La Serbia ha votato: Vučić è di nuovo presidente

Le elezioni in Serbia del 17 dicembre riconfermano Alexander Vučić e il suo partito. Tra le numerose accuse da parte della coalizione di opposizione di irregolarità come l’acquisto di voti o la scarse misure per la segretezza del voto alle urne, il partito Partito progressista serbo ha vinto con ampio distacco. Vučić è noto per essere un camaleonte della politica e per la sua abilità di cambiare veste. Da ministro dell’Informazione ai tempi di Milošević, , si presenta oggi come un convinto europeista, capace però di mostrarsi equidistante tra l’UE e la Russia di Putin: non ha votato le sanzioni alla Russia, ma si è guardato dal sostenere apertamente il regime nella guerra in Ucraina.

Christian Elia

Rispetto al lessico classico degli osservatori internazionali delle elezioni in giro per il mondo, “condizioni ingiuste” è valutazione piuttosto insolita. E’ quanto hanno riferito gli inviati dell’OSCE rispetto al voto che ha portato alle urne la Serbia nello scorso fine settimana.
Ha vinto, ancora una volta, Alexander Vučić e il suo Partito progressista serbo (SNS), con circa il 46% dei voti, mentre la coalizione di opposizione “Serbia contro la violenza” ha ottenuto il 23%, dimostrando ancora una volta di non essere capace di coinvolgere tutte le anime scontente della società serba.
Secondo l’opposizione si sarebbero verificati dei brogli, mentre l’organizzazione internazionale ha parlato di operazioni di voto “tecnicamente ben amministrate”, ma “dominate dal coinvolgimento decisivo del presidente che insieme ai vantaggi sistemici del partito al governo hanno creato condizioni ingiuste”.
E’ un po’ un giudizio su tutti quei regimi che costellano l’Europa Orientale, una sorta di autoritarismo soft che non ha bisogno di oppositori in carcere o pestati, ma che devitalizza le opposizioni con un processo che lentamente erode la capacità di organizzare il dissenso. E’ lo stesso per Orban in Ungheria, ma anche per certi versi per Edi Rama in Albania.
La missione, che oltre all’OSCE contava su inviati di Parlamento europeo e Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, ha anche aggiunto che il voto “è stato caratterizzato da una dura retorica, da pregiudizi nei media, da pressioni sui dipendenti del settore pubblico e da un uso improprio delle risorse pubbliche”.
Gli osservatori internazionali hanno sottolineato una serie di problemi riscontrati nei seggi elettorali. “Sono stati osservati casi di gravi irregolarità, tra cui l’acquisto di voti e il riempimento delle urne. Le misure per garantire la segretezza del voto erano insufficienti”, hanno affermato.
L’opposizione serba ha messo in dubbio la legittimità delle elezioni locali di Belgrado. Secondo le proiezioni, SNS ha vinto circa il 39% a Belgrado e Serbia contro la violenza il 34%. Ed è proprio Belgrado la sconfitta che all’opposizione brucia di più.
“La campagna elettorale è stata scorretta sotto tutti gli aspetti, dall’inizio fino al giorno delle elezioni”, ha detto Vladimir Obradović, candidato di Serbia contro la violenza a sindaco di Belgrado. Sentivano di potercela fare questa volta, anche grazie ai movimenti civici che si sono creati attorno alle battaglie contro il WaterFront, una mega speculazione edilizia che ha cambiato per sempre il volto del lungo fiume della Sava, o per le battaglie in difesa dell’habitat naturale attorno alla città di Novi Sad. “Le pressioni sugli elettori, l’acquisto di voti, gli elettori provenienti da altre aree e persino da altri Paesi sono solo alcune delle irregolarità che sono state osservate e segnalate dalle missioni di monitoraggio indipendenti”, ha detto Obradovic.
La missione internazionale non ha appoggiato fino in fondo le gravi accuse delle opposizioni, ma di sicuro il giudizio non è positivo.
“Considerando la portata e la diversità degli abusi elettorali a Belgrado”, ha dichiarato l’OSCE, “concludiamo che i risultati delle elezioni di Belgrado non riflettono la volontà liberamente espressa dagli elettori che vivono a Belgrado”. Vučić e il suo partito hanno negato le accuse.
Di sicuro, per il momento, il “sistema” Vučić non è in pericolo. Un sistema che compie dieci anni, tra mandato da primo ministro e poi come presidente. La sostenuta crescita economica della sua gestione, ha garantito a Vučić un consenso soprattutto nel ventre molle del paese, quello che da anni vede un crollo drammatico a livello demografico, perché tutti i giovani emigrano.
Oggi quei parametri economici – in gran parte garantiti dall’accoglienza alle aziende europee che esternalizzavano, come la vecchia FIAT a Kragujevac – non sono più rosei, ma l’equilibrismo di Vučić ha trovato una nuova miniera d’oro nei russi in fuga dalla guerra: con una legge ad hoc intere aziende russe si sono riciclate a Belgrado.
Aleksandar Vucic ha dominato la politica serba negli ultimi dieci anni, prima come primo ministro e poi come presidente, carica per la quale è al secondo mandato. Ha convocato le elezioni anticipate del 17 dicembre (parlamentari e locali) sfidando sondaggi non buoni, in particolare nella capitale, dove vive quasi un terzo della popolazione. E, in qualche modo, ha vinto.
D’altronde la sua storia è quella di un leader capace di mutare pelle e di cogliere le occasioni che la politica gli offre. Giovanissimo, era la voce del regime di Milosevic, come ministro dell’Informazione, durante la guerra in Kosovo nel 1999, quando pubblicamente dichiarava “per ogni serbo ucciso, moriranno 100 musulmani”.
Finita l’epoca d’oro del nazionalismo in politica, all’improvviso, è divenuto un europeista convinto. Ed è proprio in questa nuova veste, con l’appoggio Ue, ha potuto costruire il suo ‘sistema’, perché è nella legittimazione nelle istituzioni europee e nella capacità di essere ‘equidistante’ con la Russia (mentre la Serbia storicamente è stata un’alleata di Mosca) che Vučić ha potuto rendersi indispensabile in patria.
Un camaleonte che trova sempre qualcuno disposto a credergli, anche là dove sono molte le perplessità rispetto a quelle garanzie democratiche che secondo, ad esempio, Freedom House, non sono garantite.
A settembre, una recrudescenza della violenza nel nord del Kosovo, a maggioranza serba, ha provocato la morte di quattro persone, ravvivando i timori di instabilità regionale.
Ma il leader serbo ha recentemente fatto sapere di essere disposto a normalizzare formalmente le relazioni con il Kosovo. Ciò ha portato gli oppositori politici ad accusarlo di tradimento, nell’ennesimo tira e molla con i vecchi sodali nazionalisti che usa e scarica a seconda delle necessità
Dice di volere che la Serbia aderisca all’UE, che rappresenta oltre la metà del commercio serbo. Ma allo stesso tempo ha sostenuto relazioni amichevoli con la Russia e ha aperto la Serbia agli investimenti cinesi.
Per certi versi, Vučić sembra aver resuscitato la politica del maresciallo Tito che abilmente si seppe ritagliare uno spazio geopolitico tra i blocchi del tempo. E lo ha dimostrato, da grande ‘europeista’ come si racconta, quando ha rifiutato di votare le sanzioni alla Russia, ma ha sempre evitato di sostenere apertamente la politica di Mosca.
E ha vinto ancora, nonostante la rabbia per due sparatorie dello scorso maggio in cui sono state uccise 19 persone. Uno era in una scuola elementare di Belgrado. L’opposizione lo ha accusato di non aver mai davvero preso le distanze da quegli ambienti nazionalisti e con il culto delle armi, ma ancora una volta Vučić è uscito indenne ed è pronto a continuare a governare giocando le carte giuste su tavoli differenti.

CREDITI FOTO: ANSA / ANDREJ CUKIC



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