Laurea in Scienze delle religioni e insegnamento: facciamo chiarezza

Permettere ai laureati in Scienze delle religioni di insegnare materie letterarie non è un’ingerenza clericale nella scuola pubblica o un favoritismo verso i professori di religione. Una replica all’articolo di Maria Mantello “La riconquista clericale della scuola”.

Andrea Nicolotti

Ho letto su MicroMega l’articolo di Maria Mantello “La riconquista clericale della scuola” il quale sostanzialmente riprende quanto la senatrice Bianca Laura Granato – eletta nel MoVimento 5 Stelle e attualmente esponente di “L’Alternativa c’è – da alcuni giorni sta ripetendo sui social. Entrambe paventano che un emendamento in approvazione alla Camera, il quale aprirebbe alla possibilità per i laureati in Scienze delle religioni (LM64) di insegnare materie letterarie nelle scuole, costituisca un’ingerenza clericale nella scuola pubblica oppure un atto di favoritismo nei confronti dei professori di religione cattolica, per facilitarli a trasmigrare su materie diverse dalla propria. Ciò sarebbe una prosecuzione di precedenti tentativi di clericalizzare o cristianizzare la scuola risalenti all’epoca berlusconiana, in ideale continuità con alcune scelte che risalirebbero addirittura ai tempi mussoliniani.

Come presidente di corso di laurea di uno dei quattro corsi in Scienze delle Religioni esistenti al momento in Italia (uno a Torino, uno a Padova-Venezia, due a Roma) tengo a segnalare che questa descrizione dei fatti è scorretta.

La laurea (soltanto magistrale) in Scienze delle Religioni è prevista dall’ordinamento italiano ed è una laurea statale. Già da anni essa è abilitante all’insegnamento di Filosofia e Scienze umane (A18) e di Filosofia e Storia (A19) nella scuola secondaria, assieme a una decina di altre lauree umanistiche; ciò avviene però dietro previo conseguimento di un numero di crediti in certi settori scientifico-disciplinari indicati dalla legge (rispettivamente 96 e 60 crediti prestabiliti). L’emendamento in discussione estenderebbe la possibilità di accesso anche all’insegnamento di alcune altre discipline, quelle già previste per chi ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Storiche (LM84), Scienze Filosofiche (LM78) o Antropologia Culturale ed Etnologia (LM01); ovviamente, anche in questo caso, previo conseguimento del numero di crediti previsti per le materie in questione.

L’accumulo di questi crediti costringe gli studenti a una serie di scelte che vanno programmate fin dalla laurea triennale, con il preciso scopo di raggiungere la quota necessaria per poter accedere all’insegnamento. La possibilità di aggiungere crediti soprannumerari in un corso di laurea, ove prevista, è limitata, e non permette facilmente di raggiungere il tetto richiesto. Non c’è alcun automatismo.

Il riferimento dell’articolista a un “mercato del cyberspazio-laurea” che si sta attrezzando “per mettere in grado i laureati in Scienze delle religioni di accumulare i punti necessari” si riferisce evidentemente alla possibilità di frequentare corsi singoli in università telematiche per colmare eventuali lacune; ma tale opzione esiste da anni ed è valida per tutti i corsi di laurea, ed è percorribile sia attraverso le università telematiche, sia e soprattutto attraverso quelle normali; ragion per cui non si vede come agli studenti di un solo corso di laurea ora si dovrebbe imputare come colpa ciò che è lecito per tutti gli altri studenti di qualsiasi altro corso di laurea.

La sensazione, allora, è che le critiche rivolte al meccanismo di accesso all’insegnamento – che è uguale per tutti e non è certo una innovazione di oggi – nascondano un’ostilità alla natura stessa del corso di laurea in Scienze delle Religioni, che viene erroneamente trattato come se fosse un insegnamento religioso, clericale o confessionale.

Infatti il pubblico inesperto viene indotto a credere che la laurea in Scienze delle Religioni sia sovrapponibile o identica a quelle lauree in Scienze Religiose o similari, rilasciate dalle facoltà teologiche o dagli Istituti Superiori di Scienze Religiose gestiti dalla Santa Sede. Nell’articolo di Mantello si afferma erroneamente che la laurea in Scienze delle Religioni sia titolo di accesso all’insegnamento della religione cattolica; ma in realtà gli insegnanti di religione debbono essere in possesso dei titoli accademici di baccalaureato, licenza o dottorato in Teologia o in altre discipline ecclesiastiche, oppure devono aver conseguito una laurea magistrale in Scienze Religiose: tutti titoli ecclesiastici, e non statali. A ciò va aggiunto un placet dell’autorità diocesana. Nessuno dei laureati nei nostri corsi statali ha accesso a queste cattedre (cosa che peraltro, se fosse vera, porterebbe alla situazione inversa rispetto a quella paventata, cioè a una laicizzazione dell’insegnamento della religione a scuola).

Naturalmente in astratto è possibile che un insegnante di religione già laureato in teologia domandi di iscriversi a una laurea magistrale italiana, usando come titolo di accesso la laurea che già possiede: questo è previsto dalla legge e riguarda la disciplina di riconoscimento dei titoli fra Stati sovrani, che interessa anche quelli rilasciati dalla Santa Sede. In questo caso non si potrà certo impedire a qualcuno di prendere una seconda laurea italiana che eventualmente, soltanto se in possesso dei crediti necessari, lo renderà abilitato all’insegnamento di certe discipline. Va però segnalato che per accedere alla laurea magistrale italiana un eventuale dottore in discipline ecclesiastiche dovrà aver conseguito un titolo quinquennale, e non triennale, diversamente da quanto avviene per un laureato italiano; per cui alla fine del processo avrebbe frequentato sette anni di università e non cinque.

Per concludere: le lauree magistrali in Scienze delle religioni non sono insegnamenti religiosi né confessionali, ma sono lauree che indagano l’oggetto religioso con gli strumenti scientifici propri delle discipline umanistiche. Non costituiscono una ferita alla laicità dello Stato e nemmeno sono un’ingerenza ecclesiastica all’interno dell’Università, perché totalmente indipendenti dalla Chiesa cattolica; anzi, sono una possibilità di affrontare in piena libertà lo studio di certi discipline che tradizionalmente sono monopolio degli istituti confessionali. Non sono corsi di laurea che formano all’insegnamento della religione cattolica né sono scorciatoie per trasformare gli insegnanti di religione in insegnanti di lettere. Piuttosto, se un giorno una riforma del Concordato volesse riformare l’insegnamento della religione cattolica, tali corsi di laurea potrebbero formare i candidati adatti per insegnare le religioni nella scuola con un approccio laico, critico e pluralista.

(Andrea Nicolotti è Presidente del Corso di laurea in Scienze delle Religioni dell’Università degli Studi di Torino)



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