La transizione ecologica e la svolta di Civitavecchia

“No al gas, sì alle rinnovabili”. Il movimento popolare per la riconversione della centrale Enel a carbone della città è un esempio positivo di coalizione sociale per cambiare il modello di sviluppo.

Giorgio Pagano

Il degrado della biosfera – di cui il cambiamento climatico è uno degli aspetti più drammatici, ma non l’unico – è arrivato a un punto cruciale, di rottura. Il rapporto commissionato dal governo britannico all’economista indiano Partha Dasgupta inizia così: “Le nostre economie, i mezzi di sussistenza e il benessere dipendono tutti dal nostro bene più prezioso: la natura. Siamo parte della natura, non separati da essa”. Se lo ignoriamo, spiega Dasgupta, le conseguenze saranno “catastrofiche”. Il processo di distruzione del nostro ecosistema ha fatto un salto di qualità, e l’insorgenza della pandemia, favorita da questo processo, lo sta mostrando a tutti. La sfida al Covid-19 è dunque parte integrante della questione ambientale, che è questione “rivoluzionaria” perché richiede il cambiamento profondo del sistema economico e dei suoi presupposti: le risorse naturali non sono illimitate -già oggi avremmo bisogno di 1,6 Terre per mantenere gli attuali standard di vita- e il mercato non può essere l’unica guida del sistema economico.

Il sistema economico va cambiato “dall’alto”, cioè dai governi e dagli Stati, e “dal basso”, dalle persone e dalle comunità. Tra i limiti dell’impostazione del Ministro Roberto Cingolani, così come è emersa nella sua audizione in Parlamento, forse il principale è che non è venuta nessuna proposta di partecipazione dei cittadini, delle comunità locali, delle associazioni civiche e delle organizzazioni sindacali all’elaborazione e all’attuazione della transizione ecologica. Ma la transizione si realizzerà solo se sarà anche “conversione”: senza un profondo coinvolgimento di ciascuno di noi e della società non si transita ma si ristagna.

Un esempio positivo di partecipazione viene dal movimento popolare sorto a Civitavecchia, dove l’ENEL intende riconvertire a gas una centrale a carbone. Un gruppo di ricercatori e tecnici ha messo a punto un progetto alternativo, che prevede la produzione di elettricità esclusivamente da fonti rinnovabili, stabilizzate nella loro intermittenza da stoccaggi di idrogeno verde prodotto sempre da fonti rinnovabili. Sul progetto si è aperta una discussione, sono state coinvolte le associazioni e – fatto straordinario – si sono mobilitati i lavoratori, che hanno scioperato a più riprese, ed è entrata in campo la Camera del Lavoro, insieme a UIL e USB.

Il tema è centrale. In Italia si vorrebbero chiudere le centrali a carbone nel 2025 per approdare non alle fonti rinnovabili ma al gas, che è solo meno inquinante del carbone e resta una fonte fossile: si stanno progettando o sono in fase di autorizzazione 15 nuove centrali a gas, per un totale di 14 MW di nuova potenza installata, in sostituzione di 8 MW a carbone. Il rapporto del think tank indipendente Carbon Tracker spiega molto bene, confrontando rinnovabili e gas, che la scelta del gas è sbagliata: sia perché inquina, aggiungendo 18 milioni di tonnellate di emissioni in un Paese che deve tagliarne il 55% nel corso di questo decennio, sia perché è antieconomico per i cittadini, che con il gas pagherebbero bollette più care, fino al 60% in più, e per gli stessi investitori, che rischiano di finanziare nuovi impianti già non competitivi. Inoltre il rapporto dimostra nel dettaglio che il gas non è più sicuro delle rinnovabili e che non è abbondante, ma esposto a molta “volatilità”.

Il movimento di Civitavecchia, forte di questi dati e del suo progetto alternativo, può e deve estendersi al resto del Paese. La transizione energetica non è di proprietà di ENEL, perché riguarda il futuro di tutti e della natura. Deve vedere protagoniste le istituzioni e le comunità locali. E il mondo del lavoro: Civitavecchia rappresenta una svolta perché dimostra che questo mondo può uscire da una posizione vetero produttivistica e difensiva e diventare punto di riferimento essenziale di quella che alcuni anni fa fu chiamata “coalizione sociale” – un progetto purtroppo abbandonato – per il cambiamento del modello di sviluppo.

E il nuovo Ministero della Transizione ecologica? Avrebbe un senso vero se sostenesse proposte come questa, e se mutasse lo schema finora impostato dal Ministero dello Sviluppo economico, che ostacola le rinnovabili e offre sovvenzioni alle centrali a gas: nel 2020 è stato infatti introdotto il capacity market, che prevede 20 anni di generosissimi incentivi per nuove centrali a gas, giustificati da ragioni di sicurezza del sistema, quando per la flessibilità e la sicurezza del sistema esistono, come dimostra lo studio di Carbon Tracker, alternative più economiche, efficienti e con ridotte o zero emissioni di gas serra. Vedremo se Mario Draghi saprà cambiare, o se sarà subalterno alle potentissime ENEL ed ENI, figlie di un modello centralizzato che va anch’esso superato. Non c’è spazio per una neutralità che non disturbi gli interessi costituiti.



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