La Prima alla Scala e il mondo chiuso fuori dalla porta del teatro

Di fronte alle proteste degli attivisti del clima non stiamo forse anche noi, come il pubblico agiato e superficiale della Scala di Milano nel famoso racconto di Buzzati, mancando del tutto il nocciolo della questione?

Mariasole Garacci

Si è tenuta ieri la prima del Teatro alla Scala di Milano, dove è andato in scena il Boris Godunov di Modest Petrovič Musorgskij diretto da Riccardo Chailly. All’inizio e alla fine dello spettacolo, Sergio Mattarella ha ricevuto lunghissimi applausi e inneggiamenti dal pubblico, da cui qualcuno ha gridato “Viva l’Europa!” e “Grazie!”. Con il presidente, sul palco reale del Piermarini c’erano Giorgia Meloni, Ursula Von der Leyen, Ignazio La Russa, Beppe Sala. Sembra lontano (eppure sono passati solo pochi mesi) il tempo in cui un ciclo di lezioni su Fëdor Michailovic Dostoevskij alla Bicocca generava imbarazzo e tensione, quando c’era chi dichiarava orgogliosamente “io di russo neanche l’insalata” e altre prese di posizione del tutto inutili al popolo ucraino: a parte qualche sparsa polemica, migliaia di italiani, me compresa, stasera hanno ascoltato il dramma del boiardo Boris divenuto zar di Russia, di sua figlia Ksenija, della principessa Marina e di Dmitrij,  in diretta sul terzo canale radiofonico della RAI, o a Milano dagli schermi in Galleria Vittorio Emanuele II e altri luoghi della città.

La mattina della prima, proprio davanti la Scala gli attivisti dell’organizzazione ambientalista di Ultima Generazione (di cui ho scritto a lungo su MicroMega) hanno compiuto una delle loro azioni dimostrative imbrattando le pareti esterne del teatro. L’azione è durata in tutto circa mezz’ora, i presenti sono stati portati in questura per le verifiche di circostanza e le macchie di vernice pulite immediatamente; è esattamente a Mattarella e Meloni che i dimostranti intendevano rivolgersi, chiedendo di prendere tutte le misure necessarie per salvaguardare il nostro territorio e le sue comunità dal rischio di nuovi episodi come quello avvenuto a Ischia lo scorso 26 novembre.

Credo di non essere la sola a cui è balzato in mente un riferimento abbastanza immediato (fosse o meno voluto), ossia Paura alla Scala di Dino Buzzati, del 1948. In questo racconto, la buona società italiana e straniera si ritrova nel prestigioso teatro milanese per assistere alla prima di un’opera molto attesa dell’acclamato maestro Pierre Grossgemuth intitolata La strage degli innocenti. Lo spettacolo, tuttavia, risulta ostico, incomprensibile, il linguaggio musicale è forse eccessivamente raffinato, e il pubblico non riesce ad appassionarsi. Cionondimeno, al termine della serata, com’è d’uopo, l’entusiasmo risuona unanime e caloroso. Solo, serpeggia inquietante la paura di un attentato da parte del gruppo sovversivo dei Morzi che, si dice, dalla periferia della città progettano di venire a sorprendere i ricchi e i potenti mentre sono riuniti nel teatro.

Il motivo per cui stamattina, ascoltando la notizia dell’azione a Milano, ho pensato al racconto di Buzzati non è solo un’ironica coincidenza narrativa, ma il fatto che pochi giorni fa gli attivisti di Ultima Generazione hanno compiuto una dimostrazione alla Pinacoteca di Bologna, proprio (guarda caso) davanti La strage degli innocenti di Guido Reni, intendendo ricordare le piccole vittime della frana di Casamicciola a Ischia. E mi sono domandata se non stiamo anche noi, come il pubblico agiato e superficiale della Scala nel racconto di Buzzati, mancando il nocciolo della questione, concentrandoci sul metalinguaggio, sulla discussione circa metodo della protesta, sulle scelte comunicative, anziché rivolgerci al tema che ci viene indicato da tali azioni: la rovina degli innocenti, degli umani, della nostra casa. E mi sono domandata, anche, se la buona società che stasera si è riunita alla Scala e soprattutto i potenti che hanno responsabilità e facoltà di intervenire non stiano facendo come i loro omologhi del racconto, restando confinati in quell’inaccessibile palco reale, temendo o cercando di rimuovere dalla loro coscienza i rivoluzionari, il malcontento, l’insoddisfazione, le diseguaglianze. Anziché aprire le porte del teatro, le porte dei palazzi, e uscire a incontrare chi protesta.



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