“Il Sud come sistema a sé stante con problemi propri è un mito”. Intervista a Stefano Prezioso e Carmelo Petraglia

Che ne è del Sud Italia reduce della lunga crisi, della pandemia e dell’impennata di inflazione dovuta al conflitto russo-ucraino? Come sta reagendo all’avvento di Next Generation Eu e del governo Meloni? Ne parliamo con Stefano Prezioso (dirigente di ricerca Svimez su modellistica regionale ed economia industriale) e Carmelo Petraglia (docente Università degli Studi della Basilicata, già consigliere economico del Ministero per il Sud e la coesione territoriale) autori di Nord e Sud. Divari economici e politiche pubbliche dall’euro alla pandemia (Carocci, 2023).

Roberto Rosano

Professori, il Sud è davvero la zavorra che frena la locomotiva del Nord come spesso è stato raccontato?
SP: Questa è una lettura che non trova riscontri nei dati ma che purtroppo ha orientato le politiche pubbliche verso un regionalismo fallimentare. Il Nord non è arretrato per colpa del Sud, ma perché la sua industria non ha saputo competere su tecnologia e innovazione come hanno fatto le vere locomotive del Nord Europa; la fine delle svalutazioni ha messo in difficoltà i distretti del “piccolo è bello” della terza Italia; il Sud non è arretrato per la presunta carenza di capitale sociale, ma per il disinvestimento pubblico e l’assenza di una politica industriale attiva, schiacciato dalla concorrenza di prezzo dell’Est Europa.

Potreste spiegarci perché l’economia meridionale ha risentito di più dello shock euro/globalizzazione?
SP: Quando le economie diventano più integrate, le forze di mercato concentrano capitale e lavoro nelle aree “forti”. Soccombere all’integrazione commerciale e monetaria è il destino delle aree deboli se queste tendenze non vengono controbilanciate da politiche favorevoli al riequilibrio delle condizioni di partenza tra aree deboli e forti. Le politiche generali nazionali si sono disimpegnate da questo compito. La carenza di spesa ordinaria ha reso sostitutiva (e solo parzialmente) la spesa dei fondi strutturali, inefficiente e inefficace, certo, ma che non può produrre effetti se lo Stato disinveste da mobilità, scuola e sanità.

Dopo la “lunga crisi” del 2008-14, la migrazione dal Sud verso il Nord è ripresa fortemente, coinvolgendo sempre più i giovani laureati. Questo significa meno forza lavoro qualificata e una classe dirigente sempre più depauperata di risorse future. Questo dato è un’ovvietà, ma c’è invece un aspetto che conosciamo poco in questo meccanismo?
CP: Intanto va detto che questa è una questione nazionale: da anni l’Italia registra saldi migratori negativi di laureati verso l’estero perché non sa dare opportunità ai suoi giovani. Ma se il Nord in parte compensa questa perdita con le competenze in fuga dal Mezzogiorno, da Sud si parte e basta. E si parte anche prima di cercare un lavoro, andando a studiare nelle Università del Nord. Così il Nord beneficia degli investimenti pubblici e privati in istruzione senza sostenerne i costi. Insomma, chi continua a pensare che il Sud assistito sottrae risorse pubbliche al Nord, dovrebbe fare meglio i conti.

Cosa prevedete sul lungo periodo?
CP: Se la domanda è sulle prospettive per l’Italia, vediamo più ombre che luci. Soprattutto perché è ancora presente la narrazione di un Sud come un sistema a sé stante con problemi propri e una domanda di sole politiche assistenziali. Non è così, bisognerebbe archiviare le contrapposizioni territoriali e riconoscere, finalmente, che il Sud è la punta dell’iceberg di disuguaglianze e ritardi che attraversano tutto il Paese. Colmare le disuguaglianze non è solo questione di giustizia, è la leva essenziale per attivare il potenziale di sviluppo inespresso del Mezzogiorno e, per questa via, far crescere il Paese.

Il secondo shock che voi raccontate è naturalmente il covid 19, che ha causato la più grave recessione globale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il Sud come se l’è cavata?
SP: Se l’è cavata bene l’Italia e se l’è cavata bene il Sud. La vera novità del post-covid è che Nord e Sud sono ripartiti insieme. Grazie, però, a due forze che hanno esaurito la loro spinta: il tenore straordinariamente espansivo delle politiche e l’exploit di costruzioni e servizi. La fotografia per il Sud è ancor più sbiadita per due motivi: un contributo dell’industria alla crescita del Pil nel 2021-2022 dimezzato rispetto al Nord e la concentrazione del recupero occupazionale in settori, come il turismo, che esprimono una domanda di lavoro poco qualificato e mal retribuito, e quindi incapace di contenere la fuoriuscita di capitale umano qualificato dal Sud.

Mi è parso di capire che consideriate il PNRR l’ultima occasione per riavvicinare il Sud al Nord. Ma questa cascata di danaro pubblico non rischia di scivolare via come in un colabrodo?
CP: Il PNRR è stato costruito intorno a una condizionalità europea, per una volta, “buona”: fare leva sulla riduzione delle disuguaglianze per tornare a crescere. A partire da due priorità: livellare le condizioni di accesso ai diritti di cittadinanza, relativamente peggiori al Sud, e attrarre nuovi investimenti produttivi al Sud. Purtroppo, il PNRR sta mostrando più di una criticità che lo sta allontanando da questa idea di fondo, per limiti originari di impostazione e problemi di attuazione emersi in corsa. Con la SVIMEZ, ad esempio, abbiamo mostrato che nel caso dell’edilizia scolastica, il PNRR potrebbe addirittura amplificare i divari Nord-Sud.

E, invece, il conflitto russo-ucraino che effetti sta avendo sull’economia meridionale?
SP: Sono sempre i più fragili ad essere colpiti più duramente dalle crisi. In questo caso è stato soprattutto l’aumento del costo della vita che ne è seguito ad avere gli effetti più diseguali. I rincari hanno riguardato tipologie di spesa “incomprimibili” (bolletta energetica e beni alimentari) che gravano di più sui nuclei familiari a basso reddito, concentrati soprattutto nel Mezzogiorno. E l’esplosione dell’inflazione ha eroso il potere d’acquisto dei salari più al Sud che nel resto Paese perché al Sud prevalgono precarietà e lavoro povero. Ecco un’altra questione nazionale che è ancora più visibile al Sud: i bassi salari e il lavoro povero.

Questo libro è stato dato alle stampe nell’aprile 2023. Il governo Meloni si è insediato una manciata di mesi prima. Posso chiedervi che cosa è cambiato per il sud dopo l’insediamento di questo governo? I fratelli d’Italia, dati alla mano, sono più vicini o più lontani?
CP: Nel libro diciamo che c’è una lezione da apprendere dalla lunga storia dei fallimenti delle nostre politiche territoriali: quando le politiche generali non favoriscono o addirittura ostacolano la convergenza regionale, è inutile attendersi risultati apprezzabili dalle politiche aggiuntive per le regioni in ritardo. Ecco, questa lezione non pare sia stata ancora appresa dal governo. Sul fronte delle politiche aggiuntive, si stanno ricentralizzando le scelte a Palazzo Chigi. Ma nel frattempo si va avanti con l’autonomia differenziata che porrebbe una pietra tombale sulle politiche generali dello Stato, rinunciando all’obiettivo di un Paese più giusto.



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