La riforma delle pensioni in Francia e la lezione per l’Italia

A meno di un mese dal primo turno delle presidenziali, previsto per il 10 aprile, Macron ha annunciato l’intenzione di riformare il sistema pensionistico se dovesse ottenere la riconferma all’Eliseo.

Simone Martuscelli

Giovedì 10 marzo il portavoce del governo francese Gabriel Attal ha confermato all’emittente radiofonica RTL un’indiscrezione lasciata trapelare da Les Échos il giorno precedente, riguardo alla volontà del presidente Emmanuel Macron di riformare il sistema pensionistico se dovesse ottenere la riconferma all’Eliseo alle prossime presidenziali.

L’annuncio ha suscitato enormi polemiche in Francia soprattutto per i contenuti della riforma che la presidenza ha in mente: ovvero l’aumento dell’età pensionabile a 65 anni, rispetto ai 62 attuali. Un intervento così pesante sarebbe bilanciato, nei progetti di Macron, dall’aumento della pensione minima da 1.000 a 1.100 euro. Ciononostante, sono diverse le critiche piovute sul progetto di riforma.

Innanzitutto, data la congiuntura economica, l’incremento sulle retribuzioni pensionistiche andrebbe sostanzialmente a coprire la perdita di potere d’acquisto causata dalla crescita dell’inflazione. Inoltre, lo stesso Conseil d’Orientation des Retraites, ente pubblico di ricerca specializzato nello studio del sistema pensionistico, afferma che se da un lato il prolungamento dell’età lavorativa permetterebbe allo Stato di fare cassa, dall’altro una larga parte di quei risparmi andrebbe a coprire la rinnovata necessità di sussidi di disoccupazione e altre forme di sicurezza sociale, finendo così per ottenere un effetto sostanzialmente nullo.

Ma è soprattutto il metodo, unito al tempismo della proposta, ad aver scatenato le polemiche. Durante la sua presidenza, Macron aveva già provato a intervenire sul sistema pensionistico: il progetto di riforma precedente prevedeva l’innalzamento dell’età pensionabile a 64 anni, con la possibilità di uscita anticipata mantenuta a 62 anni in cambio di una sforbiciata al contributo pensionistico. Quella proposta era però stata affossata dalle proteste popolari e soprattutto dall’arrivo della pandemia, che aveva messo in pausa qualsiasi possibile taglio alla spesa pubblica.

La nuova proposta, ancora più radicale, segna sostanzialmente il ritrovato vigore dell’ala destra del partito macroniano, rappresentata dall’ex primo ministro Édouard Philippe. E soprattutto, arriva nel pieno della campagna elettorale, a meno di un mese dal primo turno, previsto per il 10 aprile. Non è un caso che la proposta di Macron vada sostanzialmente a ricalcare la proposta della candidata dei Républicains Valérie Pécresse, anch’essa tesa all’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni.

Nonostante una campagna elettorale condotta in maniera decisamente anonima, Pécresse rimane l’unica alternativa “moderata” rispetto agli altri candidati in corsa per il secondo turno. Macron, non a torto, vede Pécresse come l’unica candidata in grado di dargli vagamente del filo da torcere in caso di ballottaggio; e cerca quindi di corteggiarne gli elettori in modo da disinnescare la minaccia, avendo ormai chiaro che l’elezione si giocherà a destra.

Quello che emerge, tuttavia, è soprattutto un problema di metodo politico, da cui in qualche modo è possibile trarre delle lezioni anche per l’Italia. Al di là delle preoccupazioni di facciata, Macron è pienamente consapevole di avere la riconferma in tasca. E sa che, per portare a casa una riforma impopolare come questa, dovrà sfruttare l’onda lunga dell’euforia post-elettorale e il patrimonio politico con essa maturato.

Ma un modus operandi del genere rischia di creare profonde spaccature trasversali. I principali sindacati, infatti, tra cui Cgt e Cfdt, hanno già annunciato che si opporranno duramente alla riforma. E l’impossibilità, per sostanziale mancanza di veri avversari, di confrontarsi su un programma elettorale nel periodo a ciò preposto, rischia di lasciare come unica strada percorribile per far valere la propria voce una ripresa della conflittualità e delle agitazioni sociali.

Anche in Italia si discute da tempo della necessità di rendere sostenibile, senza intaccare equilibri fragilissimi, un sistema pensionistico tra i più costosi: nel 2019 l’Italia ha speso il 16% del proprio pil per le pensioni, al pari della Grecia e preceduta dalla Francia con il 14%. E anche qui gli spazi per il confronto con la società civile su questo tema sono pressoché assenti. Certo, per motivi diversi rispetto a quelli francesi: mentre l’offerta politica transalpina, anche per la sua impostazione presidenzialistica, finisce per impedire l’emergere di un’alternativa reale al progetto macroniano, in Italia gli attori politici hanno abdicato di comune accordo al proprio ruolo per scomparire dietro a un’unità forzata, che rappresenta sostanzialmente il rifiuto della politica stessa.

Ma un progetto politico che vuole intervenire in maniera decisa su un tema così delicato non può sottrarsi a una discussione approfondita e anche dura, a tratti. Il rischio di fomentare reazioni tra gli inascoltati è troppo alto.

Credit immagine: foto di Jacques Paquier via Wikimedia Commons (CC BY 2.0)



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