L’articolo che volevo scrivere ma che era già stato scritto

Il commento che il direttore di MicroMega voleva scrivere sullo schwa, ennesima idiozia reazionaria spacciata per progressista, è già stato scritto su Linkiesta. Per gentile concessione lo riproduciamo.

Paolo Flores d'Arcais

La neolingua reazionaria che piace alla non-“sinistra”

Qualche giorno fa, tra i link che ti arrivano non sai bene da dove, ce n’era uno che non capivo: a Castelfranco Emilia hanno adottato lo schwa. Confesso la mia ignoranza. Dello schwa non avevo mai sentito parlare. Ho scoperto che è una lettera usata nelle trascrizioni fonetiche (e in realtà lo avevo visto in tutte le indicazioni di pronuncia dell’inglese, senza sapere che si chiamasse schwa). Si scrive come una “e rovesciata”, ǝ. Il sindaco Pd della cittadina, Giovanni Gargano, era molto fiero di dar vita a tanta rivoluzione, progressista perché “inclusiva” (parola passepartout, molto alla moda, che vuol dire tutto o nulla, dalle cose più belle alle più nefande). Dovuta al geniale spremersi di meningi del suo assessore alla comunicazione, Leonardo Pastore, laureando in (ovviamente) scienze della comunicazione.

A che serve la schwa (ma è la schwa o lo schwa? Per essere inclusivo direi che è lǝ schwa): a non discriminare il genere femminile, ovviamente! Ad abrogare quell’indecenza sessista presente da alcuni secoli nella lingua di Dante, per cui c’è un maschile, sia al singolare che al plurale, che vale grammaticalmente e sintatticamente non come maschile ma, appunto, come inclusivo di maschile e femminile (ad esempio, Costituzione della Repubblica italiana, art. 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo [“maschile” universale, comprensivo anche della donna]… ecc.”, art. 4 “La Repubblica garantisce a tutti i cittadini [comprensivo anche di tutte le cittadine] il diritto al lavoro … ecc.”, art. 17 “I cittadini [idem] hanno diritto di riunirsi pacificamente … ecc.” art. 21 “Tutti [comprensivo anche di tutte] hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero … ecc.”.

Mi riproponevo di scrivere un articoletto su questa ennesima idiozia spacciata per progressista, ma leggendo il quotidiano on line Linkiesta, che il direttore mi manda gentilmente su whatsapp ogni mattina, ho scoperto che l’articolo che avevo in mente era già stato scritto. Da Guia Soncini, con ammirevole ironia. Ringrazio lei e Christian Rocca, direttore di Linkiesta, per il permesso di riprodurlo.

Trovo davvero deplorevole e malinconico che su tutta la vasta gamma tematica del politicamente corretto (dalla cancellazione della cultura – o vogliamo davvero tradurre “cancel culture” cultura della cancellazione? – all’islamofilia, all’antifemminismo di genere, al divieto di “offendere” le idee altrui, cioè alla fine del dibattito delle idee, e via aggiungendo) gli scampoli di illuminismo si trovino solo in ambito conservatore, mentre dovrebbero essere pane quotidiano per una sinistra degna del nome.

Una questione su cui MicroMega tornerà spesso, inevitabilmente, visti questi oscuri di luna, dopo avervi dedicato inutilmente un intero recente numero monografico.

(pfd’a)

 

Rompere le filə | Ogni mattina uno schwa del villaggio si sveglia per imporci la sua neolingua

di Guia Soncini

Non ho alcuna vocazione didattica, è perciò per puro spirito di sacrificio che ieri pomeriggio, al telefono, mi sono messa a fare l’imitazione di Stanlio e Ollio. È stato per soccorrere un amico che aveva letto che il comune di Castelfranco Emilia aveva adottato lo schwa nelle comunicazioni ufficiali, e quindi voleva sapere come, d’ora in poi, avrebbe dovuto pronunciare le parole italiane contenenti il simbolo ”ə”. Simbolo che chissà se visualizzerete, dato che nell’alfabeto italiano non esiste – ma a questo ci arriviamo dopo.

L’amico è quel che i parlanti la neolingua chiamerebbero «inclusivo»: molto sensibile alle istanze delle minoranze, molto attento a non offendere nessuno, molto rispettoso del diritto di tutti a non suscettibilarsi. Però proprio non sapeva cosa fosse questo schwa, finché ieri non ha letto, appunto, che in un post su Facebook era annunciato agli abitanti di Castelfranco Emilia «A partire da mercoledì #7aprile moltǝ nostrǝ bambinǝ e ragazzǝ potranno tornare in classe!»; chi l’ha scritto si fida così poco del buonsenso dei cittadini da dover specificare che la foto, d’una classe in assetto normale, è stata scattata prima della pandemia, e al contempo è evidentemente convinto che la lingua si possa cambiare d’imperio – ma anche a questo arriviamo dopo.

Per come funziona Google, una volta uscita la notizia era troppo tardi per capire di cosa si trattasse. Non: di cosa si trattasse rispetto a Castelfranco Emilia; per capire da dove venisse questo schwa, come nascesse, chi fossero i suoi genitori. I corsi d’inglese che lo spiegavano erano finiti troppo in basso tra i risultati della ricerca.

La ragione per cui lo schwa viene spiegato nei corsi d’inglese è che è un suono assente da molte altre lingue – tra cui l’italiano, quella lingua che fino a un paio di settimane fa si parlava a Castelfranco Emilia. È il suono che faceva molto spesso Alberto Sordi quando doppiava Ollio: una vocale imprecisata (gli inglesi la chiamano: la cugina pigra delle vocali).

Vi sarà capitato di usarlo se, come me, non ricordate mai se si dice «rompere le fila» o «rompere le file», e se scrivete fate in tempo a controllare (il plurale giusto è «file»), ma se state parlando e vi viene il sospetto di sembrare analfabeti risolvete non usando né una «a» né una «e», ma un imprecisato suono misto, tipo verso di vinile rallentato (se siete troppo giovani per sapere che suono faceva il vinile rallentato, smettete di leggere qui e tornate a fare la didattica a distanza).

Il simbolo fonetico d’un’altra lingua dovrebbe servire a rendere più inclusiva la nostra. Pare infatti che io (che, non so se ne siate al corrente, ho le tette) mi senta esclusa ogni volta che qualcuno dice «Buongiorno a tutti»: tutti è maschile, perdindirindina, io vengo dunque cancellata dal consesso dei salutati? In realtà no, visto che in italiano esiste il maschile sovraesteso, ovvero i plurali maschili che includono anche le femmine in essi incluse. O almeno, così era finché la sanità mentale era la regola.

Poi a diventare regola è stata l’eccezione, cioè qualche essere umano esagitato che, se non si specchia costantemente in ogni dettaglio d’ogni saluto, d’ogni descrizione, d’ogni rappresentazione, si sente privato dei propri diritti. Quindi, si è reso necessario, onde sedare gli esagitati che sono pochi ma molto rumorosi, escogitare una cosa che in italiano non esiste: il neutro.

Prima ci hanno provato con gli asterischi, non essendosi evidentemente posti il problema della lingua parlata: come diavolo lo pronunci, «benvenut* a tutt*»? «Benvenutstellina a tuttstellina»?

Poi con la «u», vocale neutra. Ricopio da un gruppo Facebook molto inclusivo: «Ciao a tuttu, voglio cambiare la mia medica di base, ne cerco una antifascista, antirazzista e non-obiettrice, che abbia una prospettiva affermativa anziché patologizzante nei confronti delle persone trans, che incoraggi lu pazienti e che sia vegana. Qualcunu ha nomi da fare» – eccetera. Nelle risposte alla richiesta, paiono trovarsi benissimo con questo neosardo: «Non credo sia veganu», «io non penso che unu dovrebbe» – ma qua fuori la vocale non diventa di maggioranza.

Giacché, e questo è un dettaglio che pare sfuggire ai suscettibili e ai loro sospirosi «la lingua evolve», le lingue non vengono cambiate da invasati che a un certo punto decidono d’imporre neologismi. I neologismi, un po’ come le donne in politica, funzionano se si prendono spazio da soli. E non è necessariamente un vantaggio – perché diavolo usiamo l’orrendo «catcalling», quando avevamo lo stupendo «fare il pappagallo»? – ma funziona così: attecchisce quel che attecchisce, non quel che troveremmo moralmente giusto attecchisse.

La lingua la cambia l’uso dei parlanti, non i convegni universitari e i consigli comunali. Di nuovo: non lo dico con gioia, a me piace l’élite, vorrei che potesse imporre un po’ tutto, persino a sessanta milioni di persone d’imparare a pronunciare un suono a loro ignoto per ragioni che risultano ridicole ai più. Purtroppo non è così.

Poi vabbè, il comune spiega l’uso del nuovo simbolo con un successivo post in cui troviamo scritto «il linguaggio che utilizziamo quotidianamente dovrebbe rispecchiare tali principi. Ecco perchè vogliamo fare maggiore attenzione a come ci esprimiamo», e figli miei, esprimetevi mettendo su «perché» l’accento acuto e non quello grave, esprimetevi accentando «princìpi» altrimenti sembrano i principi azzurri, e alle innovazioni lessicali arrivateci dopo aver appreso l’ortografia di base.

Naturalmente del «perchè» non se n’è accorto nessuno (tranne quella fanatica che sono io); così come non s’erano accorti del post coi plurali neutralizzati dallo schwa, che pure è di dieci giorni fa. Perché quello che per il comune di Castelfranco è un grande passo verso l’inclusività per il resto del crudele e distratto mondo è un refuso su cui non vale la pena soffermarsi.

(Fonte: https://www.linkiesta.it/2021/04/neutro-italiano-schwa-castelfranco-emilia/)

Sul tema, leggi anche:

Lo schwa? Una toppa peggiore del buco

Gheno: “Lo schwa è un esperimento. E sperimentare con la lingua non è vietato”



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