L’assalto a Capitol Hill

Mentre proseguono le indagini della Commissione parlamentare sull’assalto al Congresso degli Stati Uniti avvenuto il 6 gennaio del 2021 nel giorno della proclamazione della vittoria di Biden, riproponiamo una ricostruzione di questo quasi golpe che ha mostrato tutta la fragilità del sistema politico americano.

Marco Morini

(da MicroMega 1/2022 – Acquista)
L’assalto compiuto da migliaia di rivoltosi contro il Congresso statunitense il 6 gennaio 2021 è stato uno dei più rilevanti eventi recenti della storia politica americana. Sebbene ci siano stati altri eventi violenti dentro e fuori il Congresso nel XIX e nel XX secolo, l’assalto dello scorso anno rappresenta il più grave atto compiuto contro un’istituzione politica statunitense dall’incendio di Washington D.C. del 1814, che distrusse mezza città e che venne appiccato dai soldati dell’esercito britannico durante la guerra del 1812 1.

La giornata di lavori congressuali prevedeva una seduta comune di Camera e Senato per proclamare i risultati del Collegio elettorale e decretare ufficialmente il vincitore delle elezioni presidenziali del novembre precedente. Una seduta del tutto formale quindi, ma dall’alto valore simbolico: l’avvio dei lavori del nuovo biennio legislativo e l’“incoronazione” di Joe Biden quale 46° presidente degli Stati Uniti d’America.

Sin dal mattino migliaia di manifestanti pro-Trump avevano protestato di fronte al Congresso, inneggiando al presidente uscente e gridando all’illegittimità della vittoria di Biden. Poi, quando un manipolo di rivoltosi è riuscito a superare la male equipaggiata forza di sicurezza posta a difesa del Campidoglio (affidata, per legge, alla polizia locale della città), migliaia di ribelli sono entrati nel palazzo, devastandolo e scontrandosi con la residua resistenza delle forze dell’ordine. Gran parte dei parlamentari e dei lavoratori è riuscita a essere evacuata immediatamente prima dell’attacco, altri si sono barricati nei sotterranei. Cinque persone sono morte, più di 150 sono rimaste ferite, la sede dell’organo legislativo statunitense ha subìto danni per milioni di dollari 2.

Al di là del numero di vittime e di feriti, degli arresti e degli indagati, molta dell’attenzione mediatica è stata attirata dal ruolo del presidente Trump, considerato il diretto ispiratore dell’assalto. Prima, durante e dopo lo scrutinio dei voti, infatti, Trump e altri politici e commentatori repubblicani hanno cercato di sovvertire il risultato elettorale sostenendo che in numerosi Stati, specie in quelli rivelatisi poi più in bilico, erano state commesse frodi elettorali. Il presidente uscente ha tentato in tutti i modi possibili di ribaltare il verdetto delle urne, attraverso appelli, denunce legali, pressioni politiche e imbastendo una martellante campagna comunicativa. Sebbene il voto presidenziale del novembre 2020 sia stato dichiarato regolare e legittimo da tutte le istituzioni preposte al controllo, nei social media le illazioni sul presunto sopruso subìto hanno invaso le pagine dei profili di area conservatrice 3. Ed è in questo contesto comunicativo e politico così radicalizzato che si è compiuto l’assalto al Congresso.

Chi sono i rivoltosi del 6 gennaio?

Nell’anno trascorso da quell’evento, l’Fbi ha operato 604 arresti, accusando molte di queste persone di crimini che potrebbero costare loro il carcere a vita. Le prime condanne (minori) sono arrivate nel giro di pochi mesi 4. Tra i condannati uno dei volti più famosi della rivolta: Jakob Chansley, meglio noto come Jake Angeli detto “lo Sciamano”, che sconterà 41 mesi di carcere per essere entrato nell’edificio e per il suo ruolo di aizzatore della folla (Chansley non era accusato di aggressioni o devastazioni) 5. Mentre per gli arrestati accusati dei reati più gravi i processi potrebbero durare a lungo.

Ma chi sono e da dove vengono gli assalitori del 6 gennaio 2021? Gli arrestati provengono da 45 Stati, con la Florida (65 persone) e il Texas (55) come territori di residenza che hanno “fornito” più rivoltosi. Il 94% degli arrestati è bianco, l’84% è composto da uomini. Pari all’84% sono anche gli occupati (tra i quali l’11% si dichiara di professione imprenditore e il 30% dirigente o impiegato). Solo il 9% è disoccupato, il 3% è composto da studenti, il 4% da pensionati 6.

L’analisi delle caratteristiche individuali mostra una realtà variegata e complessa, con rivoltosi dalle storie molto diverse alle spalle. Quasi tutti i ceti sociali sono rappresentati: tra gli arrestati c’è chi era giunto a Washington con un jet privato e chi vive in una roulotte; ex campioni dello sport assieme a casalinghe provenienti da sperdute contee rurali. C’erano poliziotti e individui dal significativo passato criminale. Intere famiglie e singoli “arrabbiati”. Anche la suddivisione per età mostra un’immagine più complessa di quanto potesse apparire inizialmente: il 9% degli arrestati rientra nella fascia 18-24 anni; il 23% in quella 25-34; il gruppo più numeroso, il 31%, è composto da persone che hanno tra i 35 e i 44 anni; il 25% è nella fascia 45-54, il 12% degli arrestati ha più di 55 anni. A dispetto delle analisi e delle aspettative delle prime ore, è interessante notare come la vasta maggioranza degli arrestati non abbia mai avuto contatti con gruppi organizzati o milizie di estrema destra. Solo il 7%, inoltre, si è esplicitamente dichiarato quale seguace della teoria QAnon (mentre, come vedremo in seguito, il dato sulla popolazione nazionale di sostenitori di queste teorie cospirative sfiorerebbe il 17%).

Un buon modo per osservare in maniera più analitica i profili degli arrestati è analizzarne la provenienza per contea. Le contee degli Stati Uniti d’America sono 3.142 e rappresentano il secondo livello di suddivisione territoriale. Poiché la questione della segregazione geografica dell’elettorato è argomento che occupa da decenni gli storici e gli scienziati politici statunitensi, appare utile offrire una breve illustrazione in tal senso. I lavori di Bill Bishop 7 e di Morris Fiorina 8, solo per citare alcuni degli studiosi più noti, mostrano come non solo gli elettori dei due grandi partiti americani tendano a concentrarsi in specifiche aree del Paese (i democratici nelle grandi città e nelle fasce costiere, i repubblicani nelle aree rurali e in quelle interne), ma anche e soprattutto come queste dinamiche vadano a rafforzarsi nel tempo in virtù di specifiche scelte degli individui, dettate da preferenze e abitudini personali (i repubblicani cercano spazi, natura e case più grandi; i democratici sarebbero più sensibili alla presenza di attrazioni culturali) 9. Infine, queste scelte tendono a sommarsi a quelle dei propri simili, in un vero processo di auto-segregazione: i democratici vanno a vivere negli stessi quartieri di altri democratici; i repubblicani tendono a seguire persone che la pensano allo stesso modo andando ad abitare nelle stesse periferie residenziali e nelle stesse piccole cittadine “a misura d’uomo” 10. Dinamiche residenziali che determinano comportamenti politici (e viceversa). In un circolo vizioso che nel medio termine contribuisce ad alimentare la polarizzazione della politica statunitense contemporanea 11.

Tuttavia, l’osservazione della distribuzione degli arrestati per contee non manca di sorprendere. Ci si sarebbe aspettati di veder rappresentati in misura maggiore territori rurali, depressi, ad alta disoccupazione, a bassa scolarizzazione e, soprattutto, vinti da Donald Trump. Invece il 52% degli arrestati proviene da contee elettorali nelle quali ha vinto Biden.

Separando le contee vinte da Biden che hanno “prodotto” assalitori del Congresso da quelle vinte da Trump che hanno anch’esse “inviato” rivoltosi a Washington si ottengono ulteriori dati interessanti. Le contee con arrestati vinte da Biden hanno tassi di disoccupazione più alti della media nazionale, sono etnicamente più miste e si trovano in aree più urbane. Solo l’8% dei rivoltosi che proviene da contee vinte da Biden risiede in territori dove la popolazione bianca è superiore all’80% degli abitanti, mentre il dato su questo tipo di contee tra quelle pro Trump è del 57%. Com’è ovvio, infine, ben il 50% dei rivoltosi che proviene da contee pro-Biden è residente in larghe aree urbane a differenza di appena il 2% proveniente da contee vinte da Trump.

La violenza come metodo politico

Se i dati dell’Fbi sono circoscritti alla frangia più violenta del movimento degli assaltatori, una dettagliata ricerca del Chicago Project on Security and Threats (University of Chicago) condotta su un campione della popolazione nazionale aiuta a evidenziare alcune caratteristiche salienti del potenziale di violenza ormai insito nella società americana. L’American Political Violence Survey 12, condotto a circa sei mesi dagli eventi, mira a comprendere le ragioni e i fattori che potrebbero scatenare comportamenti violenti potenzialmente in centinaia di migliaia di cittadini. I risultati sono impressionanti: il 26% degli intervistati ritiene che l’elezione presidenziale del 2020 sia stata rubata e che Joe Biden sia un presidente illegittimo. Il 9% considera addirittura giustificabile l’uso della forza per riportare Donald Trump alla presidenza. Sono dati che se riportati sul totale della popolazione statunitense significano rispettivamente 65 e 23 milioni di cittadini americani. Inoltre, l’8,1% condivide entrambe queste affermazioni, che di nuovo, sul totale della popolazione, significa circa 21 milioni di americani adulti “radicalizzati”. Che potrebbero rappresentare un enorme esercito di individui pronti alla mobilitazione violenta.

La rilevazione mostra poi come fattori addizionali siano il possesso di almeno un’arma da fuoco, l’esperienza militare pregressa (sia in servizio al momento sia da veterani di guerra) e l’essere membro di una milizia violenta o di un gruppo estremista. Il 47% di coloro che ritiene giustificabile l’uso della violenza per riavere Trump presidente considera il governo federale come “proprio nemico”, il 24% indica la polizia come “nemica”.

Tra questi violenti pro-Trump spicca anche una maggioranza assoluta di persone (il 63%) che crede nella teoria cospirativa del Great Replacement (“la grande sostituzione”) che è ormai un classico dei complottismi dilaganti via social e che in Europa è spesso declinata in funzione anti-migranti o anti-islam; negli Stati Uniti assume connotazioni del tipo: “Gli afroamericani e gli ispanici avranno presto nella nostra nazione più diritti dei bianchi”. Il 54% è invece d’accordo con una delle più note follie portate avanti dal gruppo cospirativo conosciuto come QAnon 13 secondo la quale un gruppo segreto di pedofili adoratori di Satana è alla guida del governo americano. Com’è ovvio che sia, tutti coloro che hanno risposto in questo modo hanno a disposizione strumenti digitali e veloci connessioni a internet. Tuttavia, tra questi, il numero di coloro che si informano unicamente attraverso i social media è il 21%, una percentuale che può considerarsi sotto le attese. Il 40% utilizza quotidianamente almeno una piattaforma social e il 56% guarda almeno un canale televisivo mainstream. Una “dieta mediatica” abbastanza variegata quindi e non unicamente a base di social e notizie non filtrate come ci si sarebbe potuti aspettare.

Il legame tra complottismo e informazione disintermediata è infatti confermato da più ricerche 14: laddove viene a mancare il filtro giornalistico è più facile per il cittadino “fragile” imbattersi in storie artefatte, non controllate, atte a rafforzare convinzioni paranoiche individuali. Inclinazioni forse preesistenti ma che, quando inserite in una rete di altri individui con convinzioni simili, creano circuiti cospirativi difficilmente controvertibili. Non a caso, nei mesi successivi all’assalto le accuse al ruolo dei social media nel creare ambienti mediatici “tossici” si sono intensificate. Molto importante è stata un’intervista rilasciata alla CBS da Frances Haugen, ingegnera informatica che ha lavorato a Facebook come product manager. Alla televisione statunitense, Haugen ha dichiarato di aver divulgato migliaia di documenti riservati per denunciare come la società fondata da Mark Zuckerberg non sia mai intervenuta per limitare la diffusione di campagne d’odio e di disinformazione: anzi, alcuni dirigenti di primo piano avrebbero volontariamente evitato ogni tentativo di disincentivare contenuti violenti e fake news. La ragione risiede nel fatto che è proprio questo tipo di contenuti a generare più traffico, più interazioni e quindi a rendere meglio economicamente nella vendita degli spazi agli inserzionisti pubblicitari 15. Haugen è stata poi convocata in audizione al Congresso statunitense, al parlamento europeo e alla Camera dei comuni britannica e in questa sede ha anche raccontato di come una squadra interna a Facebook atta a monitorare i contenuti e nota come civic integrity team sia stata sciolta nel 2020. Infine, di come lei stessa abbia deciso prima di licenziarsi dall’azienda e poi di rilasciare queste dichiarazioni pubbliche perché di recente avrebbe perso una persona cara a causa delle teorie cospirazioniste.

Trump, l’opinione pubblica radicalizzata e gli scenari di breve periodo

Gli Stati Uniti sono un Paese nato da una rivoluzione, che è passato attraverso una sanguinosa guerra civile e dove gli attentati e gli assassini di presidenti sono stati a lungo quasi la norma. Una nazione in cui l’inclinazione alla violenza sembra quindi insita nel codice genetico. Una condizione ulteriormente agevolata dal II emendamento concernente il diritto dei singoli a possedere armi e dal contesto mediatico contemporaneo fatto di social media su cui imperano notizie non verificate, dinamiche esasperate di ricerca dello scoop e una tendenza all’esagerazione che non risparmia neanche i media tradizionali.

In questo clima politico e mediatico così polarizzato ed esacerbato, la retorica violenta di Donald Trump ha incoraggiato i rivoltosi16, li ha motivati e giustificati. Il presidente uscente non ha mai riconosciuto l’esito elettorale delle presidenziali del 2020 e ha continuamente sostenuto di essere stato vittima di una frode elettorale e di una serie di cospirazioni politiche ai suoi danni. Nelle settimane precedenti l’assalto a Capitol Hill ha direttamente invitato i suoi sostenitori a rivoltarsi “contro il sistema”. Nel discorso tenuto poche ore prima dell’assalto, proprio di fronte al Campidoglio, ha ribadito di non riconoscere il risultato del voto e suggerito alla folla di “walk down to the Capitol” (marciare verso il Campidoglio) 17. Dopo l’irruzione e le notizie degli scontri e dei primi feriti dapprima ha deciso di non inviare la Guardia nazionale, poi ha scritto due tweet “distensivi”, per tornare poco dopo sui suoi toni originari e ribadire il suo apprezzamento ai “patrioti” che avevano manifestato a suo favore quel giorno 18.

Per il comportamento tenuto il giorno dell’assalto è stato messo in stato d’accusa dalla Camera dei rappresentanti (a maggioranza democratica) e poi assolto dal Senato (dove per procedere alla condanna sarebbero serviti i due terzi dei voti, vale a dire 67, mentre hanno votato contro Trump solo 57 senatori). Si è trattato del secondo impeachment contro Trump, evenienza mai capitata a nessun altro presidente prima.

Il voto del Senato ha avuto luogo il 13 febbraio 2021, poco più di un mese dopo l’assalto al Campidoglio. Joe Biden si era già insediato alla presidenza ma l’eventuale condanna di Trump avrebbe precluso al tycoon newyorchese ogni futura candidatura presidenziale e in qualche modo la decisione si sarebbe riverberata sui milioni di seguaci trumpiani privati di uno scenario plausibile di “rivincita elettorale”. A livello politico, avrebbe anche mostrato un piccolo e ritrovato sprazzo di bipartisanship, della capacità di trovare accordi tra partiti diversi, di singoli parlamentari che votano in disaccordo con l’indicazione del proprio partito di riferimento. La realtà è stata invece quella di appena soli sette senatori repubblicani che hanno votato a favore della condanna dell’ex presidente. Un’ulteriore evidenza, quindi, del livello di polarizzazione politica ormai raggiunto, non solo a livello di elettorato ma anche tra i rappresentanti eletti dai cittadini. Sono lontani i tempi in cui i centristi dei due partiti rappresentavano la parte più importante dei due schieramenti e in cui ciascun senatore era fortemente indipendente dalla presidenza e dal partito nazionale, mantenendo come legame quello legittimante col territorio di elezione 19. Elementi all’origine anche di quei numerosi casi di senatori eletti per più mandati, per decenni, con consensi personali talvolta anche in controtendenza rispetto ai risultati presidenziali.

Con una politica mondiale che va “americanizzandosi” (partiti deboli, uso spropositato del marketing politico, campagne elettorali permanenti, personalizzazione e “leaderizzazione” della politica) 20, il contesto americano sembra invece parzialmente “europeizzarsi” (partiti centrali “forti”, parlamentari poco indipendenti). E una figura polarizzante come quella di Trump ne beneficia contribuendo a un’ulteriore radicalizzazione dell’agone politico.

Un ambiente politico polarizzato, un presidente uscente che non riconosce la sconfitta e manda messaggi aggressivi, una folla di sostenitori incitata alla mobilitazione e in preda a deliri cospirativi. Questo era apparentemente il quadro della situazione. Tuttavia, dall’ottobre 2021, il lavoro della Commissione del Congresso e gli sviluppi delle indagini federali hanno cominciato a insistere su un elemento sospettato da molti: la premeditazione. La Commissione ha obbligato a testimoniare decine di membri dell’amministrazione Trump per avere un quadro esaustivo di quello che succedeva alla Casa Bianca prima e durante gli eventi violenti 21; nel frattempo dall’indagine giudiziaria sono emerse dichiarazioni di più di un arrestato circa incontri con membri del Partito repubblicano avvenuti nel novembre e nel dicembre 2020 per pianificare l’assalto del 6 gennaio 22 e lo scorso 9 dicembre il tribunale federale di Washington ha respinto l’appello di Trump per impedire alla Commissione di acquisire i documenti della Casa Bianca relativi ai quei giorni. I legali dell’ex presidente hanno annunciato che si rivolgeranno ora alla Corte suprema.

Quali che saranno gli sviluppi giudiziari, rimangono un ambiente politico fortemente diviso, milioni di cittadini statunitensi pronti a imbracciare le armi per difendere l’ex presidente sconfitto e delle elezioni di medio termine che potrebbero riconsegnare almeno una delle due Camere ai repubblicani e rendere quindi ancor più difficoltoso il lavoro dell’amministrazione Biden. E nel 2024, pur senza il prediletto “megafono” di Twitter, Donald Trump proverà in tutti i modi a prendersi la sua rivincita.

NOTE

1 J. Mackay Hitsman (aggiornato da Donald E. Graves), The Incredible War of 1812, Robin Brass Studio, 1999.

2 Lauren Leatherby, Anjali Singhvi, “Critical Moments in the Capitol Siege”, The New York Times, 15 gennaio 2021, nyti.ms/3E9mHK2.

3 Katie Benner, “Report Cites New Details of Trump Pressure on Justice Dept. Over Election”, The New York Times, 6 ottobre 2021, nyti.ms/3EbYjHy.

4 Jan Wolfe, Mark Hosenball, “U.S. Capitol rioter gets 41 months in prison, longest sentence imposed”, Reuters, 10 novembre 2021, reut.rs/31csOPm.

5 Alan Feuer, “Jan. 6 Offender Known as Qanon Shaman Sentenced to 41 Months”, The New York Times, 17 novembre 2021, nyti.ms/3lhfGzt.

6 I dati sono dell’Fbi (bit.ly/3Gkkv2R) e del Dipartimento della Giustizia (bit.ly/3lH9yAP).

7 Bill Bishop, The Big Sort: Why the Clustering of Like-Minded America Is Tearing Us Apart, Houghton Mifflin Harcourt, 2008.

8 Morris P. Fiorina, Samuel J. Abrams, Jeremy C. Pope, Culture War? The Myth of a Polarized America (3rd ed.), Longman, 2010.

9 David Hopkins, Red Fighting Blue: How Geography and Electoral Rules Polarize American Politics, Cambridge University Press, 2017.

10 Gregory J. Martin, Steven W. Webster, “Does residential sorting explain geographic polarization?”, Political Science Research and Methods, vol. 8, n. 2, aprile 2020, pp. 215-231, bit.ly/3xCWFMI.

11 Jonathan Mummolo, Clayton Nall, “Why Partisans Do Not Sort: The Constraints on Political Segregation”, The Journal of Politics, vol. 79, n. 1, gennaio 2017, pp. 45-59, bit.ly/2ZBAbz4.

12 CPOST Survey Report, “Deep, Destructive, and Disturbing: What We Know About Today’s American Insurrectionist Movement”, 2021, bit.ly/3o5MvRv.

13 QAnon è una teoria cospirazionista nata in ambienti di estrema destra americana secondo la quale esisterebbe un’ipotetica trama segreta organizzata da un presunto Deep State che avrebbe agito contro Trump, il quale sarebbe invece l’ultimo paladino del mondo libero che si batte contro un nuovo ordine mondiale, considerato colluso con reti di pedofilia, pratiche ebraiche oscure, cabale occulte.

14 Yphtach Lelkes, Gaurav Sood, Shanto Iyengar, “The Hostile Audience: The Effect of Access to Broadband Internet on Partisan Affect”, American Journal of Political Science, vol. 61, n. 1, gennaio 2017, pp. 5-20.

15 Cristiano Lima, “Meet the Facebook whistleblower, Frances Haugen. Here’s what we know about her”, The Washington Post, 4 ottobre 2021, wapo.st/3Eg1EWo.

16 Marco Morini, Lessons from Trump’s Political Communication. How to Dominate the Media Environment, Palgrave, 2020.

17 Aaron Blake, “What Trump said before his supporters stormed the Capitol, annotated”, The Washington Post, 11 gennaio 2021, wapo.st/3D99CyQ.

18 Trump Twitter Archive (2021): www.thetrumparchive.com.

19 Richard G. Clemens, Rescuing America: The Bipartisan Path, Tate Publishing, 2008.

20 Daniel C. Hallin, Paolo Mancini, “Americanization, globalization, and secularization: Understanding the convergence of media systems and political communication”, in Frank Esser, Barbara Pfetsch (a cura di), Comparing political communication: theories, cases, and challenges, Cambridge University Press, 2004, pp. 25-44.

21 Hugo Lowell, “US Capitol attack committee issues subpoenas to 10 senior Trump officials”, The Guardian, 10 novembre 2021, bit.ly/3Df1XiU.

22 “Capitol Hill rioters: ‘US congress members helped us plan attack’”, The Week, 26 ottobre 2021, bit.ly/3xDxE3U.

(credit foto: © Douglas Christian/ZUMA Wire)



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