La rivoluzione di Darwin, 150 anni dopo

Perché è più che mai vitale e necessario rileggere Darwin oggi, a 150 anni di distanza dalla pubblicazione di “L’Origine dell’Uomo e la Selezione Sessuale”.

Flavia Salomone e Fabio Di Vincenzo

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo la prefazione al volume “Conversazioni sull’origine dell’uomo 150 anni dopo Darwin” a cura di Flavia Salomone e Fabio Di Vincenzo (Edizioni Espera).

È tempo forse di riconoscere la centralità che l’opera di Darwin ha avuto e ha, non solo nella biologia, ma più in generale nella storia del pensiero. Nessuno infatti, può più ignorare che dopo Darwin esiste un modo scientificamente fondato di concepire l’uomo quale frutto di un processo interamente naturale che coinvolge non solamente la sua origine e la sua collocazione all’interno del mondo biologico, tra gli altri esseri viventi, ma anche il suo sviluppo intellettivo, sociale e morale. Si potrebbe affermare che non esista campo del sapere umano che non sia stato in qualche modo interessato dallo sviluppo del pensiero evoluzionistico. Questo perché ciò che Darwin ha modificato in maniera irreversibile non è semplicemente un insieme più o meno ampio di conoscenze pregresse o di paradigmi scientifici, filosofici e religiosi fino ad allora dominanti, ma la percezione che noi oggi abbiamo (grazie a lui), di ciò che siamo nel Mondo e di come ci relazioniamo a esso, quindi del modo con cui concepiamo l’intera realtà (che sia storica, sociale o naturale), a partire dalla conoscenza di noi stessi. L’opera di Darwin si pone quindi come un’appendice, o meglio ancora come l’ideale presupposto (necessario e oramai ineliminabile), al motto scolpito oltre 2.500 anni fa sul tempio di Apollo a Delfi: γνῶθι σαυτόν (conosci te stesso).

Questa titanica rivoluzione nel modo di concepire l’esistenza umana, paradossalmente opera di un uomo schivo come pochi altri ma che meglio di chiunque altro ha saputo corrispondere attraverso i suoi ragionamenti sulle scienze naturali alla figura del “Newton del filo d’erba” già vagheggiata da Immanuel Kant, trova una delle sue tappe fondamentali nella pubblicazione di L’Origine dell’Uomo e la Selezione Sessuale (The Descent of Man and Selection in Relation to Sex) avvenuta a Londra nel 1871, appena 150 anni fa quindi.

Come è noto, in quest’opera comparsa 12 anni dopo L’Origine delle Specie, Darwin concentra la sua riflessione sull’essere umano in quanto essere vivente e pertanto soggetto a processi ed eventi simili a quelli che coinvolgono gli altri organismi. Lo fa in un momento in cui il dibattito suscitato dalla teoria evolutiva per selezione naturale da lui precedentemente esposta anche con il contributo di Alfred Russel Wallace, aveva già prodotto una serie di importanti lavori di autori suoi contemporanei, primo fra tutti Thomas Henry Huxley, circa l’origine naturale e lo sviluppo evolutivo della nostra specie all’interno dell’ordine dei primati e più in generale circa il posto occupato dall’uomo nella Natura.

C’è da notare che al tempo poco o nulla era noto circa i meccanismi dell’ereditarietà biologica e delle testimonianze fossili e archeologiche della prima umanità, eppure Darwin ci mostra come anche l’uomo si inserisca, senza alcuna necessità di invocare creazioni speciali, in continuità evolutiva con gli altri organismi in base alla teoria della discendenza da antenati comuni già sviluppata nell’Origine delle Specie. Ma poiché l’uomo possiede indubbiamente delle capacità cognitive, tecnologiche, morali che lo differenziano dal resto dei viventi e la cui origine risulta difficile da giustificare in termini di ‘lotta per l’esistenza’ e ‘selezione naturale’, Darwin, sposta la sua attenzione dalla sopravvivenza del più adatto in relazione al variare dell’ambiente, a tutti quegli aspetti più strettamente legati al successo riproduttivo differenziale tra i membri della stessa specie. Invece di ricercare delle spiegazioni ad hoc per ciascuna delle nostre molte specificità, Darwin si concentra quindi sugli aspetti di socialità che sono comuni a noi e agli altri animali e che nella nostra specie sono particolarmente sviluppati. Così, la competizione intraspecifica tra i maschi, la scelta delle femmine e lo sviluppo abnorme dei caratteri sessuali secondari che sono gli elementi su cui opera la così detta ‘selezione sessuale’ ma anche la cura per la prole, i forti legami familiari, gli istinti sociali, la comunicazione delle emozioni e la simpatia (oggi noi diremmo l’empatia) per la condizione altrui, diventano per Darwin la chiave di lettura per interpretare attraverso un’unica teoria coerente, ogni aspetto della supposta ‘unicità’ umana. Una visione senza alcun dubbio innovativa per i tempi e molto moderna.

Darwin ha saputo scorgere nei pochi dati che aveva a disposizione provenienti dall’anatomia comparata e dall’embriologia, le evidenze della comune origine dell’uomo e di tutti i vertebrati. È stato in grado di estendere tali osservazioni al mondo dei comportamenti e formulare per primo una teoria naturale delle emozioni. Ha saputo predire con precisione i luoghi e gli ambienti dell’Africa in cui, oggi sappiamo, si svolsero le prime fasi dell’evoluzione umana e intuire che la specie umana è solo uno dei tanti ramoscelli, marginale come molti altri, del grande albero della vita sulla Terra.

Ha potuto farlo in quanto le basi teoriche della ‘discendenza con modificazione’ da lui identificate sono le stesse che contribuiscono a chiarire ogni aspetto della biologia. Oggi conosciamo con un dettaglio che Darwin non poteva neanche immaginare le strutture fondamentali della vita, le cellule, i geni, le catene di DNA e il loro funzionamento ma come affermava il grande genetista Theodosius Dobzhansky, nessuna di queste conoscenze avrebbe alcun senso se non alla luce dell’evoluzione.

Qualcuno potrebbe accusare Darwin di aver dissolto per sempre l’‘incantesimo’ di una concezione provvidenzialistica del mondo che ci vedeva unici destinatari del dominio su ogni altra creatura; ciò che in realtà, ancora oggi da più parti, molti non sono disposti a perdonargli è l’aver sostituito tale presuntuosa e comoda illusione con una teoria scientifica, esplicativa di tutti i fenomeni naturali, che, a dispetto di tutte le critiche, funziona ancora maledettamente bene.

Ciò è vero anche per il nostro Paese. Quando Darwin diede alle stampe le sue riflessioni sull’origine dell’uomo, nel 1871, l’Italia aveva appena raggiunto l’agognata unità nazionale. Quegli anni di tumulti socio-politici si accompagnarono a una grande vivacità intellettuale e allo sviluppo anche nel nostro Paese del pensiero positivistico e scientifico. Dopo il 1864, furono disponibili traduzioni in italiano dei libri di Darwin a opera di studiosi come il Salimbeni e il Canestrini e le sue idee cominciarono a circolare nelle università e nelle accademie italiane anche in relazione all’origine dell’uomo. Famose a tale riguardo furono le conferenze pubbliche sulla parentela fra l’uomo e le scimmie tenute già nel 1869 da Filippo de Filippi e da Aleksandr Herzen a Torino e a Firenze rispettivamente. Pochi mesi dopo la conferenza di Herzen alla Specola del Museo di Storia Naturale di Firenze, Paolo Mantegazza fondò in quella stessa città, allora capitale d’Italia, il Museo Nazionale di Antropologia ed Etnologia con il preciso scopo di contribuire a diffondere nel nostro Paese le idee di Darwin, di cui Mantegazza era anche amico e corrispondente, e in tale opera fu subito seguito da altri influenti studiosi interessati alle nascenti scienze antropologiche come Giuseppe Sergi a Roma. Tale attivismo del mondo scientifico italiano a favore della teoria di Darwin non passò inosservato negli ambienti più clericali e conservatori suscitando le reazioni di studiosi cattolici del tempo come il Bianconi, il Tuccimei, lo Stoppani (autore di Il Bel Paese) e il Tommaseo noto quest’ultimo per aver pubblicato il primo Dizionario della Lingua Italiana. Tuttavia, la Chiesa cattolica rimase cauta evitando di prendere una posizione ufficiale circa la fondatezza scientifica della teoria darwiniana e i libri di Darwin non furono mai messi all’Indice, inoltre, molti darwinisti nostrani, come lo stesso De Filippi o lo scrittore Antonio Fogazzaro, si dichiaravano profondamente cattolici e credenti. Il vero e proprio declino del darwinismo, e in generale del pensiero scientifico e positivistico, nel nostro Paese è, come noto, legato alle figure di Giovanni Gentile (1875-1944) e Benedetto Croce (1866-1952). La filosofia idealistica dei due autori, legati prima da uno stretto sodalizio e poi divisi da opposte visioni sulla società e la politica, imputava al darwinismo, e in generale alle scienze positive, l’incapacità di cogliere la ‘differenza’ in termini di primato dello spirito, della libertà e della coscienza (e quindi delle qualità morali) tra la concezione storico-filosofica (e religiosa) dell’uomo e la visione materialistica (dunque scevra di valori) offerta dalle scienze naturali. Croce nel saggio del 1939 intitolato La natura come storia senza storia da noi scritta sosterrà che pensare di avere antenati animali “mortifica l’animo, il quale alla storia chiede la nobile visione delle lotte umane e nuovo alimento all’entusiasmo morale e riceve invece l’immagine di fantastiche origini animalesche e meccaniche dell’umanità e con esse un senso di sconforto e di depressione, quasi di vergogna, a trovarci noi discendenti da quegli antenati e sostanzialmente a loro simili” (in La Critica vol. 37, p. 146). Un’interpretazione del darwinismo che, come si può vedere, è più motivata da un dichiarato biasimo morale espresso in forma retorica piuttosto che da una conoscenza diretta della teoria di Darwin e dei fenomeni naturali ad essa connessi.

Dopo gli anni Cinquanta dello scorso secolo il recepimento delle idee di Darwin tornò a farsi più favorevole nel nostro Paese anche grazie alle notizie che giungevano circa la riscoperta delle leggi dell’ereditarietà anche a opera degli esponenti della così detta Sintesi moderna, circa la scoperta della struttura del DNA da parte di Watson e Crick e delle modalità della sua replicazione, e riguardo nuovi spettacolari rinvenimenti in Africa Orientale e altrove di testimonianze fossili dell’evoluzione umana antiche di milioni di anni, associate alle prime evidenze paletnologiche circa la nascita della cultura materiale. Tuttavia, seppur sottotraccia, un certo anti-darwinismo di duplice matrice clericale e laica (crociana) è rimasto attivo nel dibattito pubblico fino ad arrivare a condizionare le scelte della politica in materia di istruzione pubblica come avvenne nel caso della delibera ministeriale del 2004 che prevedeva la soppressione dai programmi scolastici delle scuole medie dell’insegnamento dell’evoluzione (particolarmente del modulo denominato “L’origine ed evoluzione biologica e culturale della specie umana”) nonostante le raccomandazioni contrarie di tutta la comunità scientifica e di una apposita commissione presieduta dal premio Nobel e senatrice a vita Rita Levi-Montalcini.

Risulta quindi più che mai vitale e necessario rileggere Darwin oggi a 150 anni di distanza dalla pubblicazione di L’Origine dell’Uomo e la Selezione Sessuale.



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