popolo dell’Ucraina né quello della Russia – contro l’aggressivo regime di Putin. La sofferenza umana non è una delle sue priorità»[15].

Al contrario di Cirillo, le due principali Chiese ortodosse ucraine si sono opposte apertamente all’invasione: Onufrio, metropolita di Kiev e primate della Chiesa ortodossa ucraina fedele a Mosca, e Epifanio I hanno entrambi chiesto a Putin di porre fine alla guerra.

Onufrio ha paragonato l’invasione russa all’omicidio di Abele da parte di Caino, affermando che, «purtroppo, la Russia ha iniziato azioni militari contro l’Ucraina: in questo momento fatidico vi prego di non farvi prendere dal panico, di essere coraggiosi, di dimostrare amore per la patria e amore vicendevole. In questo momento tragico, esprimiamo amore speciale per i nostri soldati, posti a guardia, protezione e difesa della nostra terra e del nostro popolo». Il 2 marzo, a Kharkiv, anche la chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca è stata in parte distrutta[16].

Domenica 27 febbraio, in un sermone teletrasmesso, il metropolita Epifanio ha esplicitamente sostenuto la resistenza, senza specificare se armata o nonviolenta: «Cari fratelli e sorelle, preghiamo e agiamo! Il nostro eroico popolo sta difendendoci dall’attacco della Russia, che sta gettando i suoi soldati e le sue armi sui nostri villaggi e le nostre città, e ogni ora della nostra resistenza motiva sempre più persone nel mondo a sostenere l’Ucraina»[17].

La resistenza disarmata

Nonostante la militarizzazione delle coscienze, indotta con il contributo fondamentale della Chiesa ortodossa russa, la dura repressione di ogni forma di dissenso (il 4 marzo la Duma ha approvato una legge che prevede fino a 15 anni di detenzione per chi diffonde notizie diverse dalle versioni ufficiali sulle “operazioni militari” in Ucraina diffuse dal Ministero della Difesa) e la martellante propaganda di Stato, che presenta l’aggressione come una difesa nei confronti della minaccia rappresentata dall’Ucraina e dai Paesi occidentali, la protesta contro la guerra esiste. Se il regime ha messo il bavaglio alla radio Eco di Mosca e al canale tv Dozhd e blocca Facebook, Twitter, BBC e Deutsche Welle per aver diffuso “false informazioni” sulla guerra, altre voci si fanno sentire.

In disaccordo con la posizione del patriarca Cirillo, all’interno della Chiesa ortodossa russa è emerso un piccolo ma significativo dissenso: un gruppo di 233 sacerdoti e diaconi (altre firme si stanno aggiungendo) ha sottoscritto un appello che definisce la guerra “fratricida” e invita al cessate il fuoco: «Piangiamo il calvario a cui i nostri fratelli e sorelle in Ucraina sono stati immeritatamente sottoposti. […] Ci rattrista pensare all’abisso che i nostri figli e nipoti in Russia e Ucraina dovranno colmare per ricominciare a essere amici, a rispettarsi e ad amarsi […]». In attesa della prossima Domenica del Perdono, il documento ricorda che «le porte del cielo saranno aperte a tutti, anche a coloro che hanno peccato pesantemente, se chiederanno perdono a coloro che hanno disprezzato, insultato o ucciso per mano loro o per loro volere» e che «nessun appello non violento per la pace e la fine della guerra dovrebbe essere respinto con la forza e considerato come una violazione della legge, perché questo è il comandamento divino: Beati gli operatori di pace». L’appello si conclude con un invito al dialogo, perché «solo la capacità di ascoltare l’altro può dare la speranza di una via d’uscita dall’abisso in cui i nostri Paesi sono stati gettati in pochi giorni»[18].

In una lettera aperta apparsa sul sito web di una piccola casa editrice di San Pietroburgo, un gruppo di pastori battisti e pentecostali russi, appartenenti all’All-Ukrainian Union of Churches of Evangelical Christian-Baptists, ha affermato: «È arrivato il momento nel quale ognuno di noi deve chiamare le cose con il loro vero nome, quando siamo ancora in tempo a sfuggire alla punizione dall’alto e a prevenire il collasso del nostro Paese. Chiediamo alle autorità del nostro Paese di fermare questo insensato spargimento di sangue»[19]. Il documento contiene anche riferimenti biblici, come quello al racconto del fratricidio commesso da Caino contro Abele e al testo di Geremia 18: 7-8: «Talvolta nei riguardi di un popolo o di un regno io decido di sradicare, di abbattere e di distruggere; ma se questo popolo, contro il quale avevo parlato, si converte dalla sua malvagità, io mi pento del male che avevo pensato di fargli».

Anche dal fronte cattolico si sono levate voci autorevoli per invocare la fine immediata della guerra in Ucraina, a partire da quella di papa Francesco. Il 2 marzo, l’arcivescovo Stanislaw Gądecki, presidente della Conferenza episcopale polacca, ha inviato una lettera al patriarca di Mosca: «Ti prego, Fratello, di fare appello a Vladimir Putin, affinché termini l’insensata lotta col popolo ucraino, nella quale stanno morendo persone innocenti, e la sofferenza non riguarda solo i militari, ma anche i civili, soprattutto donne e bambini»[20]. La risposta di Cirillo ha lasciato sbalorditi e profondamente turbati.

“Giusto combattere, è una guerra contro la lobby gay”

Di fronte alle richieste dei pastori protestanti e dei preti cattolici e ortodossi che lo richiamavano alla fedeltà al Vangelo della pace e a pronunciarsi chiaramente contro l’aggressione, in un sermone pronunciato il 6 marzo, Domenica del Perdono, nella Cattedrale di Cristo Salvatore di Mosca, il patriarca Cirillo ha giustificato la guerra, vista come una difesa dei valori della tradizione cristiana dall’attacco della lobby gay.

Mentre a Roma il patriarca cattolico denunciava nuovamente la «pazzia» e «crudeltà» della guerra contro l’Ucraina, a Mosca il patriarca ortodosso, alleato di Putin, legittimava l’intervento militare con la necessità di lottare contro i modelli di vita promossi dalle parate gay: «Tutto ciò che dico non ha solo un significato teorico e spirituale. Intorno a questo argomento oggi c’è una vera guerra»[21].

Credit foto: ANSA EPA/MIKHAIL METZEL / KREMLIN / POOL MANDATORY CREDIT

[1] Le origini risalgono al 988 con la conversione al cristianesimo del Gran Principe Vladimir, che governò la Rus’ di Kiev dal 980 al 1015. Nel 988, Vladimir fu battezzato da missionari provenienti da Costantinopoli, allora capitale dell’impero bizantino.
[2] Regno-attualità, n. 22, 2008, p. 733.
[3] Cfr. Adriano Roccucci, Stalin e il patriarca. La Chiesa ortodossa e il potere sovietico, Einaudi, 2011.
[4] Marlène Laruelle, “Commemorating 1917 in Russia: Ambivalent State History Policy and the Church’s Conquest of the History Market”, Europe-Asia Studies, 71 (2) 2019, pp. 249-267.
[5] Zuzanna Bogumił, Dominique Moran, Elly Harrowell, “Sacred or Secular? ‘Memorial’, the Russian Orthodox Church, and the Contested Commemoration of Soviet Repressions”, Europe-Asia Studies, 67 (9) 2015, pp. 1416-1444.
[6] Per un’analisi della revisione costituzionale, si vedano i contributi di Giulia Lami, Angela Di Gregorio, Mario Ganino, Ilmira Galimova, Veronika Nikitina, Giovanni Codevilla e Alessandro Vitale in Nuovi Autoritarismi e Democrazie: Diritto, Istituzioni, Società, 2020, n. 1, pp. 133-257.
[7] Su questo tema, si veda Giovanni Codevilla, Chiesa e Impero in Russia. Dalla Rus’ di Kiev alla Federazione Russa, Jaca Book, 2011.
[8] Cit. in Cristina Carpinelli, “La ‘nuova’ Costituzione russa e il suo codice di civiltà”, Nuovi Autoritarismi e Democrazie: Diritto, Istituzioni, Società, 2021, n. 1, pp. 67.
[9] Dmitry Medvedev, “Speech at the Joint Session on Cooperation between the State Authorities and Religious Organizations”, 11marzo, 2009, disponibile al seguente link: http://en.kremlin.ru/events/president/transcripts/3403.
[10] Cfr. Giovanni Codevilla, Lo zar e il patriarca. I rapporti tra trono e altare in Russia dalle origini ai giorni nostri, La Casa di Matriona, 2008, p. 423 ss.
[11] Kirill, “The Patriarch’s Address to the Attendants at the WW II Memorial”, 11 settembre 2011, bit.ly/3tGrWwN; cfr. Alicja Curanović, The Sense of Mission in Russian Foreign Policy: Destined for Greatness!, Routledge, 2021.
[12] Ria Novosti, “The Church Considers the Verdict on Sokolovskiy to Be Humanistic”, 11 maggio 2017, bit.ly/3J1uxrI.
[13] Rossija 24, “The Christmas Speech of the Patriarch Kirill”, 7 gennaio 2016, bit.ly/3HWKii0.
[14] Vittorio Parlato, “L’autocefalia della chiesa ortodossa ucraina, interpretazioni dottrinali e strutture ecclesiali a confronto”, Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 7, 2019, bit.ly/3hTqhOU.
[15] Sergei Chapnin, “Patriarch Kirill and Vladimir Putin’s Two Wars”, Public Orthodoxy, bit.ly/3j2vvpc.
[16] Federico Piana, “Dall’inferno di Kharkiv: ‘Colpiti uffici di curia e la chiesa ortodossa russa’”, Vatican News, 3 marzo 2022, bit.ly/3sZ6tA5.
[17] Andrew E. Kramer, “Also at Stake in Ukraine: the Future of Two Orthodox Churches”, The New York Times, 2 marzo 2022, nyti.ms/3sXwT4Z.
[18] Andrea De Angelis, “I sacerdoti ortodossi russi: nessun appello alla pace dovrebbe essere respinto”, Vatican News, 2 marzo 2022, bit.ly/3MxWOYS.
[19] Jayson Casper, “Hundreds of Russian Pastors Oppose War in Ukraine”, Christianity Today, 3 marzo 2022, bit.ly/3Ctw732.
[20]Gądecki scrive al Patriarca Kirill, chiedi a Putin di far smettere la guerra”, ACI Stampa, 2 marzo 2022, bit.ly/3J5oUbS.
[21] Stralci del sermone sono stati diffusi dalle agenzie giornalistiche. Una traduzione integrale è disponibile sul sito Bitter Winter al seguente link bit.ly/3tNdenO.



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