“La sinistra claudicante“. In ricordo di Domenico De Masi

È morto sabato 9 settembre a Roma il sociologo del lavoro e docente emerito dell'Università La Sapienza. Lo ricordiamo con un suo contributo per MicroMega 1/2023, “La sinistra è morta, viva la sinistra?”, dove l'intellettuale tratta “lo stato d'arte” della sinistra italiana, dai partiti ai movimenti della società civile, dall'economia alla guerra.

Domenico De Masi

Nel numero 1/2023 Paolo Flores d’Arcais ha posto 25 quesiti/riflessioni sulla sinistra italiana a 25 personalità del mondo politico, giornalistico e culturale. Questo articolo racchiude le risposte di Domenico De Masi.

1. Come direbbe Garcia Lorca, “muore anche il mare”. Anche MicroMega può sbagliare. In Italia la sinistra è viva, anche se claudicante. Esiste la sua “materia prima”, cioè 14 milioni di italiani poveri, sia assoluti che relativi. Esiste il suo antagonista politico uno e trino, cioè un governo composto da tre partiti conservatori che, essendo tre, spingono almeno uno di essi a essere estremista. Esistono intellettuali di sinistra, che mettono la propria intelligenza al servizio del proletariato e del sottoproletariato. Esistono centinaia di organizzazioni volontarie di sinistra che aggiornano la teoria e sperimentano la pratica. Esistono tre formazioni politiche di sinistra: una (il Pd) radicata nella borghesia; una (i 5 Stelle) sempre più attenta al precariato; una (Unione popolare) che si pone come vestale del pensiero e del metodo marxista.
2. A partire dagli anni Ottanta (Reagan+Thatcher) il neoliberismo ha cominciato a infiltrarsi sia nel Pci di Berlinguer, sia nell’Msi di Almirante. Il burattinaio Mario Draghi, direttore generale del Tesoro dal 1991 al 2001, è riuscito in un capolavoro di perfidia politica: far fare le privatizzazioni (cioè l’atto di politica economica più squisitamente destrorso) proprio a quattro governi di sinistra: uno di Amato, due di D’Alema, uno di Prodi. Da quel momento, mentre i poveri aumentavano percentualmente, i partiti di sinistra li abbandonavano per convergere sempre più al centro, inseguendo una classe media che, intanto, economicamente si proletarizzava e politicamente spariva nell’astensionismo.
3. Resta valida la lettura marxiana: i 14 milioni di precari sono “classe in sé”; per diventare forza antagonistica vincente hanno bisogno di diventare “classe per sé”. Debbono cioè diventare massa consapevole di essere sfruttata, consapevole di chi sono gli sfruttatori, di quali sono i meccanismi dello sfruttamento, di quale organizzazione gli occorre per riscattarsi, consapevole di quali sono i veri alleati e i finti amici, di quale è la posta in gioco. Per fecondare il passaggio da “classe in sé” a “classe per sé” occorre un partito. Questo partito c’è stato fino a Berlinguer, poi si è sfilacciato e la sua parte più consistente ha abbandonato la propria missione primigenia per farsi partecipe di quello stesso potere che avrebbe dovuto abbattere. La “società civile” non è stata capace di impedirglielo ma è stata capace di limitare i danni.
D’altra parte non era facile tener dietro ai mutamenti rivoluzionari che si sono succeduti a valanga nella struttura della società. Mentre le nuove tecnologie andavano sostituendo buona parte degli operai con i robot e parte degli impiegati con i computer, lo sfruttamento si estendeva dal piano economico (dove la contrapposizione è tra lavoratori e proprietari dei mezzi di produzione) al piano culturale (dove la contrapposizione è tra detentori dei mezzi di comunicazione e destinatari delle informazioni). Ciò comporta che la fascia degli sfruttati, anziché restringersi, si è estesa comprendendo non solo il proletariato operaio ma anche parte della classe media che si va proletarizzando. L’interpretazione politica di questo fenomeno tutt’altro che semplice è stata subito chiara ai sociologi geniali della Scuola di Francoforte, ma ha stentato a essere metabolizzata da noi semplici mortali. La nostra attenuante è che si è trattato di un cambiamento rivoluzionario ma, tuttavia, poco rilevabile a prima vista perché le differenze culturali sono molto meno evidenti delle differenze economiche e si traducono in modo molto meno automatico in condizione di classe e in lotta di classe.
In sintesi, la borghesia si è in parte proletarizzata senza rendersene conto e senza assumere un atteggiamento antagonistico nei confronti della parte non proletarizzata. Si aggiunga a tutto questo che le condizioni oggettive sia del proletariato sia della borghesia proletarizzata sono molto meno drammatiche di quanto fossero all’epoca di Marx e, quindi, rendono più complessi i meccanismi dello sfruttamento e meno automatica la ribellione. Nei paesi dell’Ocse, vivono ormai in condizioni assimilabili a quelle della classe operaia descritte da Engels soltanto gli extracomunitari clandestini, peraltro poco aggregabili in classe per motivi di vario genere. Dunque l’affievolirsi della lotta di classe non è riconducibile tanto all’inerzia o alla perfidia delle avanguardie di sinistra quanto alle difficoltà oggettive di trasformare la “classe in sé” in “classe per sé”, provocate dalla sostituzione della società industriale con quella postindustriale.

4. La sinistra della società civile non è stata capace né di correggere gli errori dei partiti di sinistra sempre più devianti, né di farsi essa stessa partito alternativo a quei partiti. Del resto le aggregazioni di sinistra della società civile sono assimilabili più a movimenti che a partiti. Ma esse hanno tenuto in vita l’impegno teorico e pratico che tocca ai militanti di sinistra.
Sarebbe ora che, oltre a denunciare gli errori dei partiti di sinistra, noi intellettuali di sinistra riflettessimo anche sui nostri errori, «evitando ogni tentazione di edulcorarli o minimizzarli». Primo di tutti, la spocchia intellettuale.
5. Le “Sardine” sono un movimento di sinistra, non un partito. Si può chiedere a esse di smuovere le acque, non di fare chiarezza politica ed elaborare una strategia. La società civile ha trascurato l’analisi sociologica dei movimenti e la loro differenza rispetto ai partiti. Un movimento è come un mucchio di sabbia in cui possono coesistere alla rinfusa granelli di vari colori, accomunati da un rancore contro qualcosa e dal desiderio di rimuovere quel qualcosa. Un partito è come un mattone in cui coesistono in modo sistemico solo i granelli dello stesso colore, che non si accontentano di rimuovere un qualcosa nell’immediato, ma che intendono fondare un mondo nuovo in base a un nuovo modello di società.
I movimenti possono essere aiutati a diventare partiti. A mio avviso, uno dei compiti degli intellettuali di sinistra era quello di aiutare movimenti come i 5 Stelle o come le Sardine a diventare partiti di sinistra. Ma la spocchia ha impedito loro di studiare a fondo questi due movimenti bollandoli subito e senza appello come mediocri, ignoranti, incapaci.
Credo di essere stato l’unico intellettuale di sinistra a non avere snobbato i 5 Stelle e ad aver condotto ricerche sociologiche rigorose su di essi, facendo tutto il mio possibile per spingere questo movimento a diventare partito e collocarsi a sinistra del Pd.
6. Non c’è dubbio che il velo sia simbolo di oppressione della donna. Fino a qualche anno fa i cattolici lo hanno fatto portare solo alle donne e solo in chiesa, senza che la sinistra italiana si ribellasse a questa discriminazione, di cui neppure si accorgeva. Noi usiamo come saluto il termine “ciao”, cioè “schiavo”, che è stato non solo simbolo ma anche dichiarazione volontaria di sottomissione. Gli esempi di oppressione simbolica sono infiniti in tutte le società. Anche nelle modernissime imprese postindustriali restano numerosi i simboli di oppressione tuttora tollerati.
È più difficile rifiutare i simboli dell’oppressione che non l’oppressione. Perché il simbolo è sfumato, astratto, sfuggente, mentre l’oppressione è concreta, presente, dura, dolorosa. L’oppressione attiene alla struttura, il simbolo attiene alla cultura. E la cultura è molto più resistente ai tentativi di modificarla.
Ruolo eluso dagli intellettuali di sinistra è stato quello di accollarsi il compito lungo, paziente di modificare le tante culture reazionarie che accompagnano la modernità.

7. Cominciamo col ricordare che è difficile dire cosa sia “Occidente”. Aggiungiamo che “il tramonto dell’Occidente” è un refrain cui, negli ultimi decenni, sono stati dedicati diecine di studi, da destra e da sinistra. Difendere (come accusare) in tutto e a ogni costo l’Occidente rappresenta una forma gravissima di sovranismo, applicato non a una nazione ma a un insieme di nazioni accomunate sotto l’unica etichetta di “Occcidente”. Riconosciamo, infine, che i popoli colonizzatori (ieri con le armi, oggi con l’economia e con la cultura) fanno bene ad avere complessi di colpa nei confronti dei popoli colonizzati e farebbero meglio ancora se smettessero di colonizzare.
L’antropologia strutturale di Lévi-Strauss ci consiglia di metterci sia nei panni di chi opprime sia in quelli di chi è oppresso quando entrambi appartengono a una cultura diversa dalla nostra.
8. In ogni sistema sociale – come ha detto il troppo citato Carlo M. Cipolla – l’intelligenza dei soggetti si dispone secondo una gaussiana. Perché dovrebbe fare eccezione il popolo di sinistra? Sinistra non significa tutti geni e tutto bene sotto tutti i punti di vista; destra non significa tutti idioti e tutto male sotto tutti i punti di vista. Ci piaccia o no, Stalin e Mao sono di sinistra: hanno fatto cose positive di sinistra e hanno fatto cose pessime che, non per questo, sono di destra.
9. Non esageriamo! Da quale ricerca scientifica risulta che questa idiozia dell’appropriazione culturale rappresenti il common sense di gran parte degli intellettuali che si immaginano a sinistra? Non di gran parte si tratta ma di un’esigua minoranza talebana. Per fortuna la stragrande maggioranza della sinistra continua a pensare che Madame Bovary sia un capolavoro letterario anche se il suo autore Flaubert prima di scriverlo non aveva sposato un medico, non lo aveva tradito e non si era suicidato. La sinistra ha grandi handicap reali, quindi non occorre aggravare la sua condizione già straziante accollandole anche difetti presenti in una sua minoranza, più ridicoli che dannosi.

10. Tornare al Cipolla del punto 8. È certo che, nel corso dei secoli, il razzismo (come pure il maschilismo) si sia insinuato, anche senza che ce ne rendessimo conto, in tutte le espressioni della nostra cultura e del nostro linguaggio. È comprensibile che coloro che hanno preso atto di questo fenomeno negativo cerchino di riparare nel miglior modo possibile. Ma i cretini, come già detto, sono onnipresenti anche nelle file dei bene intenzionati, determinando esagerazioni coerenti con il loro basso quoziente intellettuale. Ma non prevarranno. Non glielo consentiremo. Riuscirebbero a prevalere solo nella misura in cui le persone intelligenti, invece di indignarsi e reagire, preferissero lasciar correre. Ma, per fortuna, la bellezza e l’intelligenza perdurano.
11. Quanto a violenza in genere, le statistiche ci assicurano che la percentuale di uomini violenti è molto maggiore di quella di donne violente. Quanto alla violenza sessuale in particolare, le statistiche sono ancora più drastiche: gli uomini sessualmente violenti sono molto più numerosi delle donne che commettono lo stesso reato. Non conosco le statistiche sulle molestie, ma anche in questo caso è assai probabile che i molestatori siano tuttora più numerosi delle molestatrici. In effetti, mentre lo stupro è suscettibile di prova oggettiva (o è o non è), la molestia può assumere infinite sfumature, che vanno dagli sguardi insistenti alle manate volgari, e può destare infinite reazioni che vanno dall’indignazione al compiacimento.
12. È encomiabile la tempestività con cui MicroMega inietta tra i suoi lettori gli anticorpi contro gli estremismi talebani prima ancora che i virus si diffondano nella sinistra in misura irreparabile. Nelle battaglie culturali, anatemi e linciaggi sono armi di distruzione di massa.

13. Su questi problemi era centrato l’ultimo convegno annuale della Fondazione Veronesi, dove scienziati di varie discipline hanno trattato il problema che mi è parso molto più complesso di quanto io sia capace di trattare in questa sede.
14. Mi chiedo se Gandhi, pacifista, fosse di sinistra. In caso positivo, mi chiedo se il suo modo vincente di trattare i rapporti tra lui prevaricato e i suoi prevaricatori non possa essere adottato in molte altre circostanze, compreso l’attuale conflitto tra Usa e Russia condotto in Ucraina.
Perché, nel XXI secolo, la sinistra «non può essere pacifista»? Chi glielo impedisce? Tanto più che oggi le guerre si potrebbero spostare nel metaverso così come, a suo tempo, Roma e Albalonga la delegarono a tre Orazi e tre Curiazi.
In presenza delle armi nucleari, tutte le guerre sono anticamera del baratro e, in epoca nucleare, l’eventualità di una guerra va trattata in modo ben più diplomatico di quanto avvenisse in epoche pre-industriali. Come ho già ricordato in un numero precedente di MicroMega (4/2022), si tenga conto che basterebbero 600 bombe atomiche delle 12.725 già disponibili per causare l’estinzione dell’intera specie umana e che oggi 1.800 testate sono poste in stato permanente di “massima allerta operativa”.
In questa situazione aberrante mi pare che il pacifismo e lo smantellamento totale degli armamenti di ogni genere siano le uniche ancore di salvezza cui aggrapparsi. L’Europa dai Pirenei agli Urali che unisca tutti i Paesi del continente mettendo l’una accanto all’altra, pacificamente, le loro lingue, le loro letterature, le loro musiche, la loro arte, le loro economie, le loro tradizioni, senza nessun esercito e con un welfare imponente, consentito dal risparmio delle spese militari, rappresenterebbe una conquista storica, prima nel suo genere, invincibile perché armata solo di cultura.
15. Mi sembra, questo, uno scenario di fuorviante semplicità.

16. L’enunciato di questa domanda è un corollario di quello della domanda precedente e ne certifica le conseguenze logiche. Ma la situazione non è affatto cristallina come viene definita. Non va da sé che si dovessero mandare più armi di quante se ne sono mandate né va da sé che chi, di sinistra, coltiva i valori di giustizia e libertà, debba condividere i due enunciati.
17. Ma Putin è d’accordo? Davvero si pensa che sia realistico subordinare rigidamente la pace al ritiro dall’Ucraina delle truppe di Putin e al pagamento dei danni di guerra? Davvero si pensa che Putin accetti due condizioni di questo genere? Davvero si pensa che l’inflessibilità su queste due condizioni debba spingersi fino al punto di giocarci la distruzione nucleare dell’Europa con tutti i suoi abitanti e tutta la sua cultura materiale?
18. Tutto ovvio. Ma non è infantile questa elencazione di contributi positivi alla civiltà da parte dell’Occidente? Stiamo parlando tra persone colte e “di sinistra”, che hanno ben chiara la lunga serie di pregi e difetti, peccati e virtù del cosiddetto Occidente. Abbiamo letto i vari tramonti e i vari declini; conosciamo a memoria i massacri, gli sfruttamenti, le idee sublimi, le azioni eroiche, le vigliaccherie e i cinismi degli “occidentali”. Sappiamo perfino che l’Occidente ha inventato gli antibiotici e l’orchestra sinfonica. Ma il colonialismo, il fascismo, il nazismo, la Shoah non sono Occidente?
La peggiore deriva reazionaria della sinistra, quella da cui discendono tutte le altre, è soprattutto aver reciso i suoi legami con gli sfruttati, aver lasciato campo libero al neoliberismo, essersene fatta complice, aver reagito blandamente all’aumento delle disuguaglianze e al dilagare della precarietà, aver lasciato ai capitalisti il monopolio dell’agire rivoluzionario.

19. Ovvio.
20. Nella stragrande maggioranza dei casi i No vax sono stati di destra. Comunque un discorso sulla scienza richiederebbe distinzioni sottili tra scienza e tecnologia, tra scienza pura e scienza applicata. La scienza ha prodotto sia gli antibiotici che la bomba nucleare “Big Ivan”.
Marx ha definito il suo pensiero come una «scienza dello sviluppo storico oggettivo» e il socialista Bernstein ha ribadito che, nel rispetto del metodo marxiano, qualsiasi programma della sinistra deve partire da una scrupolosa analisi oggettiva della singola struttura sociale. Ogni sua prassi va pensata e organizzata in base alle differenti e mutevoli condizioni concrete. È in ossequio a questo principio, per esempio, che i sociologi di Francoforte spostarono la loro analisi dall’industria metalmeccanica all’industria culturale. Dunque non ci può essere una sola sinistra così come non c’è un unico sistema di sfruttamento e un unico tipo di sfruttati. Né mancano esempi in cui gli sfruttati siano anche sfruttatori e viceversa.
21. Oggi, in Italia, la sinistra ha almeno tre anime. Vi è l’anima di coloro che si rapportano tenacemente alle origini del movimento proletario, ne ripassano devotamente la letteratura, ne rispettano lo spirito in modo ortodosso e ne applicano i metodi in modo radicale. Il limite di questi “compagni” sta nell’inclinazione a frammentarsi in sottogruppi ma De Magistris è riuscito miracolosamente a convogliarne tre o quattro in Unione popolare e non è escluso che riesca ad attrarne altri ancora. Comunque, con la sua tenace ricerca di autenticità e col suo movimentismo, questo ramo della sinistra svolge un utile ruolo di elaborazione teorica e di vigilanza, creando un baluardo contro eventuali sbandamenti verso posizioni neoliberiste. Di questo gruppo farebbero parte anche La Sinistra e Articolo Uno se, alla vigilia delle elezioni, non si fossero spostati nel gruppo seguente.
La seconda anima della sinistra era già prevista da Marx ed Engels nel Manifesto. Essa appartiene a una frazione della borghesia che, senza disertarla, si schiera blandamente con la classe dominata, magari solo parlandone appassionatamente nei salotti ma comunque votando per i partiti di sinistra e prestandosi volentieri a rappresentarli in parlamento. Il Pd è portatore di questa seconda anima.
Infine vi è una terza anima della sinistra rappresentata da coloro che aderiscono istintivamente ai suoi princìpi, ai suoi obiettivi e alle sue azioni senza però un’adeguata competenza circa la storia, il paradigma e l’organizzazione di ciò che va inteso canonicamente come “sinistra”. I 5 Stelle sono portatori di quest’anima che però ha bisogno di verbo per farsi carne.
Oggi i partiti che incarnano queste tre anime si scrutano a vicenda, ognuno accusa gli altri due di eresia e ognuno teme di perdere la propria autenticità se si unisce agli altri. Ma forse è preferibile che questa unione, che finirebbe prima o poi per sfaldarsi, non avvenga. Forse è meglio che ciascuno dei tre partiti si impegni a perfezionare la propria specifica identità, si liberi dei furbastri che l’insidiano dall’interno e marci separatamente, per proprio conto, senza complessi di colpa, consapevole della sua dignitosa utilità politica ma pronto a colpire insieme agli altri due quando, a suo tempo, vi saranno nuove elezioni.
Io che scrivo e probabilmente la maggior parte di voi che leggete siamo borghesi. È un puro caso o un nostro merito aver scelto come campo politico la sinistra. È merito del Pd se alcuni abitanti dei Parioli votano a sinistra invece che per Calenda o per Fratelli d’Italia.
Dunque sarebbe bene che ognuna delle tre anime alimentasse e perfezionasse se stessa, riconoscendo che la sinistra, per sua natura, è una e trina.

23. Credo di essere, tra tutti gli intellettuali italiani di sinistra, uno dei pochi che, per sana curiosità sociologica, ha studiato più a lungo, con maggiore costanza e rispetto i 5 Stelle nella loro evoluzione, mentre la maggior parte li snobbava ostentatamente o li trattava con superiorità se non con disprezzo. Se altri intellettuali avessero fatto qualcosa di simile, avrebbero potuto accompagnare, accelerare e irrobustire la maturazione politica dei 5 Stelle e la loro progressiva collocazione a sinistra. I 5 Stelle sono milioni e rappresentano una forza che si sta trasformando – sia pure in modo confuso – da movimento in partito, da movimento interclassista e indifferenziato in partito di classe e di sinistra.
Non mi pare che Conte sia stato il “vice” di Salvini per troppo tempo: ben presto lo ha ripudiato e umiliato implacabilmente, davanti a tutto il parlamento e a tutta la nazione.
Pure essendo un borghese e un accademico, Conte sta facendo un viaggio in tutta Italia per mobilitare il popolo del Reddito di cittadinanza: proletario e sottoproletario. Dunque non si sta limitando a compiere un suo itinerario personale verso sinistra ma sta dando vita a una prassi – sia individuale sia del partito – che noi intellettuali di sinistra, frequentatori a tavolino dei valori, della storia, dei mondi delle sinistre, ci guardiamo bene dal compiere.
Non so se il caso di Conte sia accostabile a quello di Saulo, né riesco a prevedere se la sua evoluzione politica lo porterà a un compiuto approdo a sinistra. So che oggi in Italia vi sono solo due leader politici: Conte a sinistra e Meloni a destra.

24. Questo giudizio va tarato meglio in base ai dati concreti, così come richiede un buon metodo “di sinistra”. Nella scorsa legislatura i parlamentari 5 Stelle potevano vantare, rispetto a tutti gli altri partiti, la maggiore percentuale di giovani, di donne e di laureati. La loro qualità era infima, ma meno infima di quella di tutti gli altri partiti. Del resto, stento a vedere dei Gramsci o dei Berlinguer nel Pd, degli Einaudi o dei Croce intorno a Calenda e a Salvini. A livello territoriale, gli attivisti 5 Stelle sono più numerosi, generosi, motivati, dinamici di quelli attivi in ogni altro partito. Sia nel Senato sia alla Camera non si vedono né rondini, né primavere.
25. Per rispondere a quesiti così numerosi e complessi occorrerebbe un nuovo questionario ad hoc, non meno corposo di questo cui sto rispondendo. Come primi suggerimenti, del tutto estemporaneei mi sento di azzardarne quattro:
1) Gli intellettuali di sinistra debbono abbandonare la loro spocchia e rimettersi a studiare: studiare non solo i testi classici e recenti della sinistra, ma anche quelli della destra: Roger Scruton non meno di Eric Hobsbawm, Russell Kirk non meno di André Gorz.
2) Il coordinamento, la circolazione di idee, di esperienze e momenti di lotta, tra la miriade di gruppi della società civile, straordinari per impegno e dinamismo, oggi sono resi possibili dalle moderne tecnologie della comunicazione. Persino i 7.800 tassisti di Roma sono collegati in tempo reale tramite ItTaxi mentre gli impiegati della Cgil ancora non fanno nemmeno lo smart working.
3) Occorre rivoluzionare i vecchi partiti e i vecchi sindacati, affidandone la modernizzazione organizzativa a grandi esperti del management politico, capaci di unire ideologia e pratica basandosi sulle acquisizioni concettuali ricavate da rigorose ricerche sociologiche sostitutive dei sondaggi-truffa.
4) Occorre operare una selezione severissima dei leader e una loro formazione altrettanto severa in scuole solide come le Frattocchie ma tecnologicamente moderne come Coursera.

CREDITI FOTO Flickr | TV Brasil – EBC 

 



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