La strage di Debra Libanòs e gli altri crimini dei “bravi italiani”

Il 20 maggio 1937, migliaia fra monaci, preti e pellegrini ortodossi erano radunati per una festività religiosa. Nel corso di una settimana vennero barbaramente trucidati dalle truppe italiane comandate dal generale Pietro Maletti, per ordine del viceré Rodolfo Graziani. La strage di Debra Libanòs è uno dei crimini più efferati e più significativi del colonialismo italiano in Etiopia.

Francesco Troccoli

Nel calendario dei crimini commessi dall’Italia nelle sue colonie sin da prima dell’avvento del fascismo merita un posto di rilievo la strage di Debra Libanòs. Presso il monastero copto in Etiopia si radunarono infatti a partire dal 20 maggio 1937 per una festività religiosa migliaia fra monaci, preti e pellegrini ortodossi, che nella settimana successiva vennero barbaramente trucidati dalle truppe italiane comandate dal generale Pietro Maletti, per ordine del viceré Rodolfo Graziani. Il massacro dei religiosi fu solo l’ultima in ordine di tempo delle efferate conseguenze del fallito attentato allo stesso Rodolfo Graziani qualche mese prima, precisamente il 19 febbraio 1937. Il pretesto per il massacro dei religiosi fu proprio il sospetto del viceré che il monastero avesse dato rifugio agli attentatori, sfuggiti alla vendetta consumatasi a partire dal giorno successivo all’attentato.
A febbraio si era infatti verificata una strage di proporzioni anche più ampie, proprio per “punire” la popolazione della capitale Addis Abeba. Si era trattato di una rappresaglia di proporzioni e violenza inaudite: esercito, camicie nere, ma anche operai, impiegati, civili coloniali erano scesi in strada con il tacito nulla osta a trasformare la città in una immensa macelleria umana a cielo aperto, con l’uso di bastoni, badili, pugnali e armi da fuoco. Intere famiglie furono bruciate nelle loro case, chiunque avesse la pelle scura poteva essere colpito a morte senza nessuna pietà e nella totale impunità.

Per la cronaca, nulla di tutto questo ha minimamente interferito con il recente viaggio in Etiopia di Giorgia Meloni, avvenuto lo scorso aprile, dunque proprio nella ricorrenza delle date della vergognosa e criminale sottomissione dell’Etiopia, che si perfezionò all’inizio di maggio del 1936, procurando all’Italia l’applicazione di sanzioni internazionali. Il 19 febbraio corrisponde allo Yekatit 12 del calendario etiope ed è tuttora giornata di lutto nazionale in Etiopia. È questo anche il nome della piazza di Addis Abeba dove un obelisco  ricorda l’eccidio, e oggi è anche il nome della Rete Yekatit 12-19 Febbraio, costellazione aperta, fluida e informale formatasi dal basso grazie a soggetti e associazioni che da anni si interessano della storia coloniale italiana e delle sue difficili eredità e conseguenze.

Al di fuori della cerchia degli studiosi e degli storici, è poco noto nella cultura generale, per non parlare della scuola di ogni ordine e grado, che sia esistito un fenomeno colonialista italiano, e ancor meno lo sono i suoi prevalenti tratti criminali, mascherati dal falso mito dell’italiano “colonizzatore buono” a confronto con i francesi, i belgi o gli inglesi, i cui imperi coloniali erano molto più datati e consolidati del nostro. “Italiani brava gente”, il titolo che lo storico Angelo Del Boca diede alla sua opera omnia attraverso la quale per primo svelò la verità, era in realtà mutuato da un film di Giuseppe De Santis del 1964 prodotto anche con il concorso di PCUS e PCI e riguardante la disastrosa campagna di Russia. Scopo del film era operare una distinzione di matrice ideologica fra il “cattivo soldato tedesco” e “il buon soldato italiano”, altro falso storico che ha purtroppo costituito l’archetipo di quella narrazione buonista e autoassolutoria che è oggi il principale ostacolo alla diffusione della verità storica sul colonialismo del nostro paese, oltre che sulle reali responsabilità degli italiani nelle innumerevoli stragi commesse dai nazifascisti in Italia, come evidenziato dal recente scandalo destato dalle parole di Giorgia Meloni sulle ragioni della strage delle Fosse Ardeatine.

I summenzionati fatti d’Etiopia rappresentarono il culmine del colonialismo italiano e della sua crudeltà sotto il regime fascista. Ma la storia inizia da lontano. Appena unificata la penisola, nemmeno Roma era capitale che già nel 1869 gli ideali risorgimentali di libertà e autodeterminazione dei popoli vennero traditi con la creazione del primo nucleo del nostro Oltremare, sul Mar Rosso, grazie all’acquisto della baia di Assab da parte della compagnia di navigazione Rubattino come prestanome e con la mediazione dal prelato Giuseppe Sapeto. Nel successivo ventennio gran parte dell’attuale Eritrea e una parte dell’attuale Somalia vennero sottomesse militarmente, spesso al prezzo di pesanti sconfitte subite dall’Italia, oggi celebrate nelle nostre strade e piazze da altisonanti nomi di luoghi di battaglie e di capi militari e politici resisi spesso responsabili di azioni criminali in guerra e in pace. Si sarebbero dichiarati favorevoli alla campagna coloniale persino intellettuali di sinistra come il poeta Giovanni Pascoli, di cui restò tragicamente celebre il detto “la grande proletaria s’è mossa” in occasione del successivo inizio della campagna di Libia.

Da allora, l’elenco dei delitti commessi prima, durante e in qualche modo anche dopo il fascismo, è spaventoso. Già nel decennio 1880-1890 nell’ordinaria amministrazione in Africa orientale vennero commessi crimini che determinarono una commissione d’inchiesta sui cosiddetti “fatti d’Eritrea”, ossia stragi e sevizie che fecero scandalo in Italia e che sarebbero stati infine attribuiti alla “indole selvaggia dei soldati indigeni”, in uno straordinario capovolgimento di ruoli fra vittime e carnefici. Con il volgere del secolo fu poi il turno della Libia, sottomessa a fatica e solo parzialmente prima del fascismo, a partire dal 1911, e poi definitivamente schiacciata fra le due guerre mondiali con l’uso dei gas e della deportazione di centomila civili nei primi “moderni” campi di concentramento in Cirenaica, che avrebbero rappresentato un esemplare modello, appena un decennio dopo, per i campi di sterminio nazisti. La conquista stessa dell’Etiopia, che i governi prefascisti avevano rinunciato a compiere dopo la disfatta di Adua, si completò il 5 maggio 1936, giorno in cui Pietro Badoglio entrava a cavallo in Addis Abeba dopo una campagna di conquista che aveva visto l’uso indiscriminato, come già in Libia, di gas come iprite e fosgene, con cui decine di migliaia di bambini, donne e uomini erano stati sterminati. Sono ben 27 i telegrammi con i quali insistentemente Mussolini autorizzava il Regio Esercito a usare qualsiasi tipo di gas. Se oggi ne siamo a conoscenza è grazie all’opera di Del Boca, che sulla veridicità del bombardamento a gas si scontrò con l’ex coloniale Indro Montanelli, che dapprima negò e poi dovette fare pubblica ammenda.
Alle centinaia di migliaia di morti in Africa andrebbero poi aggiunti i civili massacrati in modi vari anche in Grecia, Albania ed ex Jugoslavia e neppure possiamo dimenticare, negli stessi anni dell’Etiopia, la guerra civile spagnola. Complessivamente, si stima che il colonialismo italiano abbia causato da solo più di mezzo milione di morti, fra militari e civili, in gran parte africani. In nome di queste vittime dei genocidi nostrani giace disattesa in Parlamento dal 2006 una proposta di legge sulla Giornata della memoria delle vittime del colonialismo italiano, avallata dalla recente mozione del comune di Roma per la sua istituzione, e restano invece scolpite con immeritato onore le targhe di strade e monumenti che in tutta Italia celebrano luoghi e persone senza l’ombra di una spiegazione minimamente veritiera dei fatti e degli individui a cui si riferiscono.

Ma cosa ne è stato, in seguito, di coloro che si macchiarono di tutto questo? Per restare ai due maggiori responsabili, basti al lettore pensare al mausoleo di Rodolfo Graziani, il “macellaio del Fezzan” o anche “il macellaio di Addis Abeba”, che è stato eretto dalla Regione Lazio ad Affile, o alla casa di Pietro Badoglio a Grazzano Monferrato, ribattezzato in suo onore Grazzano Badoglio nel 1938, toponimo che nessuno si è mai sognato di cambiare. Oggi nella home page del comune di Grazzano spicca proprio l’effigie del “maresciallo d’Italia”, l’abitazione del quale è diventata un celebratissimo museo locale. Anche quest’anno l’ANPI, il prossimo 27 maggio, si recherà ad Affile per la ormai consueta protesta contro il mausoleo di Graziani.

Badoglio, Graziani. Due criminali di guerra, con tutta probabilità i peggiori di tutta la storia coloniale italiana e che, come tanti altri, non sono mai stati processati per questi fatti. Graziani scontò appena quattro mesi di carcere, ma non fu per le sue responsabilità nelle ex colonie, bensì per il ruolo successivo che ebbe nella Repubblica Sociale Italiana. Una volta uscito, divenne dirigente del Movimento Sociale Italiano. Pietro Maletti, che aveva comandato i militari impiegati nella strage di Debre Libanos, morì in Libia durante un attacco britannico nel 1940 e fu decorato con una medaglia d’oro. Appena vent’anni dopo suo figlio Gianadelio si ritrovò ai vertici dei servizi segreti (deviati) dell’Italia repubblicana, nella stessa epoca in cui anche avere un lontano parente comunista impediva l’accesso alle forze armate.

Come per molte altre manifestazioni e azioni del fascismo, l’Italia repubblicana non ha mai davvero voluto fare i conti con la propria eredità coloniale. Al punto che il colonialismo italiano riuscì persino a resistere alla caduta del regime e alla fine della monarchia. La neonata repubblica, negando la continuità con il precedente regime e con il regno, e abdicando a qualsiasi responsabilità storica del nuovo Stato, pretese e ottenne infatti dalle potenze vincitrici di continuare ad amministrare la Somalia per un decennio, dal 1950 al 1960. Se i somali preferiscono tuttora declinare scherzosamente il significato dell’acronimo AFIS (“Amministrazione fiduciaria italiana in Somalia”) come “Ancora fascisti in Somalia”, a quanto pare non hanno poi tutti i torti.

In occasione dell’anniversario della strage di Debra Libanòs La sezione San Lorenzo dell’ANPI ha organizzato presso la Libreria Tomo di Roma, per il 24 maggio prossimo, la presentazione di due libri (“Roma coloniale” di Carlo Boumis e Silvano Falocco e “Nato da un crimine contro l’umanità” di Alessandro Ghebreigziabiher), che prendendo entrambi spunto dal problema della toponomastica analizzano il fenomeno coloniale italiano e le sue implicazioni sull’attualità. Parteciperà Fabrizio De Sanctis, Presidente dell’ANPI provinciale di Roma.

CREDITI FOTO: Wikipedia



Ti è piaciuto questo articolo?

Per continuare a offrirti contenuti di qualità MicroMega ha bisogno del tuo sostegno: DONA ORA.

Altri articoli di Francesco Troccoli

Stabilendo la Giornata della Memoria per il 27 gennaio (liberazione di Auschwitz) e non il 16 ottobre (deportazione degli ebrei romani) la memoria storica ha eluso le colpe italiane.

Altri articoli di Cultura

In questa puntata di "Mappe del nuovo mondo": "La preda e altri racconti" di Mahasweta Devi e "I figli della mezzanotte" di Salman Rushdie.

“Dalla stessa parte mi troverai”, di Valentina Mira, stana il fascismo eterno della destra di governo mascherato dalle vesti istituzionali.

Nella filosofia di Confucio si ritrovano molti principi che consentono al potere di Xi Jinping in Cina di presentarsi come saggio.