Le sfide dell’Italia sullo scenario globale

Il nuovo governo dovrebbe perseguire un’idea di sovranità europea che non sia velleitaria e che dia forza all’alleanza euro-atlantica.

Maurizio Delli Santi

La campagna elettorale è ormai cessata, per cui l’approccio della propaganda e dei proclami deve necessariamente far posto alla concretezza delle analisi e delle iniziative fattuali. Tra le questioni centrali su cui il nuovo Governo dovrà assumere presto una linea e decisioni importanti non v’è dubbio che vi sia il tema della collocazione internazionale dell’Italia. Sullo scenario globale c’è certamente la priorità della guerra in Ucraina: evolve in una progressiva escalation dello scontro Occidente vs. Oriente, atteso che Putin non ha esitato a rilanciare lo spettro della minaccia nucleare, e dopo l’inquietante sabotaggio dei gasdotti nel Mar Baltico e l’annessione forzata del Donbass si prospettano altri tristi presagi. Il contesto europeo vede peraltro nuove minacce per la stabilità dell’area balcanica, mentre sul piano più generale le discordanze dei Paesi europei sono emerse sulle scelte delle politiche energetiche, con riferimento sia ai rapporti commerciali con la Russia sia alle inattese speculazioni di attori come la Norvegia e l’Olanda. Non vanno tralasciati gli altri scenari, come l’ingerenza della Cina su Taiwan e l’indo-pacifico, la situazione del c.d. “Mediterraneo allargato” in cui incombono le controverse questioni mediorientali, la crisi libica e quelle del Sahel, e in generale l’instabilità del continente africano in cui cresce la minaccia del nuovo jihadismo, e da dove potranno derivare ripercussioni sulle pressioni migratorie e sulla sicurezza dei mercati energetici, ora nuovamente ritornati di interesse in quelle aree. Sullo sfondo vi sono sempre i rischi della pandemia, le catastrofi che segnalano la gravità della crisi climatica e ambientale, e la contraddizione tra un mondo in cui da un lato crescono le diseguaglianze e l’ empowerment globali e dall’altro il potere economico si concentra in nuovi oligopoli: le multinazionali – non ultime quelle produttrici dei vaccini e dell’information technology – oggi condizionano pesantemente gli attori statali, hanno accesso incontrollato ai dati personali e lucrano su extra-profitti difficili da regolamentare, anche perché possono spostare sedi legali, manodopera e capitali dove preferiscono.

Di fronte a questi scenari, il nuovo Governo ha innanzitutto la responsabilità di guardare al proprio limes, per chiarire in che termini di effettiva cooperazione intende proporsi nell’Unione Europea. C’è una scelta di fondo da compiere: se muoversi, in concreto e non solo come annunciato nei programmi elettorali, nella continuità di un “europeismo” autentico, ovvero se a questo percorso si vogliono cominciare a porre “paletti” e “distinguo”. Una prima scelta va fatta subito per chiarire se si intende proseguire la strada intrapresa della ricerca di una leadership europea rafforzando l’intesa Italia-Francia-Germania, cui potranno certamente aggiungersi altri attori come la Spagna. In questo momento si guarda alla Germania con sospetto per la scelta unilaterale fatta sul mercato del gas che potrebbe alterare gli equilibri europei e alimentare la speculazione. Proprio per questo è certamente necessario richiamare l’esigenza di una linea condivisa, che è bene si cerchi di rinsaldare.

La scelta è cruciale per vari motivi. Se l’Italia ha potuto varare il suo Piano Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza risultando il principale beneficiario dei fondi europei del Next generation Eu, lo si deve all’appoggio di Francia e Germania, non bisogna dimenticarlo. Anche sul principio di “solidarietà” per la ripartizione dei flussi migratori i primi segnali di apertura erano venuti proprio da Parigi e Berlino: avevano iniziato ad accettare i primi ricollocamenti di migranti giunti in Italia con gli sbarchi clandestini, nonostante le ripercussioni nelle rispettive “politiche interne” per la scadenza di importanti consultazioni elettorali. Il tema è tornato di drammatica attualità con le nuove pressioni migratorie che riguardano da vicino l’Italia mentre ancora si è parlato di politiche di “blocco navale” e di azioni da perseguire contro le Ong che favorirebbero la tratta di essere umani. Sul punto sarebbe il caso che con “responsabilità” il Governo prendesse atto delle indicazioni contenute nel Rapporto del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa sulle politiche migratorie. Rilievi politici e giuridici (rif. Diritto, immigrazione, cittadinanza, n.2 /2021), in cui vengono rivolte precise raccomandazioni agli Stati: preso atto che varie attività investigative intraprese sulle Ong non hanno portato a riscontri, gli Stati vengono esplicitamente invitati a non ostacolare ulteriormente le loro attività di soccorso umanitario, ritenuto fondamentale anche rispetto al progressivo disimpegno in tale funzione delle stesse componenti statali. Quest’ultima circostanza fa pensare anche ad un dato falsato della reale consistenza delle ultime stragi nel Mediterraneo, stimata nei dati ufficiali già in 1280 vittime nel solo 2022. Peraltro, il Commissario europeo ai diritti umani ha pure indicato tra le best practices l’iniziativa non istituzionale assunta dalla Comunità di Sant’Egidio che ha potuto sviluppare un piano di corridoi europei grazie anche a organizzazioni umanitarie francesi e tedesche.

In generale, una scelta rinnovata sull’intesa Roma-Parigi-Berlino si pone in tutta evidenza nell’alveo di una concezione dell’Europa che ritiene necessario salvaguardare i principi dello Stato di diritto e il modello costituzionale comune, basato sul check and balance (di cui l’indipendenza della magistratura è un corollario) proprio delle democrazie liberali. Si tratta questo di un aspetto su cui il governo italiano dovrà essere netto nella scelta di campo, rispetto alle derive che in nome di prerogative nazionali hanno visto paesi come l’Ungheria e la Polonia, ad esempio, discostarsi dallo standard dei diritti dell’Unione europea. Qui il tema diventa piuttosto critico perché nel dibattito politico le istanze “sovraniste” anche in Italia si sono spinte a porre in discussione “il primato” del diritto europeo rifacendosi pure ad alcune pronunce della Bundesverfassungsgericht – BverfG, la Corte costituzionale della Repubblica Federale di Germania, che ha sede nella città di Karlsruhe. Ma sul punto i giuristi, come ad esempio Sabino Cassese, evidenziano una diversa prospettiva. In primo luogo la stessa Costituzione tedesca riconosce in ogni caso un primato del diritto europeo nelle materie ad esso devolute, inoltre essa ha un modello più avanzato del sistema dei diritti, fino a riconoscere il “diritto delle generazioni future”, rispetto alle scelte che il governo compie sulle politiche sociali e ambientali. Tant’è che i giudici di Karlsruhe hanno censurato una recente legge che poneva termini quantitativi e temporali sul raggiungimento degli obiettivi climatici giudicati non adeguati a preservare il diritto delle future generazioni a un ambiente salubre. Più in particolare occorre precisare che l’orientamento del giudice costituzionale tedesco in discussione sul rapporto diritto nazionale/diritto europeo in verità si riferisce a uno specifico contesto e a aspetti tecnici riguardanti i programmi di acquisto dei titoli sovrani degli Stati intrapresi dalla BCE, misura che gli stessi giudici della Corte non hanno più censurato, ad esempio a proposito del PEPP, il programma di acquisti di titoli varato per far fronte alla crisi da coronavirus.

Le questioni poste sulla ricerca di un’intesa tra Roma, Parigi e Berlino dunque non consentono ambiguità, e certo pure auspicando momenti di mediazione si dovrà essere chiari sul progetto che si vuole perseguire per l’Unione Europea. Occorre perciò non dimenticare che sovente gli interessi dell’Italia sui temi economici e dell’immigrazione sono stati contrastati proprio dal blocco dei c.d. Paesi frugali (Olanda, Austria, Danimarca, Svezia, Finlandia e Repubbliche baltiche) o del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia). Ora occorrerà vedere se le tendenze politiche emerse (come le ultime elezioni in Svezia, le divergenze sorte sulle politiche sanzionatorie e energetiche, e le contrapposizioni dell’ungherese Orban) potranno consentire di far progredire il progetto europeo che l’Italia insieme a Francia e Germania ha finora inteso perseguire. A cominciare dall’idea di ridimensionare la regola delle decisioni all’unanimità, che di fatto non dà spazio alla volontà degli Stati che, singolarmente considerati, in Europa hanno maggiore rappresentatività: in termini di popolazione, forza economica e autorevolezza internazionale. Una prima indicazione per confermare tale linea potrebbe venire da una pronta ratifica del Trattato del Quirinale, voluto per iniziativa di Macron che ha inteso strategicamente replicare il Trattato dell’Eliseo suggellato per la storica intesa con la Germania. La ratifica dell’accordo sarebbe dunque un segnale forte ed inequivoco, e consentirebbe ora all’Italia di coordinarsi meglio, anche per tutelare gli interessi italiani nell’ industria della difesa e nelle acquisizioni finanziarie su imprese di interesse nazionale.

Ma le previsioni sul ruolo dell’Europa sono fondamentali rispetto alla più grave emergenza che ci coinvolge ora direttamente sotto tutti i profili, economici, sociali, e non ultimi quelli morali: la guerra in Ucraina. L’espressione “guerra di aggressione” non può più passare come mera formula retorica, così come la nozione di “crimine di guerra”. A queste parole va dato un senso compiuto, richiamando con fermezza il valore di ciò che significano secondo il diritto internazionale, nella Carta delle Nazioni Unite, nelle Convenzioni di Ginevra e nello Statuto della Corte penale internazionale. La guerra in Ucraina rappresenta la più grave regressione che ci ha riportato alle barbarie vissute in Europa: la seconda guerra mondiale, con le violenze subite dalle popolazioni civili, le aggressioni all’Ungheria e alla Cecoslovacchia, il conflitto della ex Jugoslavia. Si è parlato dell’ipocrisia di chi non ha reagito così nettamente rispetto a tanti altri conflitti. Stavolta il contesto ha assunto una diversa dimensione: la Russia è uno Stato che ha accettato di aderire ai principi della Carta delle Nazioni Unite e siede nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu la cui funzione principale è adoperarsi per la pace. Mosca ha scelto di condurre un conflitto alle porte dell’Europa, sapendo di aggredire una nazione amica dell’Europa, cui ora è stato riconosciuto anche il diritto di aderire all’UE.

L’Italia non può dunque giustificare la narrazione dell’espansione della Nato come causa del conflitto, o quella ultima della “dittatura dell’Europa” sostenuta dall’improvvido capo della diplomazia russa Lavrov. Non ci si può sottrarre alle conseguenze di tutto questo. Roma non solo non può limitarsi a sostenere un atlantismo di maniera e la linea sinora perseguita dall’Unione Europea, ma deve farsene protagonista attiva perché ha l’autorevolezza e la responsabilità di una “media potenza” che nel mondo può esercitare un ruolo. Basta scorrere le cronache di appena un anno fa quando le principali testate giornalistiche internazionali presentavano i resoconti dei grandi vertici mondiali, dal G7 di Carbis Bay al G20 di Roma. Qui l’Italia ha saputo ottenere un consenso unanime proponendo un modello di “multilateralismo inclusivo”, che in maniera lungimirante si preoccupava di confermare i principi della Carta delle Nazioni Unite e di evitare lo scenario dello scontro dei blocchi Occidente vs. Oriente.

Uno dei primi grandi vertici internazionali cui con ogni probabilità sarà chiamato a intervenire il nuovo Governo italiano sarà proprio il G20 che tra ottobre e novembre concluderà il periodo di presidenza indonesiana. Sarà importante che al G20 di Bali l’Italia si presenti con idee chiare sui grandi temi globali: dalla lotta alla pandemia, dove è ancora necessario perseguire la vaccinazione globale intervenendo sulla sospensione dei brevetti, alla transizione ecologica, dalla lotta alle diseguaglianze globali al nuovo ordine internazionale. L’Italia può e deve avere fiducia sul proprio ruolo e sulla forza delle idee in quel contesto. Lo scenario può essere anche meno inquietante di quello che Putin prospetta con la sua minaccia nucleare. Il recente vertice di Samarcanda della Shangai Cooperation Organization (Sco) ha dato un segnale forte. Sull’organizzazione di Shangai Putin aveva puntato molto per rafforzare la coesione del fronte anti-occidentale in cui ha cercato di coinvolgere India, Cina, i paesi dell’Asia Centrale, Turchia e Iran ed altri ancora, come aveva fatto con le imponenti esercitazioni militari Vostock-2020. Ma stavolta il progetto non è andato “secondo i piani”. Erdogan è noto che si propone come attore principale per i negoziati, ma stavolta anche il leader cinese Xi Jinping ha posto a Putin “dubbi e preoccupazioni” a proposito della guerra contro l’Ucraina, e il premier indiano Modi ha dichiarato in maniera netta che «non è tempo di fare la guerra».

All’“Occidente collettivo”, l’abusato termine con cui Putin definisce una comunità di Stati che crede ancora nella democrazia e nella libertà, non resta che prendere l’iniziativa per tessere con più convinzione l’idea del “multilateralismo inclusivo”. È l’idea italiana che potrebbe anche riproporre a quella parte del mondo che si sente emarginata ed esclusa dalle grandi decisioni i progetti di riforma dell’Onu, per assicurarne una più vasta rappresentatività.

L’occasione per rilanciare questi temi potrebbe presentarsi anche presto, oltre che al G20 di Bali, anche nello stesso contesto dell’Onu. È molto probabile che dopo l’ultima minaccia nucleare di Putin, il sabotaggio del Nord Stream e la sfida delle elezioni forzate per promuovere l’annessione del Donbass, il dibattito sulla guerra in Ucraina dal Consiglio di Sicurezza – dove è scontato il veto della Russia – si sposti all’Assemblea Generale, che proprio l’ultima Risoluzione dell’Onu chiama ora a pronunciarsi nel caso di veti al Cds. E qui allora sarà opportuno che l’Italia intervenga con dossier e proposte documentate sul da farsi, proponendo una road map che punti, perché no, a riproporre lo “spirito di Helsinki”, con una nuova Conferenza per la pace e la sicurezza in Europa. Dunque non vi sono che queste priorità per il Governo italiano: non limitarsi a fungere da inerme spettatore, perseguire un’idea di sovranità europea che non sia velleitaria e dia forza all’alleanza euro-atlantica, persistere perciò nella deterrenza contro chi non riconosce che le ragioni della prepotenza, non trascurare una visione strategica nel Mediterraneo allargato e in generale sui temi globali (pandemia, clima, transizione energetica, pressioni migratorie, diseguaglianze globali, etc.), promuovere comunque ogni sforzo diplomatico per riportare la pace in Europa e nel mondo, puntando anche a recuperare significato e ruolo delle Nazioni Unite.

(credit foto Kaga tau – Opera propria, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia commons)



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