La tendenza dei pacifisti italiani a modificare gli appelli internazionali

Dalle parti della sinistra italiana, a proposito della guerra in Ucraina, si è affermata una singolare abitudine: aderire ad appelli internazionali, per poi modificarne il testo (e il senso) a proprio piacimento. La domanda è semplice: perché i pacifisti nostrani omettono di condannare l’invasione russa dell’Ucraina e i nostri richiedenti la liberazione di Kagarlitsky evitano accuratamente di denunciare la repressione generalizzata che vige in quel Paese?

Germano Monti

Dalle parti della sinistra italiana, a proposito della guerra in Ucraina, si è affermata una singolare abitudine: aderire ad appelli internazionali, per poi modificarne il testo (e il senso) a proprio piacimento. Di seguito, un paio di esempi freschi freschi.
Lo scorso 11 giugno, un vasto schieramento di associazioni, comitati e realtà della cosiddetta società civile internazionale si è riunito a Vienna e, dopo due giorni di incontri e dibattiti, ha diffuso un testo, titolato Dichiarazione di Vienna per la Pace. Si tratta, sostanzialmente, di un appello alla mobilitazione per sollecitare un cessate il fuoco e l’avvio di negoziati che pongano fine alla guerra in corso. La proposta è quella di una settimana di mobilitazione globale (da sabato 30 settembre a domenica 8 ottobre 2023) per un cessate il fuoco immediato e per negoziati di Pace che pongano fine a questa guerra”.
Nel corpo del testo si legge “Condanniamo l’invasione illegale dell’Ucraina da parte della Russia. Le istituzioni create per garantire la Pace e la sicurezza in Europa hanno fallito e il fallimento della diplomazia ha portato alla guerra. Ora la diplomazia è urgentemente necessaria per porre fine al conflitto armato prima che distrugga l’Ucraina e metta in pericolo l’umanità.
Il cammino verso la Pace deve basarsi sui principi della sicurezza comune, del rispetto internazionale dei diritti umani e dell’autodeterminazione di tutte le comunità.
Sosteniamo tutti i negoziati che possano rafforzare la logica della Pace invece dell’illogica della guerra.
Affermiamo il nostro sostegno alla società civile ucraina che difende i propri diritti. Ci impegniamo a rafforzare il dialogo con coloro che in Russia e Bielorussia mettono a rischio la propria vita per opporsi alla guerra e proteggere la democrazia”.
Nell’appello italiano per la mobilitazione del 7 ottobre, scompare ogni riferimento alla condanna dell’invasione russa e al dialogo con gli oppositori russi e bielorussi, anche se si ammette che la guerra è “iniziata con l’aggressione russa”. D’accordo, è sempre meglio di quelli che sognano un arcobaleno rimasticando la storiella del “genocidio nel Donbas” e proponendo, come strada per giungere alla pace, l’idea geniale di disarmare gli aggrediti e premiare gli aggressori, togliendo le sanzioni imposte alla Russia, che poi è esattamente (e ovviamente) quello che desiderano al Cremlino… ma che bisogno c’è di oscurare la ferma condanna dell’invasione illegale dell’Ucraina perpetrata dal regime di Putin, contenuta nell’appello internazionale?
Il 25 luglio le forze di sicurezza russe arrestano Boris Kagarlitsky, studioso marxista molto noto sia in patria che all’estero. In Italia, si registrano – finalmente – diverse prese di posizione contro un atto repressivo in Russia, delle quali MicroMega ha già dato conto, non mancando di segnalare un appello, sottoscritto da decine di personalità, che chiede la liberazione dell’intellettuale ma ignora l’esistenza degli altri oppositori russi detenuti o perseguitati. Subito dopo l’arresto di Kagarlitsky, era stato lanciato un appello internazionale, fra i firmatari del quale ci sono Jean-Luc Melenchon, Slavoj Zizek, Jeremy Corbin, Etienne Balibar,  Ken Loach, Tarik Ali, Gilbert Achcar, Olivier Besancenot, molti parlamentari europei di sinistra, intellettuali e politici dal Brasile all’India, dagli U.S.A. al Sudafrica, oltre ad esponenti dell’opposizione russa, come Mikhail Lobanov e la musicista punk-femminista della band Pussy Riot Nadia Tolokonnikova.
Nell’appello internazionale è scritto: “Boris Kagarlitsky è ora tra le decine di migliaia di russi sottoposti a repressione statale, molti dei quali sono stati condannati a lunghe pene detentive, altri hanno pagato ingenti multe e altri ancora sono stati torturati a morte dall’apparato di polizia. Il suo arresto è solo l’ultimo elemento della vasta repressione contro i cittadini russi che osano opporsi a un regime che, come lui stesso ha recentemente dichiarato, è “incompatibile non solo con i diritti umani e le libertà democratiche, ma semplicemente con la preservazione elementare delle regole dell’esistenza civile moderna per la maggioranza della popolazione”. (…) Questo è un caso di persecuzione di un intellettuale per la libertà di espressione. Chiediamo il rilascio di Kagarlitsky e esprimiamo solidarietà con tutti i prigionieri politici in Russia arrestati per le loro posizioni contro la guerra”. Nell’appello italiano, non vi è alcun riferimento alle detenzioni politiche in Russia e la richiesta di liberazione è limitata al solo Kagarlitsky.

La domanda è semplice: perché i pacifisti nostrani omettono di condannare l’invasione russa dell’Ucraina e i nostri richiedenti la liberazione di Kagarlitsky evitano accuratamente di denunciare la repressione generalizzata che vige in quel Paese? Probabilmente, il motivo di queste omissioni va cercato nell’esasperazione di una politique politicienne che si illude, per questa via, di nascondere la polvere sotto il tappeto, ovvero di occultare la contraddizione esistente fra chi attribuisce la responsabilità del disastro in atto al regime autoritario all’interno ed espansionista all’esterno di Vladimir Putin e chi, invece, la attribuisce alla volontà imperialista della N.A.T.O., al “golpe” di Euromaidan, al “genocidio nel Donbas” ed alla “giunta nazigolpista di Kyev”. Alcuni di questi ultimi non se la sono sentita di tacere di fronte ad un atto che ha colpito una figura importante per la sinistra nel mondo come quella di Boris Kagarlitsky ma, al tempo stesso, non possono permettersi di andare a fondo, denunciando la repressione in Russia nel suo complesso, per cui circoscrivono la presa di posizione al singolo caso, quasi che si trattasse di un’eccezione, anziché della regola. Altri, solitamente coerenti nella loro visione delle responsabilità di Putin e soci, hanno accettato di sottoscrivere un documento annacquato ed evidentemente monco nella speranza che questo possa costituire un passo avanti verso una definizione unitaria dell’iniziativa contro la guerra. Difficile che vada così: tanti firmatari dell’appello “italiano” si sono spinti troppo avanti nel loro sostegno alle ragioni dell’“operazione militare speciale” per risultare credibili, per non parlare di quelli hanno sdegnosamente ignorato anche l’appello annacquato e di quelli che il loro putinismo nemmeno si preoccupano di nasconderlo.  Basteranno pochi giorni per avere un quadro completo della situazione, perché il comitato internazionale per la liberazione di Boris e di tutti i prigionieri politici in Russia ha lanciato la mobilitazione del prossimo 16 settembre e. allora, in un modo o nell’altro, la polvere uscirà da sotto il tappeto. Altrettanto, quando verrà convocata la manifestazione nazionale promossa dai nostri pacifisti, si capirà se esistono il coraggio e la coerenza di ribadire le responsabilità di chi ha scatenato la guerra o se prevarrà la volontà opportunista di trovare un accomodamento con quell’arcobaleno che, in nome della pace, propone di disamare gli aggrediti e premiare gli aggressori, cosa che non ha alcun rapporto con la ricerca di una pace giusta e duratura.
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CREDITI FOTO: Flickr |  Paul Barker Hemings



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