La povertà è globale e si combatte dal basso

La strada per combattere fame, povertà, disuguaglianze parte dai Paesi più poveri. Il bilancio di “The Last 20” che ha fatto tappa a Roma.

Massimo Acanfora

Si è chiusa domenica 12 settembre la tappa romana della rassegna “The Last 20”, l’evento che propone di guardare al nostro Pianeta da una prospettiva nuova, a partire dalle aree più marginali e fragili, i Paesi Last 20, i venti più impoveriti del Pianeta secondo i principali indicatori socio-economici e ambientali. Un’intensa tre giorni di incontri alla facoltà di Lettere dell’Università Tor Vergata che ha visto alternarsi oltre quaranta relatori tra studiosi, attivisti, politici, giornalisti sui temi caldi di povertà, insicurezza alimentare, condizione femminile. Lobiettivo è immaginare una strada dal basso per uscire dalla trappola delle disuguaglianze e della miseria. Tutti i panel hanno offerto proposte di ampio respiro, con la presenza trasversale di rappresentanti espressione dei Paesi Last 20 come Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Guinea, Libano, Mali, Mozambico – e degli attivisti delle organizzazioni italiane.

Riccardo Petrella, professore emerito all’Università di Lovanio, ha dato l’impronta, tratteggiando così le cause della povertà. “Se c’è fame nel mondo, se ci sono popoli che non hanno accesso all’acqua, è anche questione di consapevolezza. Siamo infatti dominati, anche dal punto di vista dell’informazione, da gruppi sociali il cui interesse è finanziarizzare e privatizzare non solo l’economia ma la vita stessa. Se le persone hanno fame – in sintesi – è perché c’è una società ingiusta, perché esistono, ad esempio, i brevetti sulle sementi, non perché non ci siano derrate sufficienti. Così come se non c’è una sanità uguale per tutti è anche perché esistono i brevetti sui farmaci e, oggi, sui vaccini, non perché manchino medicinali o medici”. La privatizzazione della conoscenza “è forse lo strumento più potente che le società occidentali e chi le domina – ovvero i possessori di capitale e segnatamente di capitale finanziario – hanno per mantenere il potere. Non a caso il vangelo dei dominanti è la fede nella tecnologia, grazie alla quale possono controllare e imporre la propria governance, mentre i poveri restano fuori mercato”.

Il problema della fame è – ovviamente – tra i più urgenti e drammatici, soprattutto in Paesi colpiti dalla tempesta perfetta fatta di retaggio del passato, cambiamenti climatici e politici, come l’Afghanistan. The Last 20 ha affrontato i problemi da una pluralità di prospettive e di voci. Tra le più autorevoli sul tema quella di Lilia Ghanem, libanese, direttrice de L’Ecologist per l’area del Medio Oriente, che ha fatto notare che due “affamati” su tre vivono in un Paese in guerra. Dal canto suo Cinzia Scaffidi, giornalista e docente all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ha ricordato l’importanza della prospettiva storica: “Se esistono dei Paesi poveri è perché si sono impoveriti, ma allora se esistono dei Paesi ricchi è anche perché si sono arricchiti a danno di altri, grazie a fenomeni come schiavismo, colonialismo, furto di terre e acqua, sfruttamento economico e di risorse”.

Le soluzioni ai problemi di insicurezza alimentare sono anch’esse plurali. La riduzione degli sprechi, la battaglia contro le sementi “proprietarie” e le monocolture, la sovranità agricola e alimentare ma soprattutto, l’agroecologia, vista come strada maestra ad esempio dai produttori di ROPPA, Réseau des organisations paysannes et des producteurs agricoles de l’Afrique de l’Ouest, che riunisce organizzazioni di piccoli agricoltori in 13 Paesi con l’obiettivo di difendere e promuovere le aziende agricole familiari; un modello messo a confronto con quello della storica cooperativa Iris Bio di Calvatone (CR), raccontata da Maurizio Gritta. Non meno importante è rendere efficaci le forme di aiuto allo sviluppo: il dibattito su cooperazione internazionale e Commercio Equo e Solidale, in presenza di autorevoli rappresentanti della categoria, ha ribadito che per cambiare le condizioni nei Paesi L20 bisogna intervenire privilegiando in ogni modo l’empowerment delle comunità locali e non con forme di “colonizzazione” nascosta.

La domenica è stata poi tutta dedicata alla condizione femminile nei paesi L20 e segnatamente in Afghanistan. Al tavolo coordinato da Lorena di Lorenzo dell’associazione “Binario 15” e Antonella Garofalo del Coordinamento italiano di sostegno alle donne afghane (Cisda), donne di diversi Paesi impegnate sui temi della giustizia economica e sociale. “Le donne afghane – ha detto in particolare Huma Saeed, criminologa e accademica afghana dell’Università di Lovanio in Belgio, da anni attivista per i diritti umani – sono decise a non tornare indietro, ma saranno costrette ad affrontare una realtà durissima: tutti i segnali dicono che l’Afghanistan diventerà un’altra Arabia Saudita”. Saeed ha ricordato che le donne “quanto e forse più degli uomini sono vittime dei conflitti, e che oltretutto non vengono mai consultate nel corso del processo di pace” e ha poi rivendicato sia il ruolo di chi coraggiosamente in patria manifesta per i propri diritti e per il rispetto della Costituzione afghana, sia dei profughi afgani all’estero, soprattutto giornalisti e altri intellettuali, che grazie ai propri contatti possono essere “occhi e orecchie” del mondo e fare controinformazione in un Paese dove non esistono più media liberi.

Anche un’altra tra le rifugiate afghane ha ricordato “le donne coraggiose che lottano per i loro diritti”, sottolineando però con amarezza che il loro coraggio viene dalla consapevolezza di non aver più nulla da perdere e che – in ogni caso – non si può tacere su questa tragedia.

Come affrontare tutto questo? In primis con una maggiore consapevolezza.

Fin dalle prossime tappe il comitato Last 20 ha deciso di lavorare per creare una task force plurale, con la presenza di diverse nazionalità e culture, con l’obiettivo di mettere assieme le conoscenze, le nozioni scientifiche e le professionalità dei Last 20 e delle realtà a loro vicine e di analizzare le problematiche di questi Paesi nella prospettiva di trovare ipotesi di soluzioni. Per questo si costituirà un osservatorio permanente – detto L20 International Outlook – che ogni anno rilascerà un Report L20, che monitora nel tempo la situazione di quei Paesi. “È necessario un mutamento di sistema – chiosa il coordinatore del comitato Tonino Perna – che faccia leva sulla visione, la cultura, l’intelligenza, le esperienze, le competenze misconosciute delle popolazioni dei Paesi cosiddetti ultimi”.

The Last 20 continua in Abruzzo e Molise, dal 17 al 20 settembre, a Milano dal 24 al 26 settembre e a Santa Maria di Leuca all’inizio di ottobre.



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