Come si è arrivati ad al-Aqsa Flood, l’attacco di Hamas a Israele

Se non proviamo a capire da dove arrivano le ruspe che tirano giù le barriere attorno a Gaza, non possiamo neanche inquadrare il contesto. E arrivano dal 2007, anno in cui Israele – dopo lo sgombero unilaterale dell’occupazione della Striscia di Gaza durata 40 anni nel 2005 – inizia il blocco militare che rende Gaza uno dei luoghi più inospitali per gli esseri umani, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Christian Elia

All’alba del 7 ottobre è iniziata un’operazione militare su vasta scala da parte delle brigate Ezzedine al-Qassam, la formazione combattente del partito Hamas, che dalla Striscia di Gaza – con un’azione che ha sorpreso le difese israeliane e gran parte degli analisti e degli stessi palestinesi – ha attaccato il territorio d’Israele via terra, via mare e dall’aria, con un lancio di razzi a lunga gittata senza precedenti.
I vertici di Hamas, che hanno ribattezzato al-Aqsa Flood l’attacco, hanno dichiarato che l’assalto è la risposta alle costanti violazioni dei luoghi sacri a Gerusalemme e agli attacchi dei coloni contro i civili palestinesi. Il governo israeliano ha reagito annunciando l’operazione Spade d’Acciaio, mentre il primo ministro Benjamin Netanyahu ha avvertito che Gaza diventerà ‘’un’isola deserta”.
Sembra il racconto di una faida, tra gruppi armati che si promettono l’inferno a vicenda, ma come si è arrivati all’attacco nell’anniversario della guerra dello Yom Kippur, del 1973, fino a oggi il conflitto che più aveva segnato – in negativo – l’immaginario israeliano?

Se non proviamo a capire da dove arrivano le ruspe che tirano giù le barriere attorno a Gaza, non possiamo neanche inquadrare il contesto. E arrivano dal 2007, anno in cui Israele – dopo lo sgombero unilaterale dell’occupazione della Striscia di Gaza durata 40 anni nel 2005 – inizia il blocco militare che rende Gaza uno dei luoghi più inospitali per gli esseri umani, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Alcuni dati. La Striscia è il luogo della terra con la più grande densità abitativa: 1,5 milioni di persone vivono in 360 km2, con 4mila abitanti per chilometro quadrato. Secondo le Nazioni Unite, il tasso di disoccupazione è al 47%, il tasso di povertà è al 62%, i blocchi dell’elettricità arrivano fino a 12 ore al giorno, il 78% dell’acqua non è potabile, il 31% della popolazione civile non ha mezzi per studiare e 275mila famiglie vivono solo grazie ai buoni pasto del Programma Alimentare Mondiale. Solo il 60% delle richieste per essere curati fuori dalla Striscia viene accolto. Gaza è un incubo e, nel solco del taglio agli aiuti umanitari in Palestina, il portavoce del PAM ha annunciato la fine dei programmi di assistenza alimentare.
Gaza è stata bombardata ferocemente in differenti operazioni militari: nel 2006 le operazioni militari Piogge Estive e Nuvole d’Autunno, Inverno Caldo nel 2008, Piombo Fuso nel 2009, Colonne di Nuvole nel 2012, Margine Protettivo nel 2014, gli attacchi del 2021. In nessuno di questi casi c’era stata un’operazione di attacco militare da parte di Hamas: a fronte di vessazioni ai civili in Cisgiordania o nella Striscia, venivano lanciati dei razzi, e l’esercito israeliano – in violazione del diritto internazionale – puniva collettivamente i palestinesi. Dal 2008 a oggi, sono 6407 i palestinesi uccisi da militari israeliani. Erano 308 le vittime israeliane nello stesso periodo.

È facile immaginare quanto le immagini di questi giorni abbiano sconvolto Israele, che ha visto morire 600 persone, altre 2200 feriti, dispersi e prigionieri. In una notte, i miti dell’invincibilità militare e d’intelligence su cui Israele basa la sua deterrenza si sono rivelate solo una narrazione mediatica. La reazione, però, non sta mettendo in discussione (in Israele e all’estero) come si è arrivati a tutto questo. Il 2023 è l’anno più sanguinoso in Palestina: oltre 250 morti civili. Senza che nessun attacco fosse sferrato in Israele dal 2008, dalla fine della Seconda Intifada. Ci sono stati attacchi singoli, di gente armata di coltello o alla guida di una macchina, ma nulla che giustificasse un’azione come quelle che hanno portato agli assalti militari di quest’anno.
Cosa è accaduto? La tempesta perfetta. Questa operazione di Hamas nasce perché l’organizzazione aveva bisogno di trovare una ragione per la sua stessa sopravvivenza. Sono infatti lontani i tempi della vittoria elettorale del 2006, quelli della crociata contro la corruzione di Fatah, come sono lontani i tempi nei quali si era potuto fare welfare state alternativo nella Striscia di Gaza. L’insofferenza verso l’autoritarismo del gruppo è sempre meno sostenuta dalla capacità, ormai quasi svanita, di provvedere alle esigenze anche minime della popolazione civile. Questo attacco, che segnerà un’epoca dell’immaginario arabo, e che avrà un prezzo altissimo in termini di vite umane, era l’unica possibilità di Hamas di riprendere un ruolo centrale nella situazione politica attuale che, a lungo andare, con il deteriorarsi delle condizioni di vita nella Striscia, avrebbe anche potuto comportare una sollevazione interna. Insomma, nella logica di Hamas solo un’azione militare poteva compattare il fronte interno, stesso favore fatto al governo Netanyahu, travolto da scandali, processi e manifestazioni oceaniche in patria, che ora giocherà la carta dell’unità nazionale di fronte all’assalto armato delle milizie di Hamas.A questo bisogna aggiungere l’isolamento internazionale dei palestinesi: ormai tutta la diplomazia globale è appiattita sulle posizioni d’Israele e la normalizzazione di Tel Aviv con i governi del Golfo Persico (Emirati Arabi Uniti, Bahrein e soprattutto nelle ultime ore Arabia Saudita) ha posto Hamas di fronte all’azione: sia per giustificare il suo potere sia per l’appoggio dell’Iran, terrorizzato dalla linea che unisce Israele, Usa e Arabia Saudita, suoi nemici vitali. E l’Iran, oramai, è l’unico stato che sovvenziona Hamas, che pure nasce in ambito sunnita e vicino ai Fratelli Musulmani ma che non ha avuto il sostegno dell’Egitto, che il generale al-Sisi ha sempre tenuto su posizioni anti-islamiste, mentre la Siria che oramai dipende dall’Iran. A questo si aggiunge, dai tempi dell’amministrazione Trump in poi, un progressivo taglio dei fondi alle agenzie internazionali che tenevano viva un minimo di economia nella Striscia di Gaza e in alcune zone della Cisgiordania.

Ultimo fattore: il movimento dei coloni. Per decenni, dall’inizio dell’occupazione militare della Palestina, nel 1967, i governi israeliani hanno usato i ‘coloni’ che – in un’ottica messianica ed estremista degna dei peggiori ideologi di Hamas – facevano il lavoro sporco, occupando terra palestinese, rendendo la vita impossibile alla popolazione civile, anche in quell’Area C che secondo le leggi internazionali è sotto amministrazione palestinese. Sono decine gli assalti, definiti pogrom dallo stesso generale israeliano Yehuda Fuchs, comandante delle truppe d’Israele in Cisgiordania, contro villaggi palestinesi: almeno 1100 arabi sono stati scacciati dalle loro case. Oggi i coloni hanno il potere: il ministro della Sicurezza Interna d’Israele, Ben Gvir, che solo negli anni Novanta era stato arrestato in Israele per incitamento all’odio razziale, oggi governa e dichiara “che nessun Mohammed ha lo stesso diritto della sua famiglia di stare sulla terra che la Bibbia riconosce come ebraica”. Non esiste oggi nessun palestinese e nessun arabo-israeliano (che sono i palestinesi che nel 1948 decisero di rimanere e di diventare cittadini d’Israele) si sente al sicuro, come dimostrano i costanti assalti dei coloni anche ai luoghi di culto, come la moschea di al-Aqsa.
La tempesta perfetta è scoppiata, di fronte a una sgomenta opinione pubblica, che in Israele pensava di aver chiuso i conti con la capacità di resistenza palestinese e che all’estero non riesce (per un riflesso razzista e colonialista) a dare alle vittime palestinesi la stessa dignità di quelle israeliane. In un regime di apartheid, definito così dallo stesso Tamir Pardo, ex capo dell’intelligence israeliana dal 2011 al 2016, non c’era futuro. Si poteva e si doveva intervenire sul governo israeliano, non è stato fatto, mentre anche Israele si ammalava di occupazione. E oggi, ancora una volta, contiamo i morti e mai come questa volta ci troviamo di fronte a un baratro che potrebbe coinvolgere l’intera regione.

CREDITI FOTO EPA/MOHAMMED SABER



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