Le elezioni di Giorgia Meloni

Meloni che tipo di presidente del Consiglio sarà? È lecito aspettarsi blocchi navali, frontiere serrate, incentivi alla natalità, bonus-bebè e condoni d’ogni sorta.

Maria Concetta Tringali

Come volevasi dimostrare. Stiamo ancora facendo i conti, ma il risultato di queste nazionali è chiarissimo. Le previsioni sono rispettate, con un astensionismo che sale al 36%, queste sono state le elezioni di Giorgia Meloni. La sua leadership ha portato FdI al 26%. Pesa da sola quanto tutta la coalizione di centrosinistra. E a guardare l’ultima tornata, dal 2018 a oggi, ci sono di mezzo circa 22 punti percentuale, una scalata. È a capo del primo partito d’Italia, guida la coalizione, presto guiderà il governo. Il centrodestra è al 44%; nel limbo il duo Renzi-Calenda, una cosa che si aggira tra il 7 e l’8 (senza voler scomodare il cinema) senza ancora una collocazione precisa. È chiaro che sarà la prima volta di una donna presidente del Consiglio. Ma c’è poco da esultare. E i motivi sono più d’uno. Ce li indica la stessa premier in pectore che, certamente, starà bene attenta da subito a che quella declinazione resti al maschile, per non ledere o sminuire la dignità della carica e della funzione, per carità, per restare nel solco della tradizione.

Io sono Giorgia, uscito per Rizzoli l’anno scorso, è un concentrato di stereotipi che serpeggiano dentro a un prodotto editoriale che pretende di sciogliere, in qualche centinaio di pagine, le croste di un estremismo di destra impossibile da mimetizzare.
Scambia il paternalismo per affetto (come quando Bertolaso intimò a una Meloni in gravidanza di lasciar perdere la candidatura a sindaco della capitale e di fare la mamma) e si affretta a chiarire che “i figli non sono un limite, ma aiutano a superare i propri limiti, danno una forza straordinaria”. Ci si domanderà – ragionando a contrario – come facciano quelle donne che per scelta o per destino questa ricarica di energia non l’hanno avuta in dote. Ma quello è un quesito che al momento possiamo mettere da parte. Meloni – ed è questo il punto – che tipo di presidente del Consiglio sarà? Per le donne è davvero il momento di infrangere il soffitto di cristallo o non sarà che i cocci ci cadranno in testa, rovinosamente?
Sempre dal suo diario è lecito trarre qualche indicazione. Scorrendo quelle pagine vediamo Giorgia Meloni arenarsi sul terreno della rappresentanza, come su quello del lavoro o dell’aborto e arroccarsi in difesa della famiglia tradizionale, perfino in barba alla coerenza.

È proprio sulla maggiore presenza femminile che la leader di FdI non va oltre certe perplessità. Parla di “presenza femminile qualificata nei luoghi decisionali”, quella sì che “contribuirebbe a risollevare il livello morale e l’efficacia produttiva della nostra classe dirigente, a volte flaccida, indolente, propensa a calpestare ogni forma di etica del lavoro”. Come dire, le donne (solo e se qualificate, ovviamente) sono una risorsa, sponsor del senso etico, anzi no, di quello morale, di cui sono portatrici sane. “Ma per maggiore presenza non intendo un mero fatto di numeri”, scrive: ed è qui il vero nodo della questione. Meloni che parla di parità lo fa continuando a spostare volutamente il discorso sul merito, pur sapendo che un piano non può valere l’altro. Insomma, le donne – se brave – meritano di prendere posto, una concessione che come tale non prevede aiutini. Niente quote rosa, perciò, niente meccanismi necessari (e seppur insufficienti) che in un Paese come il nostro restano il solo vero motivo per cui le donne non se ne stanno ancora, tutte, a fare le regine della casa.

La retorica è nota, è quella delle pari opportunità che vanno costruite nel punto di partenza e non nel punto di arrivo. Le donne capaci devono essere messe in condizione di competere ad armi pari, senza spinte e senza pregiudizi. Quando questo accadrà, allora capiremo il valore aggiunto che molte donne possono portare”. Sul registro – sul suo registro – ci sarebbe poco da spiegare o solo da aggiungere. Che risenta di schemi patriarcali non pare cosa di cui poter dubitare. Le evocazioni belliche e l’immaginario della competizione maschia ci sono tutti.

Sulle libertà civili non va meglio: “Ognuno è libero di amare chi vuole, ovviamente, ma questo non c’entra niente con le leggi. Perché le leggi di uno Stato non normano i sentimenti, e ci mancherebbe altro. Lo Stato tende a incentivare ciò che considera utile e necessario per migliorare il funzionamento della società”, si legge ancora nel suo libro. “Puoi essere uomo e sentirti donna, puoi essere donna e sentirti uomo, ma non puoi pretendere che le leggi dello Stato ti assecondino. Perché se lo facessero, semplicemente, sarebbe il caos”. Per contro, invece, lei cerca l’ordine evidentemente.

Inevitabile conseguenza il no all’interruzione di gravidanza intesa come libertà di scegliere e di autodeterminarsi (semmai “l’aborto è extrema ratio”) e la glorificazione della “famiglia formata da un uomo e una donna che si sposano” dal momento che serve, come irrinunciabile ammortizzatore sociale.

Il distinguo è la chiosa perfetta. Contro gli italiani che fanno pochi figli la soluzione non è quella della sinistra, ricetta che Meloni non condivide: non si può fare a meno degli italiani “rimpiazzandoli con chi è appena arrivato da altre parti del mondo”.

Adesso che lo scenario è questo e il tempo è arrivato, è lecito aspettarsi perciò blocchi navali, frontiere serrate, incentivi alla natalità, bonus-bebè e condoni d’ogni sorta.

E sarebbe saggio attendere ancora un po’, prima di comprare i libri di scuola ai nostri figli perché non è detto che non cambino anche quelli, nel giro d’una notte appena iniziata.

Credit foto: ANSA/CLAUDIO PERI



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