L’eroismo civile di Andrea Franzoso

“Di fronte al dilemma – salvare la mia coscienza o salvare la mia carriera – ho scelto la prima via”. In libreria “Il disobbediente. Trovare il coraggio di denunciare quando tutti vogliono il silenzio” di Andrea Franzoso (Bur), la storia di un presidente ladro e corrotto, di un gregge di ignavi e di un uomo libero.

Michele Martelli

Chi è Andrea Franzoso? Un uomo comune, uno di noi, protagonista, suo malgrado, di una storia esemplare di «eroismo civile». «Sventurata è la terra che ha bisogno di eroi», ammoniva il Galileo di Bertolt Brecht. «Eroe», nel linguaggio odierno, indica non l’uomo forte e valoroso, o il semidio come il leggendario Heracles o Gilgamesh, ma un uomo dotato di virtù morali (coraggio, abnegazione, altruismo, ecc.) tali da indurlo a rischiare se stesso per gli altri e per il bene comune.

Ed è questa la storia di Andrea Franzoso, di cui è appena uscito in libreria Il disobbediente. Trovare il coraggio di denunciare quando tutti vogliono il silenzio, con prefazione di Gian Antonio Stella e postfazione di Raffaele Cantone, Bur, Milano. Non è una novità assoluta: il libro era già uscito, in edizione ridotta, con PaperFirst nel 2017, col sottotitolo C’è un prezzo da pagare se non si vuole avere un prezzo e poi, con De Agostini, in una seconda edizione rivolta ai più giovani, agli studenti delle scuole superiori, la platea privilegiata che Franzoso aveva sin da subito scelto per impartire, per mezzo della sua storia, vere e proprie lezioni di educazione civica e costituzionale.

Di che cosa si tratta non è forse del tutto ignoto al lettore di queste righe, data la visibilità mediatica di cui Franzoso ha usufruito negli ultimi tre anni su stampa, tv e social network, e l’attenzione ricevuta persino da autorevoli esponenti istituzionali. Il suo libro ebbe l’onore di essere presentato nella sala Koch di Palazzo Madama, nell’ottobre 1917, da Pietro Grasso (l’intervento è ora in appendice al libro), ex presidente del Senato, da Raffaele Cantone, ex presidente dell’Anac, e da Milena Gabanelli, ex giornalista di Report, le cui parole di fuoco vanno qui citate: «Ѐ la storia di un presidente ladro, di una folla di ignavi e di un uomo libero. Un libro contro la paura».

La vicenda è facile da riassumere. Franzoso, assunto da tre anni alle Fnm (Ferrovie Nord Milano) nell’ufficio controllo procedure e frodi, scopre nel febbraio 2013 le ruberie del presidente Ettore Achille, che, come le indagini appureranno, ammontano a circa 500 mila euro. Nelle riunioni aziendali si apre così, a carico del Presidente, il capitolo delle «spese pazze»: vacanze di lusso, sport, cene, vestiti firmati, film porno, uso di carte di credito, di telefonini, di auto aziendali ecc.: tutto e di più, – per sé, la moglie, i figli, – illecitamente addebitato sul bilancio di Fnm. Tutti nell’azienda sapevano, ma nessuno fiatava: per omertà, connivenza, paura, carrierismo, o semplice opportunismo, perché «così va il mondo». Ad eccezione, in verità, di tre o quattro colleghi, che lo aiutarono a reperire la documentazione; uno di essi, Luigi Nocerino, il più vicino ad Andrea, accettò anche di testimoniare.

«Di fronte al dilemma – salvare la mia coscienza o salvare la mia carriera – ho scelto la prima via», racconta Franzoso, che va a denunciare al vicino Comando dei Carabinieri il suo Presidente. Seguono indagini, processo e condanna. Ma Franzoso, il «traditore» nella neo-lingua aziendale, comincia a subire ritorsioni, ed è trasferito in un altro ufficio, inutilizzato, emarginato e isolato dai compagni di lavoro: sono «gli ignavi», coloro che vivono «sanza ‘nfamia e sanza lodo», che Dante confina nell’Antinferno e di cui dice «non ragionar di loro, ma guarda e passa». Dopo un lungo braccio di ferro con la nuova dirigenza, il Nostro accetta alla fine l’accordo economico consensuale e abbandona l’azienda. Alla ricerca angosciosa e quasi impossibile di un altro lavoro.

Chi gliel’ha fatta fare? Ne valeva la pena? Questa domanda, troppo spesso ricorrente sulla vicenda, è la spia e la prova che parte degli italiani, più sudditi che cittadini, accetta di vivere in una sorta di realtà sociale rovesciata, orwelliana, dove il bene è il male, l’illecito è il lecito, la corruzione trionfa sovrana, e i potenti sono extra o super leges. Dunque, richiamarsi alla legalità è un intollerabile e punibile atto di ribellione, di «disobbedienza»? Sarebbe un «paradosso», ha notato Pietro Grasso, mortalmente pericoloso per una «democrazia basata sullo Stato di diritto» come la nostra. In ogni caso Franzoso, con la sua scelta di denunciare il Presidente ladro e corrotto, whatever it takes, smaschera e distrugge quel «paradosso» di cui si pasce il gregge degli ignavi.

Due le considerazioni interpretative finali che a questo punto penso di poter fare.

La prima è di ordine etico-religioso. L’Autore, in un capitolo centrale del libro, ripercorre la sua autobiografia, fatta di insoddisfazioni, inquietudini, svolte improvvise, alla ricerca ostinata di un senso della vita. Studente liceale, poi allievo dell’Accademia militare di Modena, quindi capitano dell’Arma dei carabinieri, poi un periodo con i monaci trappisti dell’abbazia di Tamié, indi un noviziato di 4 anni in un Collegio gesuitico, dove completa la sua formazione culturale e religiosa, laureato in Giurisprudenza, infine, a 32 anni, dipendente di Fnm. Conclusione? «Non pretendo di possedere la verità. Ma la cerco, l’ho sempre cercata»; la verità «è da incarnare e da vivere, non da lasciare alle speculazioni teologiche o filosofiche».

Ma se mi chiedo tuttavia se e quale sia il principio etico-religioso a cui egli alla fine nel suo libro perviene, mi sento di indicarlo, anche se l’Autore non lo dice, nell’imperativo categorico kantiano, ossia nell’idea della «dignità della «persona umana», sempre fine e valore in sé, non mezzo o merce di scambio, – il che spiega bene, a me sembra, il suo fiero rifiuto del compromesso, della doppiezza, della corruzione, la sua rigorosa coerenza, l’universalizzabilità della sua scelta («una storia», dice infatti Franzoso, «che non è più mia», ma di tutti).

Ritengo invece contraddittoria la massima di Ignazio di Loyola, citata nel libro: «Prega come se tutto dipendesse da Dio, agisci come se tutto dipendesse da te»: se tutto dipende da Dio, io non sono né libero né responsabile; se tutto dipende me, Dio è un’ipotesi superflua. Franzoso non problematizza la massima, ma di fatto sceglie, con determinazione, la seconda alternativa. A riprova che la sua etica è sì religiosa, ma di una religiosità non dogmatica o dottrinaria, bensì, a mio parere, laica, kantianamente autonoma e razionale, che comanda il dovere per il dovere, non l’esecuzione di un diktat eteronomo, teologico.

La seconda considerazione è di ordine politico-civile. Franzoso cita, tra l’altro, il Sartre de L’esistenzialismo è un umanismo: «Siamo soli e senza scuse»; «non si può non scegliere, perché non scegliendo, si sceglie comunque». Se non scelgo di denunciare il ladro, scelgo di fatto di esserne involontario complice, per paura, ignavia o indifferenza. Ma il ladro, nella fattispecie, ha nome, cognome e indirizzo politico. Ricapitolando la vicenda Fnm, Franzoso chiosa: «La politica, insomma, la fa da padrona». Ma quale politica? L’Autore, per scongiurare strumentalizzazioni, evita di polemizzare contro i partiti, come se, erroneamente, fossero tutti uguali (la «casta»?).

Dal suo libro si apprende però un sacco di cose: che Fnm è una società controllata dalla Regione Lombardia, da decenni in mano al centrodestra; che l’ex-Presidente Achille fu voluto da Berlusconi e nominato da Formigoni, nel 1998; che 4 dei 5 membri del Cda sono indicati dalla Giunta regionale; che la dirigenza acquista con i soldi dell’azienda 4 quadri antichi come regali privati al «Celeste» … e che, infine, il successore di Achille, Andrea Gibelli, è un ex parlamentare di Lega Nord, ex capogruppo alla Camera, ex vicepresidente regionale di Formigoni. Insomma, il messaggio implicito è chiaro, e ce n’é da riflettere, per chi voglia, sulla Corruttopoli lombarda! E forse, anche dalla relativamente piccola vicenda di ordinaria illegalità in Fnm, si capisce perché il centrodestra oggi cerchi di ottenere dal Parlamento la cancellazione della Legge Spazzacorrotti. Non che negli altri partiti ci siano stinchi di santi, ovviamente, ma la differenza c’è.

Per concludere, è vero che la sentenza giudiziaria sulla vicenda Fnm non è stata particolarmente severa, tutt’altro!, ma la battaglia civile di Franzoso un’importante e per certi aspetti storica conseguenza l’ha avuta: l’accelerazione dell’approvazione in Parlamento, nel dicembre 2017, della legge sul cosiddetto «whistleblowing» (dall’inglese: il «soffiare il fischietto» dell’arbitro per sanzionare un fallo; per estensione: l’attività di denuncia di sprechi, ruberie e corruzione pubblica). Una legge ancora da migliorare, come documenta Cantone nella postfazione, ma che tuttavia sin da ora tutela con una certa efficacia i diritti di chi meritoriamente denuncia situazioni di sprechi e illegalità nell’amministrazione pubblica.



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