C’è una giudice a Catania

Sulla scorta di solide argomentazioni che richiamano i principi basilari della gerarchia delle fonti, la sentenza della giudice dimostra che non sussistono i presupposti per il trattenimento dei richiedenti asilo, smontando l’intero impianto del decreto Cutro.

Maria Concetta Tringali

Se dentro al decreto flussi di aprile si annida lo spaccato dell’Italia secondo Giorgia Meloni, per l’antidoto si dovrà cercare tra le righe dei tre provvedimenti gemelli, pronunciati il 29 settembre dalla sezione immigrazione del Tribunale di Catania. Si tratta delle decisioni con cui Iolanda Apostolico (estranea alle correnti della magistratura e definita nei corridoi del suo stesso palazzo di giustizia “un cane sciolto”) ha rigettato la richiesta di convalida del trattenimento disposta per tre migranti dal Questore di Ragusa, finendo per incendiare la scena politica in poche ore. Il motivo è che ha decostruito con le sue decisioni – e perciò a colpi di diritto – la versione Cutro che il governo aveva confezionato, all’indomani della strage di migranti in quel pezzo di mare della Calabria.
Ma torniamo per un momento alla fattispecie: i decreti della giudice designata alla convalida incidono sulla nuova disciplina del trattenimento, disposto ai danni di tre tunisini (“migranti provenienti da un paese designato di origine sicura”) che avevano presentato domanda di riconoscimento della protezione internazionale, nella zona di transito della provincia di Ragusa, che non avevano consegnato il passaporto né prestato la garanzia finanziaria.

Il provvedimento della giudice Apostolico è netto: “Il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda; il trattenimento deve considerarsi misura eccezionale e limitativa della libertà personale ex art. 13 della Costituzione”.
Non è legittima la cauzione,  dovuta secondo il decreto Cupro “in un’unica soluzione con fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa” e fissata dal D.M. del 14 settembre 2023 in 4.938,00 euro (somma destinata ad essere escussa dal prefetto, nel caso in cui lo straniero si allontani indebitamente); non lo è il trattenimento imposto a quegli uomini che arrivano sulle nostre coste dopo un viaggio della speranza, attraverso il deserto e il mare.
Quello della garanzia finanziaria è, a ben vedere, nodo centralissimo. Il decreto ministeriale dice di una somma che è idonea quando “l’importo fissato è in grado di garantire allo straniero, per il periodo massimo di trattenimento, pari a quattro settimane (ventotto giorni), la disponibilità: a) di un alloggio adeguato, sul territorio nazionale; b) della somma occorrente al rimpatrio; c) di mezzi di sussistenza minimi necessari, a persona” e continua individuando i destinatari della disposizione nei “cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, di seguito indicati come stranieri, che sono nelle condizioni di essere trattenuti durante lo svolgimento della procedura in frontiera e fino alla decisione dell’istanza di sospensione, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato”.

Su questa cauzione, la giudice scrive parole precise: “non si configura come misura alternativa al trattenimento ma come requisito amministrativo imposto al richiedente prima di riconoscere i diritti conferiti dalla direttiva 2013/33/UE, per il solo fatto che chiede protezione internazionale”.
Ma vi è di più. Anche la preclusione che quella somma, possa essere versata da terzi è incompatibile con la direttiva, come interpretata dalla Corte di Giustizia in una importante sentenza della Grande Sezione, pronunciata l’8 novembre 2022. Non serve essere una giurista, per non “restare basita”; potrebbe bastare infatti andare sul sito web dell’Unione europea, digitare Corte di giustizia dell’Unione europea per imparare ad esempio che la CGUE ha il ruolo di “garantire che il diritto dell’UE venga interpretato e applicato allo stesso modo in ogni paese europeo, garantire che i paesi e le istituzioni dell’Unione rispettino la normativa dell’UE”.
La misura applicata dal Questore è, in definitiva, resa in violazione delle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e della stessa Costituzione italiana.
Manca inoltre ogni motivazione circa il trattenimento, qualsiasi valutazione su base individuale delle esigenze di protezione manifestate, ma anche della necessità e proporzionalità della misura, in relazione alla possibilità di applicarne una meno coercitiva.
Le conseguenze del ragionamento condotto dalla magistrata si rivelano importantissime, quando scrive che “la normativa interna incompatibile con quella dell’Unione va disapplicata dal giudice nazionale (Corte cost., 11 luglio 1989, n. 389)”. Disapplicata, è termine inequivocabile; non c’è da restare stupiti, ancora una volta.

In particolare è alla Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 che bisogna tornare: paragrafo (11) “Il trattenimento dei richiedenti dovrebbe essere regolato in conformità al principio fondamentale per cui nessuno può essere trattenuto per il solo fatto di chiedere protezione internazionale, in particolare in conformità agli obblighi giuridici internazionali degli Stati membri, e all’articolo 31 della convenzione di Ginevra. I richiedenti possono essere trattenuti soltanto nelle circostanze eccezionali definite molto chiaramente nella presente direttiva e in base ai principi di necessità e proporzionalità per quanto riguarda sia le modalità che le finalità di tale trattenimento”; (20) “Al fine di meglio garantire l’integrità fisica e psicologica dei richiedenti, è opportuno che il ricorso al trattenimento sia l’ultima risorsa e possa essere applicato solo dopo che tutte le misure non detentive alternative al trattenimento sono state debitamente prese in considerazione. Ogni eventuale misura alternativa al trattenimento deve rispettare i diritti umani fondamentali dei richiedenti”.
La giudice Apostolico, nell’inquadrare correttamente le fonti, dà conto infine anche della Costituzione (citando la Suprema Corte di Cassazione che a Sezioni Unite puntualmente richiama la Carta): “deve escludersi che la mera provenienza del richiedente asilo da Paese di origine sicuro possa automaticamente privare il suddetto richiedente del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale”.
C’è una giudice a Catania, potremmo dire parafrasando! E se è indubitabile che sulla scorta di solide argomentazioni che richiamano i principi basilari sulla gerarchia delle fonti (anima dello stato di diritto), questa non ha ritenuto sussistenti i presupposti per il trattenimento dei richiedenti asilo, è sulla scorta delle medesime argomentazioni che bisognerebbe fare un ulteriore passo: superare l’intero impianto del decreto Cutro.

credit foto ANSA/ CONCETTA RIZZO



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