L’agricoltura biologica? Una moda irrazionale

Dalle sostanze utilizzate come insetticidi e concimi alla qualità dei prodotti, dall’impatto ambientale ai prezzi gonfiati: perché il biologico non ha fondamento scientifico ed è una scelta completamente irrazionale.

Silvano Fuso

In un precedente contributo, ci siamo occupati dell’agricoltura biodinamica e del suo fondatore Rudolf Steiner. Anche diversi altri organi di stampa lo hanno fatto, evidenziando le coraggiose argomentazioni della Senatrice a vita Elena Cattaneo (da noi intervistata per MicroMega) contro l’equiparazione, da parte del Senato, tra l’agricoltura biodinamica e quella biologica.

La giusta stigmatizzazione dell’agricoltura biodinamica, tuttavia, può indurre i lettori a pensare che invece l’agricoltura biologica abbia un fondamento scientifico. In realtà le cose non stanno così. Pur non possedendo i caratteri esoterici e stregoneschi della biodinamica, anche l’agricoltura biologica non ha una base razionale [1].

Già l’espressione “agricoltura biologica” merita qualche considerazione. Qualsiasi tipo di pratica agricola ha a che fare con piante o animali, quindi esseri viventi. Di conseguenza l’agricoltura, in qualunque modo venga praticata, è necessariamente biologica. Un’agricoltura non biologica sarebbe un nonsenso. Tuttavia con l’espressione agricoltura biologica si intende oramai un insieme di pratiche ben definite e codificate a livello legislativo. Il Regolamento CEE 2092/91, sostituito successivamente dai Reg. CE 834/07 e 889/08, e il D.M. 18354/09 definiscono infatti che cosa si debba intendere quando si parla di prodotti agricoli biologici. Essi devono essere ottenuti mediante metodi di coltivazione e di allevamento che ammettano solamente l’impiego di sostanze naturali, presenti cioè in natura, escludendo l’utilizzo di sostanze di sintesi chimica (concimi, diserbanti, insetticidi).

Uno dei cavalli di battaglia degli agricoltori biologici è proprio il loro rifiuto di utilizzare sostanze chimiche di sintesi. A questo proposito va però sottolineato che qualsiasi sostanza esistente è necessariamente una sostanza chimica perché fatta di molecole, a loro volta fatte di atomi. Ciò che determina le proprietà di una sostanza è esclusivamente la sua struttura molecolare, indipendentemente dal modo in cui la molecola sia stata ottenuta. L’enfasi messa dall’agricoltura biologica nel rifiutare le sostanze chimiche di sintesi appare quindi abbastanza discutibile. I rischi (o i pregi) di una sostanza sono del tutto indipendenti dal fatto che essa sia naturale o artificiale. Al di là di questo, tuttavia, è interessante considerare quali sostanze “non di sintesi” sono accettate dall’agricoltura biologica. Per proteggere le piante da parassiti e infestanti, l’agricoltura biologica ammette l’uso della tossina batterica Bt, delle piretrine, del rotenone, dei composti del rame e dello zolfo.

La tossina batterica Bt è prodotta dal Bacillus thuringiensis. Si tratta di un batterio gram-positivo che, durante la sporulazione, produce cristalli che contengono δ-endotossine, che presentano azione insetticida. Esse infatti danneggiano il tratto digerente delle larve di alcuni insetti e causano una paralisi nei bruchi di molti lepidotteri. Queste tossine sono considerati a basso impatto ambientale, con effetti trascurabili sugli esseri umani, la fauna selvatica, gli insetti impollinatori e, in genere, ritenuti utili. Tuttavia, i manuali d’uso di questi prodotti contengono non poche avvertenze per la salute ambientale e umana.

Le piretrine sono composti organici estratti da piante del genere Chrysanthemum. La specie maggiormente ricca di tali sostanze è il Chrysanthemum cineraefolium. Essiccando i capolini dei fiori, successivamente polverizzati, si ottiene una polvere grezza (piretro), da cui si possono estrarre le piretrine. Per scopi insetticidi si utilizzano le cosiddette piretrina I e II, la cinerina I e II e la jasmolina I e II. Su molte varietà di insetti, esse hanno un’azione neurotossica molto rapida, che determina un’immediata paralisi. Le piretrine sono facilmente degradabili nell’ambiente per opera della temperatura e della luce. I preparati commerciali vengono solitamente miscelati a prodotti a base di oli vegetali o altre sostanza specifiche (ad esempio il piperonilbutossido con funzione sinergizzante).

Il rotenone è un insetticida e acaricida estratto dalle radici di alcune piante tropicali della famiglia delle leguminose. Sugli insetti ha un’azione simile a quella delle piretrine, ma più intensa.

Nonostante la sua origine naturale, il rotenone ha un forte impatto ambientale. Esso è infatti un insetticida non selettivo ed è quindi dannoso anche per gli insetti utili. È inoltre fortemente tossico per i pesci e moderatamente tossico per i mammiferi. Esposto alla luce solare si degrada in circa due settimane, ma nell’acqua può permanere fino a sei mesi. La tossicità del rotenone è stata dimostrata in test di laboratorio sui ratti per i quali ha una DL50 [2] di 132-1500 mg/kg. L’Organizzazione Mondiale per la Sanità lo ha classificato come moderatamente pericoloso e leggermente tossico per l’uomo e i mammiferi. I preparati commerciali autorizzati in Italia sono classificati come pericolosi per l’ambiente e, a seconda della concentrazione, come nocivi o irritanti. Il loro impiego è infatti subordinato a un’autorizzazione rilasciata dagli osservatori fitosanitari, che devono valutare l’effettiva necessità dell’impiego. Per questi motivi il rotenone è in via di eliminazione dai protocolli di coltivazione biologica.

In agricoltura biologica è ammesso l’uso dei composti del rame [principalmente il solfato di rame (II)]. Questo è piuttosto curioso perché definire naturale il solfato di rame presenta qualche difficoltà. Esso si può effettivamente trovare in natura in alcuni minerali. Nessuno di questi minerali è tuttavia usato per produrre il solfato di rame commerciale. Esso viene infatti prodotto industrialmente facendo reagire acido solforico su trucioli di rame (o su altri composti del rame quale l’ossido). Quindi il solfato di rame è a tutti gli effetti un prodotto chimico di sintesi. Lo stesso dicasi per gli altri composti del rame utilizzati in agricoltura biologica (anche la calce utilizzata per preparare la poltiglia bordolese [3] è ottenuta industrialmente arrostendo in appositi forni, ad alta temperatura, carbonato di calcio). I composti del rame sono inoltre estremamente tossici e possono determinare fenomeni di accumulo nel terreno, difficilmente eliminabile.

Lo zolfo, infine, è effettivamente un elemento che si trova allo stato nativo in natura e che può essere direttamente estratto. Tuttavia oramai ben poco dello zolfo presente sul mercato è stato estratto direttamente dalle solfatare di pirandelliana memoria. La maggior parte dello zolfo in commercio (e quindi anche quello usato in agricoltura biologica) proviene dai processi di desolforazione dei combustibili fossili. Quindi, in pratica, lo zolfo è un prodotto di raffineria. Una piccola parte è estratto dalle miniere ma, anche in questo caso, si utilizza un processo industriale (metodo Frasch) che consiste nell’iniettare nel giacimento di zolfo una miscela di aria compressa e vapore acqueo surriscaldato. Lo zolfo fonde e viene spinto in superficie dalla pressione esercitata dalla miscela gassosa. In definitiva quindi anche lo zolfo usato dagli agricoltori biologici ha ben poco di naturale.

Un altro punto debole dell’agricoltura biologica riguarda la concimazione del terreno. Come già detto, essa rifiuta ogni fertilizzante di sintesi e accetta solamente concimi naturali quali letame e sovescio. Un elemento nutritivo particolarmente importante per le piante è l’azoto. Esso costituisce circa i quattro quinti dell’atmosfera terrestre, ma non può essere direttamente utilizzato né dalle piante né dagli animali. Solamente alcuni microorganismi (Rhizobium leguminosarum) riescono a fissare l’azoto atmosferico e a convertirlo in azoto assimilabile dalle piante. Tali microorganismi si ritrovano nell’apparato radicale delle leguminose. Tuttavia la quantità di azoto fissato da questi microorganismi non è affatto sufficiente per sostenere la produzione agricola mondiale. Grazie alla chimica, l’uomo è però riuscito a trasformare l’azoto atmosferico in ammoniaca (processo Haber Bosch) e in nitrati, entrambi utilizzabili dalle piante. È stato stimato [4] che attualmente oltre la metà dell’azoto utilizzato dalle piante coltivate di tutto il mondo è di origine sintetica.

I sostenitori dell’agricoltura biologica affermano che l’utilizzo del letame possa ampiamente soddisfare il fabbisogno di azoto delle colture. Tuttavia, in questa affermazione trascurano un piccolo particolare [5]. L’azoto che si ritrova nelle deiezioni del bestiame non viene prodotto da quest’ultimo (che, al pari delle piante, è incapace di fissare l’azoto atmosferico). Esso deriva da ciò che il bestiame mangia e i foraggi e i mangimi sono a loro volta prodotti utilizzando fertilizzanti azotati di sintesi. Quindi, indirettamente, anche gli agricoltori biologici beneficiano dei tanti deprecati fertilizzanti “chimici”. Se questi ultimi venissero completamente eliminati, come auspicano i fautori del biologico, l’agricoltura biologica non disporrebbe affatto di quantità di azoto sufficienti per essere praticata.

Al di là dell’origine delle sostanze utilizzate in agricoltura biologica, vale però la pena chiedersi quale sia la qualità dei prodotti finali. Molta gente, ad esempio, si orienta sui prodotti dell’agricoltura biologica perché teme che quelli dell’agricoltura tradizionale presentino pericolosi residui degli agrofarmaci utilizzati. Diversi studi hanno tuttavia mostrato che anche i prodotti dell’agricoltura tradizionale sono assolutamente sicuri da questo punto di vista [6].

Al di là della sicurezza, tuttavia, i prodotti dell’agricoltura biologica presentano vantaggi nutrizionali rispetto a quelli tradizionali? Si tratta di un tema molto dibattuto che suscita talvolta accese discussioni. Allo stato attuale delle conoscenze si può concludere che la superiorità qualitativa dei prodotto biologici non è mai stata dimostrata [7].

Dal punto di vista del consumatore quindi, i prodotti biologici non sembrano necessariamente più sicuri di quelli convenzionali e non presentano migliori qualità nutrizionali. Ma quanto costano? Diverse analisi di mercato mostrano che i prodotti biologici sono nettamente più cari rispetto agli altri. Pur essendoci una grande variabilità tra i vari tipi di articoli considerati, mediamente il loro prezzo è circa il doppio rispetto a quelli ottenuti con l’agricoltura tradizionale[8]. La stessa Senatrice Cattaneo, nella già citata intervista, ha affermato: “È infatti scientificamente accertato e anche indicato nelle linee guida alla ristorazione del nostro Ministero della Salute, che la certificazione bio non è una garanzia di maggiore salubrità né di alcun significativo miglior apporto nutrizionale dei prodotti. In sintesi, si tratta di prodotti venduti a prezzi doppi o tripli rispetto a quelli privi di certificazione biologica, ma che non hanno nulla di più se non il prezzo”.

Si potrebbe comunque pensare che il maggior costo possa essere accettato perché l’agricoltura biologica, pur non offrendo particolari vantaggi diretti al consumatore, potrebbe avere un minor impatto ambientale e, comunque, effetti positivi dal punto di vista ecologico. È vero? Abbiamo già visto che per quanto riguarda l’uso degli agrofarmaci le cose non sempre sono così rosee come si pensa. Nel 2012 è stato pubblicato un articolo [9] che analizzava 71 studi indipendenti che avevano lo scopo di valutare l’impatto ambientale delle coltivazioni biologiche. Tra i vari parametri ambientali presi in considerazione vi erano la qualità del suolo, la biodiversità, il rilascio di composti azotati nelle falde acquifere, la quantità di energia consumata e altri fattori. Dai dati riportati nell’articolo si deduce che non si può generalizzare, ma occorre distinguere caso per caso. In certi casi la produzione biologica (ad esempio di olive e di carne di manzo) determina meno emissioni di gas serra rispetto alla produzione convenzionale. In altri casi invece (produzione di latte, cereali e suini) è vero il contrario.

Lo studio mostra inoltre che l’agricoltura biologica ha in generale minor impatto ambientale per unità di superficie utilizzata. Ma poiché le sue rese per unità di superficie sono generalmente inferiori, questo non è vero per l’unità di prodotto ottenuta. Evidentemente il fattore corretto da prendere in considerazione è proprio l’unità di prodotto ottenuta. L’agricoltura biologica quindi non ne esce molto bene. Per produrre, ad esempio, un quintale di ortaggi, è necessario usare una superficie coltivata superiore e maggiori sono i fattori di impatto ambientale presi in considerazione dall’articolo. Non bisogna inoltre dimenticare che anche l’estensione della superficie coltivata è di per sé un importante fattore di impatto ambientale. Per ottenere terreni coltivabili occorre infatti disboscare. In definitiva quindi se tutta l’agricoltura mondiale diventasse biologica, per mantenere la stessa attuale produzione, occorrerebbe danneggiare la natura molto più di quanto non si faccia oggi con l’agricoltura tradizionale. Anche per quanto riguarda la tutela della biodiversità, diversi studi dimostrano che l’agricoltura biologica non offre sostanziali vantaggi [10]. A parità di resa infatti l’agricoltura tradizionale richiede l’utilizzo di una minore superficie. Quindi, potendo lasciare incolta una maggiore quantità di terreno, essa favorisce in definitiva la biodiversità, più di quanto non faccia quella biologica.

Per concludere, facciamo qualche ultima considerazione. Per millenni l’agricoltura è stata forzatamente biologica, semplicemente perché non esistevano alternative. Questo determinò un sostanziale immobilismo nella produzione agricola, con gravi conseguenze sulla qualità della vita della popolazione che, molto spesso, non disponeva di adeguate risorse alimentari.

L’attuale moda che invita a tornare a una agricoltura antica non ha alcuna motivazione razionale. Essa appare semplicemente una delle tante ondate emozionali che la società moderna si può concedere, grazie al livello di benessere che ha raggiunto, per merito del tanto deprecato progresso scientifico-tecnologico. Le uniche motivazioni comprensibili sono quelle dei produttori che, buttandosi nel redditizio mercato del biologico, vedono aumentare considerevolmente le proprie entrate. Ma in una valutazione più generale, l’agricoltura biologica appare una scelta completamente irrazionale.

NOTE

[1] Per approfondimenti si veda: S. Fuso, Naturale=buono?, Carocci, Roma 2016;

[2] Il termine DL50 indica la “Dose Letale 50e rappresenta la dose di una sostanza che, somministrata in una volta sola, provoca il decesso del 50% di una popolazione campione;

[3] Miscela di solfato di rame e idrossido di calce, utilizzata in agricoltura come anticrittogamico, soprattutto nella lotta alla peronospora;

[4] V. Smil, Nitrogen cycle and world food production, “World Agriculture” 2, 9-13, 2011: http://www.vaclavsmil.com/wp-content/uploads/docs/smil-article-worldagriculture.pdf;

[5] A. Merberg, An Unlikely Fix: nitrogen fertilizer and organic agriculture, “Inexact Change

Thoughts on science, politics, and social progress”, 28 marzo 2013: http://www.inexactchange.org/blog/2013/03/28/unlikely-fix/;

[6] D. Bressanini, Pesticidi sul cibo: http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/10/12/pesticidi-sul-cibo/;
[7] A.D. Dangour, S. K. Dodhia, A. Hayter, E. Allen, K. Lock, and R. Uauy, Nutritional quality of organic foods: a systematic review, “The American Journal of Nutrition”, 90 (3), 680-685, 2009; C. Smith-Spangler et al., Are organic foods safer or healthier than conventional alternatives? A systematic review. Annals of Internal Medicine 157 (5), 348-366, 2012;

[8] Si veda: Con la spesa bio si spende quasi il doppio, “Altroconsumo”, 20 gennaio 2011;

[9] H.L.Tuomisto , I.D. Hodge, P. Riordan, D.W. Macdonald, Does organic farming reduce environmental impacts?–A meta-analysis of European research, “Journal of environmental management” 112, 309-320, 2012;

[10] D.G. Hole, A.J. Perkins, J.D. Wilson, I.H. Alexander, P.V. Grice, A.D. Evans, Does organic farming benefit biodiversity?, “Biological Conservation” 122, 113-130, 2005.



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