“Le statue di sale” di Giovanni Carbone: quando la Sicilia è altri mondi

Leggendo il romanzo di Giovanni Carbone, l'impressione è quella di aver trovato un nuovo Sciascia.

Daniele Barbieri

Non è che io abbia mai avuto un gran rapporto con Montalbano (nel senso del commissario). Dopo averlo letto 2 volte mi ero giù stufato: libri ben scritti per carità ma non è roba per me. Mi hanno costretto – letteralmente: in tre, mancava solo mi legassero – a vedere una puntata in tv («che meraviglia» ripetevano) e l’ho trovata appena decente. Troppo esigente? Forse è solo perchè io guardo la tv 14 volte l’anno e quindi non sono abituato alla merda corrente.
Fatta questa premessa mi sono trovato a leggere Le statue di sale – Effigi editore: 160 pagine per 13 euro – sottotitolo “Le indagini del commissario Luigi Capuana” di Giovanni Carbone (*) e fin dalle prime righe mi son detto: “ullalà”. A metà libro più che “ullalare”… ululavo perchè mi sembrava di aver trovato un gran romanzo. A fine libro confermo: un romanzo degno di Leonardo Sciascia (o di Friedrich Dürrenmatt che però tanto siciliano non era): attraverso le molte Sicilie reali racconta anche altri mondi. Il meccanismo poliziesco è perfetto ma anche un assoluto pretesto.
Il libro inizia proprio con le lamentele del commissario Luigi Capuana (omonimo sì del grande scrittore conterraneo) contro “quello lì” che non viene mai nominato: «che piglia il caffè in accappatoio, c’è il sole, pure la nuotata». Poche righe in corsivo e poi decolla la triste quotidianità nebbiosa di un siciliano a Milano. Di professione è poliziotto ma perchè abbia scelto questo mestiere… non ricorda e continua a chiederselo. Anche perchè dentro di lui battibeccano due anime, anzi tre: il pigro funzionario borbonico e il ribelle che generano una strana creatura (mitologica forse) che potremmo chiamare “il bravo sbirro”.
Due capitoli e un improvviso trasferimento: Capuana torna in Sicilia e non si capisce se è un premio o punizione (non lo sapremo mai). Da qui è vietato spoilerare, insomma svelare la trama che per 13 capitoli tiene avvinti. Niente effetti speciali, tranne forse tre ma – roba da matti! – legati alle bolle di sapone, alle opere d’arte in continuo divenire (e dunque mai finite) e alle statue di sale del titolo.
A mio avviso un piccolo capolavoro del genere poliziesco.
Leggendo mi chiedevo se sia credibile che uno come Capuana abbia dentro di sé un “anti-sbirro”. Ho pensato a qualche poliziotto che vagamente ho conosciuto ma soprattutto al brasiliano Augusto Boal che ci mise in guardia più o meno così: “abbiamo tutti uno sbirro nella testa”. Verissimo e allora anche il contrario può accadere. Fra sbirri dubbiosi e non sbirri grandi indagatori… il piatto è servito. In una caleidoscopica Sicilia senza neanche l’ombra di una cartolina.

(*) Devo evidenziare un minimo conflitto di interessi. Non solo conosco l’autore ma proprio qui su Micromega io e lui siamo parte del trio che cura ogni mese le «Suonerie». Questo però non mi induce alla piaggeria. I più maligni fra voi che leggete forse penserete “già, come avrebbe fatto Barbieri a evitare di lodare il libro di un amico?”. Come ho già fatto: non facendo la recensione, per evitare di spiegare che era una ciufega. Silenzi talmente sospetti che 7-8 persone non mi salutano più. Mi spiace però mica è colpa mia se scrivono male.



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