La riconquista clericale della scuola

Un disegno diventato centrale nell’era berlusconiana e che adesso forse riesce ad arrivare al suo compimento. La svolta è avvenuta in occasione dell’approvazione in Senato il 13 maggio scorso delle misure per il contenimento dell'epidemia da Covid-19, contenente un emendamento del senatore Pd Rampi, che permetterà ai laureati in Scienze delle religioni di occupare le cattedre di Filosofia, Storia dell’arte, Storia, Italiano, Latino, Greco… e molto altro ancora.

Maria Mantello

Le operazioni di clericalizzazione della scuola statale non sono nuove in questo nostro Paese, dove la separazione Stato-Chiesa è la grande incompiuta. E si sono intensificate in anni recenti con sempre maggiori finanziamenti alle scuole confessionali in parallelo depauperamento della scuola statale; mentre c’era chi alacremente si affaccendava per farne la zona franca della riconquista vaticana.

La truppa berlusconiana ne aveva fatto il proprio vessillo, nello sfarzo mediatico ad honorem del cavaliere, novello Unto del Signore, osannato e incensato dai maggiori vertici della Chiesa vaticana.

Vale appena ricordare la proposta dell’on. Garagnani, approvata il 22 gennaio 2009, che recitava: «Sia reso esplicitamente obbligatorio nelle indicazioni nazionali il preciso riferimento alla nostra tradizione culturale e spirituale che si riconnette esplicitamente al cristianesimo».

E il governo plaudente ricordava che il progetto era stato già avviato: «Peraltro la nascita della religione cristiana, le sue peculiarità e il suo sviluppo così come le vicende dei rapporti tra Stato e Chiesa, con particolare riferimento all’Italia, già sono oggetto di studio nell’insegnamento della Storia sin dalla scuola primaria e rappresentano, trasversalmente, l’asse portante di altri insegnamenti».

Insomma si ribadiva la centralità di quella “scuola dell’identità” nucleo della riforma Moratti (Legge delega nel 2003), che metteva mano ai programmi per trasformare le materie d’insegnamento in una lunga ora di religione cattolica. Si partiva dalla Storia, ma tutte le materie d’insegnamento dovevano adeguarsi.

Come poi avrebbe previsto nel 2008 il disegno di legge n. 953 di Valentina Aprea: “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti”, che prevedeva di piegare la libertà d’insegnamento dei docenti «al sistema valoriale dei gruppi prevalenti sul territorio». In pratica la rete delle parrocchie.

Per non parlare della “cultura civica” inserita dalla ministra Gelmini nei programmi scolastici, e lasciata in pratica al “volontariato”. In questi giorni qualcuno si è accorto che spesso è affidata agli insegnati di religione cattolica.

Altro giro, stesso valzer! E chi dal ministero dell’Istruzione, in qualche modo la danza ostacola, non dura molto!

Come nel caso del ministro Lorenzo Fioravanti, che nel 2019 osava difendere la laicità della scuola statale, esprimendo anche il proprio dissenso sull’affissione del crocifisso: «Io credo in una scuola laica, ritengo che le scuole debbano essere laiche e permettere a tutte le culture di esprimersi. Non esporrei un simbolo in particolare. Meglio appendere una cartina geografica del mondo con richiami alla Costituzione». Risultato: veniva silurato dopo soli tre mesi di incarico, e isolato politicamente!

Guai a interferire con quel disegno di clericalizzazione della scuola pubblica che pervicacemente continua nel tradimento del dettato costituzionale, che ne fa il proprio organo di emancipazione individuale e sociale affidandole l’ambizioso dovere di formare individui liberi e autonomi.

E pertanto chiama lo Stato alla rimozione degli ostacoli di ordine personale e sociale (art. 3 della Costituzione) affinché ognuno, educato a sviluppare capacità analitico critiche, pensi e scelga autonomamente, emancipandosi dalle cappe di ogni dogmatismo.

Ma questo è molto scomodo a quel disegno di sussidiarietà da sempre invocato dalla Chiesa curiale da dopo la Breccia di porta Pia, e che a ridosso del Concordato mussoliniano sottolineava Pio XI con l’enciclica Divini illius magistri: «La scuola, considerata anche nelle sue origini storiche, è, di sua natura, istituzione sussidiaria e complementare della famiglia e della Chiesa; e pertanto, per logica necessaria morale, deve non soltanto non contraddire, ma positivamente accordarsi con gli altri due ambienti, nell’unità morale più perfetta che sia possibile, tanto da poter costituire, insieme con la famiglia e la Chiesa, un solo santuario, sacro all’educazione cristiana».

Ecco, questo disegno mai dismesso dalla Chiesa vaticana sembrerebbe essere in dirittura d’arrivo con l’approvazione in Senato (13 maggio) della “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, recante misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da Covid-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici” contenente l’emendamento (10.27) a firma del senatore Roberto Rampi che recita: «A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai fini della partecipazione alle procedure concorsuali, per il reclutamento di personale delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 maggio 2001, n. 165, il possesso del titolo di laurea magistrale in Scienze delle religioni (LM64), secondo la classificazione indicata dal decreto del ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270, spiega i medesimi effetti del titolo di laurea magistrale in Scienze storiche (LM84), Scienze filosofiche (LM78) e in Antropologia culturale ed Etnologia (LM01)».

Questo significa che gli “scienziati delle religioni” possono aspirare all’insegnamento di Italiano, Storia, Geografia nella scuola media. Alle superiori di Filosofia, Psicologia, Pedagogia, Italiano, Storia, Storia dell’arte, Latino, Greco. E chissà a quanto altro ancora, tra “sperimentazioni” e “accorpamenti” di aree disciplinari.

Una manna “rampina”, se pensiamo che gli sbocchi lavorativi codificati per i laureati in Scienze delle religioni erano quelli di mediatori e comunicatori in materia religiosa, nonché titolo (previo placet dell’ordinario diocesano) per l’insegnamento della religione cattolica.

Il senatore Roberto Rampi, classe 1977, professione operatore culturale, si difende sostenendo di aver realizzato «sulla laurea in Scienze delle religioni un semplice atto di giustizia», «un atto di riconoscimento di ciò che già è nei fatti, figlio di un approccio laico». Sembra quasi uno spot.

Intanto, nel mercato del cyberspazio-laurea, pare si stiano moltiplicando le offerte per mettere in grado i laureati in Scienze delle religioni di accumulare i punti necessari ad assicurarsi la ghiotta e inaspettata opportunità di accessi pluricattedre.

E in futuro non molto lontano non è difficile ipotizzare il moltiplicarsi dei corsi di laurea in Scienze delle religioni.

Un giro d’affari in cui non mancherà certo il ruolo di chi della religione dice di avere il sacro appalto!

 

(Foto ANSA / MATTEO BAZZI)



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