La nascita di Fratelli d’Italia

Un estratto dal libro inchiesta "La Meloni segreta".

Andrea Palladino

La profonda crisi del 2011 era nell’aria da tempo. Il 29 luglio 2010 l’ufficio di presidenza del Popolo delle libertà – organismo dove era presente anche Giorgia Meloni – aveva elaborato un documento di sfiducia nei confronti di Gianfranco Fini, con l’adesione della maggioranza assoluta dei componenti (votarono contro solo i tre fedelissimi colonnelli Adolfo Urso, Pasquale Viespoli e Andrea Ronchi), in un passaggio che preannunciava una scissione traumatica. La decisione dei vertici del partito fondato da Silvio Berlusconi aveva decretato di fatto l’espulsione del fondatore di Alleanza nazionale dal PDL, che è arrivata, puntuale, subito dopo. Il passo successivo sancì la rottura definitiva: il 30 luglio Fini fonda il gruppo parlamentare di Futuro e Libertà, con 34 deputati e 10 senatori. Giorgia Meloni – e il gruppo a lei più vicino – rimane nel Partito del le libertà allontanandosi definitivamente da Gianfranco Fini, il segretario che l’aveva voluta prima a capo di Azione giovani e poi vicepresidente della Camera.
La prima mossa del neonato partito Futuro e Libertà fu la ratifica della crisi di governo, con la richiesta delle dimissioni di Silvio Berlusconi; l’esecutivo riuscì a salvarsi, tra l’altro, grazie anche al passo indietro di Silvano Moffa (considerato anche lui un fedelissimo di Fini), che votò a favore del governo. L’esecutivo durerà però poco, nonostante la maggioranza fosse ancora saldamente controllata dal premier.

L’esperienza di Alleanza nazionale, iniziata a Fiuggi quindici anni prima, era definitivamente archiviata. Per la destra italiana è un momento di sbandamento, con la componente storica missina di fatto divisa tra gli alleati fedelissimi di Berlusconi e Gianfranco Fini, destinato – come è noto – ad un rapido declino. La sua figura già da tempo era ritenuta ingombrante per gli eredi del post-fascismo di Almirante e Romualdi. Nei giorni tumultuosi del luglio 2010 sul quotidiano «Il Giornale», controllato dalla famiglia Berlusconi, esce l’inchiesta sulla casa di Montecarlo, l’immobile donato alla fondazione Alleanza nazionale la cui vi- cenda della vendita travolse la famiglia di Gianfranco Fini. La vera rottura con la base del partito divenne evidente il 5 novembre 2012, quando Fini venne duramente contestato e fischiato durante i funerali di Pino Rauti, l’anima storica di Ordine nuovo e della destra sociale da cui si è dovuto allontanare. La scelta del fondatore di Alleanza nazionale di tagliare i ponti con l’eredità missina fu, in realtà, la principale colpa attribuita a Fini: «Errori politici commessi fin dalla metà degli anni Novanta» ha spiegato Maurizio Gasparri il 28 luglio 2020, «in tema di immigrati, unioni gay, liti permanenti nel centro-destra, scelte interne nella classe dirigente. La vicenda della casa è grave, ma i danni politici sono stati di gran lunga superiori, danni catastrofici e autolesionistici».

Da che parte si era schierata Giorgia Meloni appare chiaro ascoltando le sue parole pronunciate nella giornata conclusiva del congresso nazionale de La Destra, il 13 novembre 2011, quando il giorno successivo le dimissioni di Silvio Berlusconi la ministra della Gioventù decise di intervenire, con piglio da pasionaria, nel luogo dei nostalgici missini:
“Per me è un onore partecipare al vostro congresso e perché in giornate come queste è inutile dire che siete una straordinaria boccata d’ossigeno. Sono giornate nelle quali si rischia di perdere il senso del proprio impegno politico, stretti come siamo tra le pressioni dei mercati, le debolezze di qualcuno, i nostri principi più profondi, le questioni legate alla sovranità e alla democrazia. Nei giorni in cui i poteri forti, che ormai governano l’Europa e non più solamente l’Italia, riescono finalmente ad abbattere il loro antico nemico Silvio Berlusconi, io penso che noi dobbiamo avere il coraggio di dirci le cose come stanno. Stanno accadendo delle cose che francamente non avremmo mai voluto vedere e perché a me fanno molta tristezza quelli che si riempiono la bocca con concetti tipo sovranità nazionale, interesse della patria, tutela dei più deboli, e poi pur di restare in Parlamento sono pronti a governare con chiunque e approvare qualunque cosa il duo franco-tedesco imponga loro di approvare. Io non ho fatto vent’anni di politica per mettermi in fila dietro ad un banchiere scelto dai mercati”.

Il riferimento era a Mario Monti, il nuovo premier incaricato dal Presidente della Repubblica come successore al dimissionario Silvio Berlusconi. Il discorso prosegue guardando negli occhi la platea, composta dalla parte più legata al post-fascismo erede del Movimento sociale italiano, cercando le corde giuste per una sintonia. Un argine sembra essersi rotto:
“In questi anni ho capito che i sacrifici di quelli che per sventolare una bandiera tricolore sono finiti in un ghetto o in un cimitero non sono stati vani […] Sta cominciando una nuova storia, tutta da scrivere, so per certo in quale parte del campo mi trovo, e cioè con la mia gente e non a fare inciuci con personaggi del calibro di Furio Colombo, con il popolo e non con le banche, con gli interessi dell’Italia e non gli interessi di Francia e Germania. Mi troverete come sempre a destra, perché oggi come ieri il mio obiettivo, il mio impegno resta quello di dare una voce e una rappresentanza ad un mondo che non può restare sottotraccia. Oggi come ieri è necessario che sia visibile e audace in Italia un vero e moderno conservatorismo, e cioè conservazione per terra, spirito e tradizione. Non è dissimile alla vocazione che avete voi, per le ragioni della vostra fondazione sono chiari gli strappi che si erano consumati dentro Alleanza nazionale. Voglio dire a voi, a Francesco Storace, a Teodoro Bontempo che ci saremo ancora […] e spero che si sviluppino le condizioni per vederci di nuovo uniti”.

Quel discorso fu una sorta di linea tracciata per il futuro cammino di Giorgia Meloni e del gruppo più vicino a lei nel Partito delle libertà, dopo l’uscita di Gianfranco Fini e la caduta del governo Berlusconi. Passano pochi mesi e matura la nascita di Fratelli d’Italia.
Il 28 dicembre 2012, davanti al notaio romano Camillo Ungari Trasatti, Guido Crosetto, Ignazio La Russa e Giorgia Meloni fondano l’associazione «Fratelli d’Italia Centrodestra nazionale». La prima sede è in via Giovanbattista Vico, a pochi passi da piazza del Popolo, il luogo storico dei comizi di Giorgio Almirante. Unisce tre anime: quella di Crosetto, che veniva dalla militanza giovanile nella Democrazia cristiana, passato poi a Forza Italia alla fine degli anni Novanta; quella dello storico «colonnello» di Alleanza nazionale Ignazio La Russa, il quadro dirigente di Destra protagonista che fin dal 2004 aveva puntato le carte, insieme a Maurizio Gasparri, su Giorgia Meloni. E poi lei, la giovane leader espressione della destra profonda, culturalmente legata all’eredità del Fronte della gioventù romano, la «rautiana» che aveva saputo unire il conservatorismo liberista berlusconiano alla cultura politica post-fascista della Roma degli anni Novanta, cresciuta sulle pagine di Tolkien ed Ernst Jünger, con il mito delle comunità organiche giovanili. Orgogliosa del ghetto, del «passaggio al bosco», profondamente nemica dell’antifascismo, colonna portante della Repubblica italiana nata dalla Resistenza. Giorgia Meloni non ha mai avuto, probabilmente, i busti o le immagini di Mussolini in casa, come La Russa, ma conosce quei simboli e quella retorica che ha nutrito almeno due generazioni nate dalla destra radicale degli anni Settanta. Se tuttavia non è certa la sua adorazione per il Duce – le posizioni di Giorgia Meloni nei suoi confronti sono state pubblicamente sempre controllate – un vecchio video del 1996, riemerso nell’agosto del 2022 e diventato virale, la mostra giovanissima definire Mussolini un «bravo politico». Il sito Loopinsider, che lo ha diffuso, ha inserito la clip in un video più ampio della TV francese, France 3, per mostrare l’humus politico di Alleanza nazionale, erede del Msi e in quel momento alleato di Berlusconi. Giorgia Meloni, impegnata allora a supportare la Casa delle libertà nel suo quartiere, la Garbatella, non si risparmiava: «Credo che Mussolini è stato un buon politico. Tutto quello che ha fatto, lo ha fatto per l’Italia. E questa cosa non si ritrova nei politici che abbiamo avuto negli ultimi 50 anni». Un salto temporale questo del 1996 utile a fissare un percorso o una doppia linea ma che non ci distrae dal momento in cui nel 2012 era già evidente chi fosse in quel gruppo la carta migliore da giocare.
Fratelli d’Italia, però, non è stata solo un’operazione nostalgica. Secondo Silvano Moffa – che visse quel momento da vicino, anche se su posizioni non convergenti con quelle di Giorgia Meloni – la fondazione del nuovo partito aveva avuto un padrino d’eccezione:

«Quando nasce Fratelli d’Italia nel 2012 vi fu un beneplacito di Berlusconi, ne sono certo. Lui ha sempre voluto una destra che poteva in qualche modo controllare ed essere sempre lui il centro». La Lega era ancora un partito in forte crisi, serviva un contenitore che fosse in grado di raccogliere consensi a destra. Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto erano d’altra parte tre politici rimasti fedeli al cavaliere fino all’ultimo, decisamente lontani dal «traditore» Gianfranco Fini. Forza Italia ha così messo mano al portafogli dando in dote al nuovo partito 750 mila euro, versati nel 2013. Una cifra superiore a quella raccolta con il tesseramento (131.771 euro nel 2013) e al contributo ricevuto dallo Stato (442.868 euro).
Alle elezioni del 24 febbraio 2013, appena due mesi dopo la costituzione del partito, la lista Fratelli d’Italia riesce a fare eleggere nove deputati, costituendo il gruppo parlamentare. Per dirigerlo a Montecitorio fu scelto l’esperto Fabio Rampelli, il fondatore dei Gabbiani, il padrino politico che aveva accompagnato Giorgia Meloni nei primissimi anni della sua ascesa politica. C’è un nome nuovo in quella piccola e agguerrita truppa, Pasquale Maietta. E conta, tanto da diventare il tesoriere di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati. Una scelta poco felice.



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