Una mite intransigenza. Le lezioni di filosofia di Renato Solmi

Un volume raccoglie le lezioni dedicate da Renato Solmi al ruolo della filosofia e al pensiero di Fichte, Schelling, Hegel, Feuerbach, Kierkegaard, Marx, Nietzsche, Croce e Lukács.

Massimo Cappitti

L’editore Quodlibet ha recentemente pubblicato le lezioni di filosofia che, nel corso del suo insegnamento, Renato Solmi ha tenuto presso il liceo Cattaneo di Torino. Si tratta di lezioni dedicate al ruolo della filosofia da un lato e dall’altro all’esame del pensiero di Fichte, Schelling, Hegel, Feuerbach, Kierkegaard, Marx, Nietzsche, Croce e Lukács, ovvero di quei filosofi che meglio e prima di altri hanno colto le caratteristiche della modernità, che si stava affacciando sulla scena della storia.

Con scrupolo filologico e rispetto dei testi, Solmi ricostruisce le fasi fondamentali dell’itinerario intellettuale dei pensatori citati. Dai testi traspare quella passione che da sempre ha contraddistinto la vocazione didattica dell’autore. Chi, dunque, legga con attenzione queste lezioni non può non rimanere colpito dal rigore delle argomentazioni: rigore, però, che non dimentica che i destinatari degli scritti sono studenti di scuola superiore. Da qui lo stile sobrio che mai cade nello specialismo o, peggio, in una gergalità compiaciuta.

Con la sua consueta finezza Marco Gatto – autore della prefazione, nonché curatore degli scritti del filosofo torinese – ha sottolineato che «la minuzia argomentativa, l’eleganza stilistica e la tensione massima al dettaglio restituiscono il senso di una pratica scrittoria mai scissa dall’occasione didattica» il cui centro è lo studente, chiamato a partecipare attivamente alla costruzione di sé. Non c’è traccia di autocompiacimento nella riflessione di Solmi, ne emerge, piuttosto, l’umiltà di chi continua a scavare nei testi al fine di sottrarli a letture pigre e superficiali. Scrive Solmi che, nella sua esperienza di insegnante, la filosofia «aveva luogo nella forma di una interrogazione di tipo socratico, in cui gli studenti erano invitati a dire ciò che pensavano della filosofia (senza averla ancora mai studiata personalmente), che cosa ritenevano che fosse e a intervenire per contraddire o per correggere le risposte date da altri compagni». Ne deriva la “naturale” propensione al dialogo del sapere filosofico che si traduce nell’apertura ad altre discipline, ad esempio, la scienza, la storia, l’arte, la religione. Di ciascuna Solmi coglie i tratti salienti. Se la filosofia è «una sola, compatta, unitaria e onnicomprensiva», le scienze, invece, sono molte e soprattutto capaci di agire immediatamente sulla realtà per modificarla, o «arte e filosofia sono ancora connesse tra loro, anche se nell’arte prevale la ricerca dell’espressione individuale, mentre nella filosofia prevale la preoccupazione della conoscenza ordinata e sistematica della verità, e cioè dei fatti umani e delle leggi che li governano».

Il rapporto filosofia e storia può, ad esempio, esprimersi in un «antagonismo» e in «una esclusione reciproca», poiché la prima si occupa di «essenze eterne e immutabili», mentre la seconda volge lo sguardo all’effimero e al contingente che, pertanto, recalcitra a rappresentarsi concettualmente. Eppure, è sempre più evidente «che non si può penetrare a fondo nella natura di ciascuna cosa […] senza conoscerne previamente la storia» e che perfino i concetti attraverso i quali pensiamo e agiamo nella realtà sono formazioni storiche, esito, come ricorda Solmi citando Hegel, di un processo di «formazione» e di «costruzione» graduale, che si è sviluppato attraverso singole tappe, delle quali siamo chiamati a serbare memoria. Filosofia e vita entrano in reciproca risonanza; infatti, esse, accomunate, ci mettono a contatto con «qualcosa di infinitamente dolente e sconsolato, anche se aperto in definitiva alla speranza». Il sapere filosofico, pertanto, è apprendistato alla vita sia che questo apprendistato si configuri come ricerca interiore, oppure si apra alla militanza politica nella partecipazione ai movimenti sociali e politici esistenti.

«La filosofia culmina, in ultima istanza, nella attività e nella competenza politica che ne costituisce il banco di prova, la verifica e la sua realizzazione effettiva, a cui, come Platone sapeva benissimo, il filosofo non può in alcun modo sottrarsi, se non al prezzo di venir meno alla sua vocazione di uomo e cittadino». Da qui il coerente impegno politico di Solmi nei gruppi pacifisti, con la consapevolezza che lo studioso deve raccogliere e organizzare le proprie riflessioni, traendo ispirazione dai diseredati e dagli ultimi della terra. Rimane da chiedersi cosa rimanga della filosofia nell’età della tecnica, nel momento in cui si sta imponendo «l’amministrazione generalizzata e computerizzata dei diversi saperi». La scuola stessa, come già Solmi presagiva, è sommersa da una burocrazia incapace, ossessivamente preoccupata di mantenere l’ordine.

Rispetto al destino della filosofia Solmi si chiede se «esiste ancora una possibilità, anche solo teorica, di costruire un edificio filosofico onnicomprensivo, una sintesi complessiva in cui sbocchino e si dispongano organicamente i risultati di tutte le altre conoscenze». D’altra parte, la riflessione filosofica è da sempre abitata da una «aspirazione insoddisfatta e irrealizzabile» a costruire un sistema filosofico compiuto, ma forse in questa aspirazione al sistema è contenuta paradossalmente la sua forza. La filosofia è scienza in fieri. Essa gronda di «tutte le impurità, le inesattezze» che annunciano la nascita «di qualcosa di nuovo e di grande, di vitale e di carico di avvenire». Rigore etico e rigore teorico si implicano vicendevolmente. In ciò consiste la lezione di Renato Solmi, in una mite intransigenza nell’assumersi la responsabilità di ogni scelta senza compromessi e facili consolazioni.



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