La perdita del futuro e la politica del tanto peggio

Un extraterrestre in visita sulla Terra ci vedrebbe così, noi umani: come tanti naufraghi che si contendono sanguinosamente gli ultimi posti sull’unico pianeta che abbiamo.

Mauro Barberis

Una volta – ricordate? – speravamo nel futuro. Era finita la Seconda guerra mondiale, e i nostri padri erano sopravvissuti alla peggiore esplosione d’irrazionalità nella storia recente: il nazifascismo. Fiduciosi che nulla del genere potesse mai ripetersi – mai più! – i nostri padri si rimboccarono le maniche e si misero a ricostruire e fare figli: baby boomers, li si chiama ancor oggi. Durò trenta anni gloriosi, poi vennero crisi petrolifera e caduta del muro di Berlino; la globalizzazione dislocò la produzione dall’Occidente all’Oriente, sino alla Cina.

La speranza nel futuro si affievolì, il progressismo decadde a migliorismo; operai, commercianti, tutti i perdenti della globalizzazione, cominciarono a votare sempre più a destra, sinché il mondo si trovò governato da figuri come Putin, Trump e Bolsonaro. L’ultima generazione, convinta dal riscaldamento globale di essere davvero l’ultima, nauseata dalla politica o si attaccò al telefonino, facendosi gli affari suoi, oppure cominciò a protestare a caso, ad esempio buttando vernice lavabile sugli edifici pubblici.

Non sembra l’inizio di un romanzo distopico, tipo Presagi della fine del mondo? E invece è tutto vero. Con un dettaglio in più – ma forse non è solo un dettaglio – percepibile più facilmente da noi giuristi, ma perfettamente comprensibile, credo, a ogni lettore che non abbia ancora perso il vecchio vizio di ragionare. Noi giuristi abbiamo capito che l’unico modo per uscire dai conflitti fra valori che avrebbero potuto devastare definitivamente il pianeta era fare così.

Si riscrivevano i valori su cui c’era più consenso in costituzioni non mutevoli a ogni cambio di maggioranza, o in trattati internazionali autorevoli. I valori religiosi, morali o politici, così, diventavano princìpi giuridici, i cui inevitabili conflitti potevano essere arbitrati ragionevolmente da giudici costituzionali o internazionali, tramite compromessi o bilanciamenti simili al calcolo costi-benefici che ci avevano insegnato gli economisti.

Soluzione banale, direte voi, ma che ha offerto all’Occidente non trenta ma settant’anni di pace e di relativa prosperità, rispetto a guerre, malattie e catastrofi che flagellavano il resto del globo. Poi qualcosa è andato storto, la globalizzazione s’è ritorta contro di noi, e guerra, pandemie e catastrofi ecologiche ci hanno raggiunto. Risultato? Lo vediamo in questi giorni, su quel grande palcoscenico che è diventata la politica mondiale.

Putin, o uno dei suoi sosia anti-attentato, visita l’Ucraina invasa. Trump rischia di finire in galera per il minimo dei suoi tanti illeciti: aver pagato il silenzio di una pornostar, figurarsi. In Italia, peggio ancora: si torna ad azzuffarsi su valori non negoziabili, come diceva la Chiesa pre-Francesco. Ad esempio (ci) si dibatte, surrealmente, sui figli delle coppie omosessuali, invece di occuparsi di cose non più importanti ma più urgenti: siccità, salario minimo, tasse vere, non piatte.

Ora i sondaggi dicono che la somma dei partiti del sinistra-centro, dopo l’arrivo della Schlein e il recupero di un milione di astenuti, ha scavalcato nei consensi la somma dei partiti di destra-centro. Scavalcamento inutile, però, sinché il sinistra-centro sarà diviso con il pretesto di sempre: valori non negoziabili…

Dunque, la politica del tanto peggio cui assistiamo quotidianamente, il peggiorismo che ha sostituito il migliorismo, non è monopolio del destra-centro. Al contrario: maggioranza e opposizione sono entrambe sballottate, come ciascuno di noi, dalla stessa tempesta: lo stesso senso di perdita del futuro. Un extraterrestre in visita sulla Terra ci vedrebbe proprio così, noi umani: come tanti naufraghi che si contendono sanguinosamente gli ultimi posti sull’unico pianeta che abbiamo.

 

Foto Flickr | Lorenzo.Furlanetto



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