“La tragedia nella miniera carbonifera di Schisòrgiu” di Mauro Pistis

Intervista a Mauro Pistis, avvocato e autore del libro "La tragedia nella miniera carbonifera di Schisòrgiu. Il più grave incidente sul lavoro mai accaduto in Sardegna il 19 ottobre 1937" che rinnova il ricordo di quattordici vite umane, schiacciate e obliate dalla propaganda fascista.

Roberto Rosano

Mauro Pistis, avvocato, è da decenni impegnato a documentare la più grave delle tante tragedie verificatesi nelle miniere di Sardegna. Grazie ad una sua proposta, La Presidenza della Repubblica ha onorato le centinaia di minatori morti nel Sulcis con una medaglia al valore civile. La tragedia nella miniera carbonifera di Schisòrgiu (Giampaolo Cirronis editore) rinnova il ricordo di quattordici vite umane, schiacciate e obliate dalla propaganda fascista.

Dottor Pistis, la vicenda che Lei racconta in questo libro, smaschera quanti e quali miti sul fascismo?

In un certo senso, smaschera proprio il mito più importante, quello dell’interventismo economico, che non ebbe affatto l’efficienza auspicata o propagandata dal regime. Il fascismo investì moltissimo nei centri abitati industriali e minerari, usando la più avanzata tecnologia allora disponibile. Furono messi in campo copiosi finanziamenti per ottenere la massima produzione possibile. Eppure, con la caduta del fascismo e con l’apertura dei mercati internazionali, il fallimento della politica autarchica emerse in maniera evidente.

 

In che senso parla di fallimento?

Il carbone del Sulcis, estratto nella zona di Carbonia, senza i suddetti aiuti pubblici, derivanti da una politica di protezionismo statale, si dimostrò subito di pessima qualità rispetto agli altri carboni presenti sul mercato internazionale. Era antieconomico, aveva costi di produzione elevatissimi e non veniva mai richiesto e venduto al di fuori del nostro Paese.

 

Lei ci racconta della produzione febbrile e irresponsabile cui venivano sottoposte le miniere del Sulcis e di Arsia, in Istria, entrambe gestite da un’unica organizzazione pubblica statale, l’A.CAI, l’azienda carboni italiani …

Le miniere di lignite dell’Arsa e del Sulcis furono sottoposte a uno sfruttamento intensivo. La produzione raggiunse in breve tempo il milione di tonnellate di carbone all’anno per Bacino carbonifero, con il conseguente incremento degli incidenti minerari (spesso mortali). Furono impiegati nei due bacini, dal 1935 al 1943, migliaia di dipendenti fino a raggiungere quasi 30.000 addetti.

 

In questa produzione febbrile e irresponsabile naturalmente si sacrificò la sicurezza dei lavoratori …

Il maggior numero di infortuni avvenne proprio nel brevissimo periodo del regime fascista, quando si attuò il famigerato metodo o sistema “Bedaux”. Questo si basava sulla stima della quantità di lavoro che un operaio era in grado di compiere, con un certo sforzo, in un minuto, chiamato anche “60 di passo”. Un minatore doveva raggiungere il cosiddetto “60 di passo”, cioè doveva trasportare un determinato numero di carrelli, caricare una certa quantità di minerale, scavare un determinato numero di metri …

 

Se l’operaio non fosse riuscito a raggiungere il “passo?

Sarebbe stato licenziato.

 

Che cosa avvenne a Schisòrgiu in quel martedì di ottobre del 1937?

Avvenne l’incidente più grave e temuto che possa verificarsi in una miniera di carbone: “un colpo di polveri”. In determinate condizioni, le polveri sottili di carbone sospese in aria, bruciano rapidamente e violentemente, provocando una deflagrazione che può trasmettersi a distanza anche di decine di chilometri dal punto di innesco. Quel giorno accadde proprio questo. Morirono quattordici minatori e ne rimasero feriti otto. Nove morirono immediatamente, altri cinque nei giorni successivi. Non sopravvissero alle terribili ustioni e alle lesioni prodotte dai gas venefici inalati ad alta temperatura.

 

A cosa erano dovuti gli incidenti?

L’Ing. Enrico Cori, Capo del Distretto Minerario, in una missiva che io ho avuto modo di studiare, elencava tre cause fondamentali: il rapido incremento della produzione carbonifera giornaliera, l’impiego di manodopera non specializzata e la deficienza di personale tecnico direttivo.

 

Che differenze ha trovato tra i documenti ufficiali e quelli originali e riservati?

In base all’art. 41 del Regolamento 10 gennaio 1907, per l’applicazione della legge 30 marzo 1893 n. 184 sulla Polizia delle miniere, delle cave e delle torbiere, si aveva l’obbligo di redigere il Verbale di Constatazione di Infortunio sugli incidenti minerari sia mortali sia con soli feriti, e di inviarlo a diverse autorità. Eppure, nessun dirigente minerario fu mai ritenuto responsabile, fu mai sottoposto ad indagine giudiziaria, mai processato e quindi mai condannato, perché nel Verbale di Constatazione di Infortunio si attribuiva quasi sempre la causa dell’incidente alla fatalità, oppure all’imperizia dei minatori, che non avevano osservato le norme regolamentari oppure rispettato le disposizioni gerarchiche dei superiori.

 

È vero che Schisòrgiu aveva una camera mortuaria?

Tutte le miniere carbonifere ne avevano una. Questo significa che il rischio era presente e tollerato come fatto di normale amministrazione.

 

Chi erano e da dove provenivano i minatori di Carbonia e delle sue frazioni?

Provenivano da diverse parti d’Italia (quasi tutte le province italiane di allora erano rappresentate). Mantenevano la cultura, la tradizione e il dialetto nell’ambito familiare o nel gruppo di paesani presenti in città. La lingua italiana, con la tipica inflessione dialettale, era utilizzata nei rapporti con le autorità e al di fuori delle comunicazioni familiari. Ma il terribile sfruttamento subìto fece di questa massa eterogenea di cittadini una vera comunità, unita e solidale, resa più compatta dalle numerose lotte per il lavoro e la sicurezza e poi dai matrimoni misti.

 

Di tutto questo mondo sotterraneo, di questo ipogeo infernale, che cosa è rimasto nella realtà e nella memoria della Sardegna?

Esclusa la miniera ancora attiva di Nuraxi Figus, nel complesso minerario di Monte Sinni, gli impianti minerari e industriali del Bacino carbonifero del Sulcis sono oggi dismessi o abbandonati.

 

Orwell scrisse che il lavoro del minatore è così “esageratamente orribile, così virtualmente necessario, così lontano dalla nostra esperienza, così invisibile (…) che siamo capaci di dimenticarlo come dimentichiamo il sangue che ci scorre nelle vene” …

La teoria che il lavoro del minatore fosse molto pericoloso e tanto terribile fu sostenuta, nel tempo, da molti politici, poeti e letterati (Giuseppe Ungaretti, Carlo Bo, Leone Piccioni, Domenico Rea, Giorgio Caproni), i quali giunsero nelle miniere di Carbonia nel 1955. Ma questa concezione un po’ pietistica fu sempre rifiutata dalla gran massa dei minatori e dalle loro organizzazioni sindacali, che avevano sempre rivendicato un lavoro in sicurezza adeguatamente pagato. In realtà, la vita del minatore, per quanto terribile e pericolosa, veniva scelta da molti sardi perché il lavoro da contadino o pastore non dava garanzia di sopravvivenza in quel periodo.

 

Foto Youtube | Giampaolo Cirronis



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