Le putinate di Salvini

Ci sono diverse ipotesi che potrebbero spiegare le recenti dichiarazioni di Matteo Salvini sul risultato elettorale di Putin. Da quelle più banali che rievocano la stagione del Papeete a quelle più serie che chiamano in causa i fondi russi, fino a quelle prettamente politiche che vedono in Salvini l'incarnazione del perfetto populista.

Mauro Barberis

A leggere le ultime dichiarazioni di Salvini sulle elezioni in Russia, (“Quando il popolo vota ha sempre ragione”), e la correzione seguita alle critiche (“non diamo un giudizio positivo o negativo del risultato”), viene da stropicciarsi gli occhi. Come può il vicepremier di un governo occidentale, mentre la guerra arriva ai confini dell’Europa, unirsi al coro dei i peggiori despoti mondiali, dal cinese Xi Jinping al nordcoreano Kim Jong-un, dal venezuelano Maduro e al saudita Bin Salman? In realtà, ci sono almeno cinque ragioni per spiegare questa apparente follia.
La prima, troppo semplice, è che a Salvini abbia dato di volta il cervello. In effetti, è dai famosi mojitos del Papeete, quando cominciò a giocarsi il suo 34% dei suffragi, che fa una putinata dopo l’altra. Non che prima andasse meglio: nel lontano 2015, su Facebook, disse che cedeva due Mattarella per mezzo Putin, e tutti a sbavare per lui. Certo, dichiarare che sull’omicidio di Navalny, “la chiarezza la fanno i giudici, non noi”, come ha fatto più recentemente, è ormai al di sotto della decenza. Eppure, almeno è coerente: c’è del metodo, nelle sue putinate.
La seconda ipotesi, poco più complessa, è che Salvini dipenda mani e piedi da fondi russi, come suggerisce lo scandalo dell’Hotel Metropol nel 2018. Anche il generale Vannacci, del resto, che la Lega salviniana – ma il resto no – vorrebbe candidare alle europee, è stato due anni addetto d’ambasciata a Mosca: dunque, basta fare due più due. Spiegazione troppo complottista, però: i soldi, oltre a non dare la felicità, non spiegano neppure tutto.
La terza ragione, più seria (tutto è relativo) è che, nonostante le scoppole in Sardegna e Abruzzo, Salvini continua a fare politica: la sua, purtroppo. Sabato, a Roma, c’è la grande reunion con i suoi partner sovranisti, tipo Rassemblement national francese e Alternative für Deutschland tedesco. Con loro, Salvini lavora a un’alternativa ai conservatori meloniani al Parlamento europeo, al fine di rappresentare tutti quei cittadini europei i quali, benché disposti a svenarsi per le uova di Pasqua, non sono disposti a fare altrettanto per l’Ucraina. Come chi, ai tempi di Hitler, non voleva morire per Danzica: e poi s’è visto com’è finita. Prospettiva non del tutto insensata, però, se davvero Trump vince le elezioni negli Usa e noi diventiamo satelliti russi. Salvini, cioè, non fa che portarsi avanti con il lavoro, candidandosi a Lukashenko italiano.
La quarta ipotesi, complementare alla terza, è che Salvini faccia ormai aperta concorrenza alla Meloni, prima che questa, e magari anche Forza Italia, gli portino via due terzi degli elettori, a cominciare dai governatori del Nord, il trio Fontana-Zaia-Fedriga, ormai stufi pure loro delle putinate salviniane. E siccome Meloni è ormai una cosa sola con Ursula von der Leyden e Joe Biden, non foss’altro per entrare in una maggioranza conservatrice europea che però fa inorridire i suoi elettori più di destra, Salvini cerca di portarglieli via: tiè.
La quinta e ultima ragione, ausiliaria delle precedenti ma meno banale e forse decisiva, è suggerita da un libro che ho letto ultimamente, Un mese con un populista (2023). L’autrice, Anna Bonalume, dopo aver seguito Matteo II per un mese di campagna elettorale, ricostruisce il metodo nascosto nella sua apparente follia. In breve, Salvini segue una specie di manuale del perfetto populista: va a dormire alle due, si alza alle sette, e il resto del tempo tiene comizi, anche tredici al giorno, ma di un quarto d’ora, seguiti da lunghe sedute di selfie, per fidelizzare i fan e loro parenti e amici. Altro che non lavorare: il suo psichiatra, anzi, dovrebbe suggerirgli di lavorare di meno. Comunque sia, nel manuale c’è evidentemente scritto che il perfetto populista deve raschiare il fondo del barile elettorale, raccogliendo nostalgici, no vax, terrapiattisti… E filo-putiniani, of course.
CREDITI FOTO: ANSA / STEFANO CAVICCHI



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