Hegel oltre Hegel: una teoria del riconoscimento per la filosofia contemporanea

In "L’ethos del riconoscimento" (Laterza 2023), Lucio Cortella propone una originale teoria del riconoscimento che ne mostra l'inaggirabilità attraverso una “ricostruzione trascendentale“ che scaturisce dalle pratiche umane e dalla moralità in esse implicata.

Andrea Bianchi

L’ultimo lavoro di Lucio Cortella, L’ethos del riconoscimento (Laterza 2023), accompagna il lettore nell’elaborazione di una teoria filosofica del riconoscimento attraverso 21 brevi capitoli che costituiscono altrettanti passaggi concettuali e argomentativi. Pregio del lavoro è la sua accessibilità che, senza sacrificare la profondità e la complessità teoretica, consente anche al lettore non specialista di seguire il percorso argomentativo. Tra i capitoli si trovano inoltre alcuni excursus che sviluppano un confronto più serrato e impegnativo con i protagonisti della filosofia classica tedesca (Kant, Fichte, Hegel), riferimenti imprescindibili per qualsiasi teoria del riconoscimento che ambisca a una certa completezza.

In seguito alle ricerche di Axel Honneth, il tema del riconoscimento è stato posto al centro della filosofia sociale contemporanea, dando nuova linfa alla tradizione della Scuola di Francoforte, dopo le elaborazioni critiche di Adorno, Horkheimer, Marcuse e Habermas. Tesi centrale di una tale prospettiva è che il soggetto, in dissonanza con le acquisizioni della filosofia moderna, non formi una sfera originaria responsabile in ultima istanza della costituzione oggettiva del mondo, bensì sia a sua volta costituito dalle relazioni di riconoscimento. Queste ultime esprimono di fatto delle forme riuscite di relazione all’altro che consentono il pieno sviluppo della libertà e dell’autonomia del soggetto e costituiscono il criterio per una critica di quelle forme relazionali patologiche basate sul misconoscimento. In questo indirizzo di ricerca Cortella si inserisce con notevole originalità risalendo alle origini hegeliane di questa idea, in particolare alla Fenomenologia dello spirito. Il punto di partenza è costituito dal problema della possibilità di un’autocoscienza, ovvero di quella paradossale forma di conoscenza che fa del soggetto che noi siamo un oggetto. Tale torsione riflessiva della nostra coscienza ‒ questa la tesi “hegeliana” di Cortella ‒ è possibile solo attraverso una relazione all’altro. Se la dinamica fagocitante del desiderio rende ancora impossibile il formarsi di un’autocoscienza, la soluzione consiste nel riconoscimento reciproco tra due coscienze, che non si limitino ad inglobare l’altra nel processo desiderante egoriferito. Solo ritenendo l’altro degno di riconoscermi io potrò vedermi come oggetto attraverso il suo sguardo.

Così facendo, tuttavia, l’ho già riconosciuto, realizzando quella reciprocità che costituisce la condizione di possibilità di una relazione riconoscitiva riuscita. Naturalmente, tale percorso non potrà mai essere lineare e pacifico: la scoperta dell’altro fuori di me costituisce allo stesso tempo la comparsa di una prospettiva sul mondo alternativa alla mia e questo provocherà inevitabilmente quella situazione di conflitto descritta brillantemente da Hegel attraverso la celebre dialettica tra signoria e servitù, perfetto esempio di riconoscimento non riuscito. Il conflitto, infatti, impedisce proprio quel rapporto simmetrico di reciprocità che costituisce la logica oggettiva del riconoscimento, la quale si impone alle due coscienze in conflitto anche qualora non volessero. Pena: il mancato riconoscimento. La teoria che Cortella sviluppa sulla scorta di Hegel, tuttavia, non si limita a ricondurre all’intersoggettività la genesi del soggetto, ma si spinge anche a derivare da essa la conoscenza oggettiva del mondo. Attraverso il conflitto fra le diverse interpretazioni, infatti, la coscienza impara a distinguere tra sé e una dimensione oggettiva che sta “fuori” di lei e che si rivela irriducibile alla sua opinione soggettiva. In questo modo si produce una “terza” prospettiva sul mondo, nata dal riconoscimento intersoggettivo e dalla convergenza tra le coscienze in lotta.

Il confronto con la Fenomenologia hegeliana consente dunque di formulare una delle tesi fondamentali del libro: «il riconoscimento sta alla base sia dell’autocoscienza (la conoscenza oggettiva di sé) sia della conoscenza oggettiva del mondo. Il che significa che il riconoscimento precede il conoscere: condizione di ogni conoscenza oggettiva è “aver riconosciuto” ed “essere stati riconosciuti”» (p. 52). Affermare l’originarietà del riconoscimento significa però affermare allo stesso tempo il primato di quella logica relazionale oggettiva che i soggetti devono in ogni modo accettare al di là delle loro intenzioni soggettive che, come aveva mostrato Hegel, mirano a forme asimmetriche e non reciproche di relazione. Ma senza reciprocità non vi sarebbe nemmeno la soggettività, ecco la natura inaggirabile – e in questo senso trascendentale – della logica del riconoscimento: «originario non è dunque il soggetto ma la relazione» (p. 56). Rispetto alla trascendentalità del soggetto affermata in modo esplicito da Kant e in modo implicito da tutta la filosofia moderna, Hegel scopre così una dimensione costitutiva al di fuori dei soggetti, nelle loro relazioni.

Da questa intuizione speculativa di origine hegeliana la tradizione delle teorie del riconoscimento ha saputo ricavare un progetto di ricerca di filosofia sociale volto a rinvenire all’interno delle società contemporanee delle sfere di riconoscimento istituzionalizzate in abitudini, tradizioni, pratiche e forme politiche vere e proprie che contribuiscono alla formazione di attori sociali competenti. Questi ultimi vengono “educati” alla libertà attraverso l’interiorizzazione dei principi normativi delle differenti sfere del riconoscimento che entrano a far parte della loro stessa identità: la fiducia in sé sviluppata nelle relazioni primarie mediate dall’amore, il rispetto di sé costruito all’interno della sfera giuridica, la stima di sé derivante dal riconoscimento sociale. A questa tripartizione classica, già elaborata – sulla scorta del giovane Hegel – da Honneth, Cortella aggiunge la dimensione propria del riconoscimento politico esercitato dallo stato nei confronti dei suoi cittadini e quella del riconoscimento istituzionale, mediante il quale i cittadini legittimano le istituzioni nella forma di un consenso implicito. Il lato “empirico” della teoria di Cortella si arricchisce anche grazie al confronto con la psicologia sociale di Mead e con la psicologia evoluzionista di Tomasello, fondamentali per mostrare, in un dialogo con le scienze sociali, la struttura comunicativa e intersoggettiva della natura umana. Le ambizioni del lavoro di Cortella, tuttavia, intendono andare oltre i risultati già raggiunti da Honneth e si sforzano di trovare per la teoria del riconoscimento una fondazione filosofica che non si limiti a recepire i risultati più avanzati della contemporanea ricerca empirica. È in questo senso che il confronto con Hegel torna ad essere fondamentale. Honneth, infatti, non sembra in grado di rispondere alla fondamentale domanda: “perché dovremmo riconoscerci”? Cortella, invece, scopre in Hegel la struttura trascendentale della “logica” del riconoscimento che precede i soggetti e li costituisce in quanto liberi e autonomi.

Il percorso sviluppato in L’ethos del riconoscimento, però, non intende essere hegeliano fino in fondo: tale sfondo oggettivo, infatti, nelle riflessioni del filosofo tedesco si rivela ben presto come spirito. Naturalmente, non si tratta di un soggetto trascendente, apparso improvvisamente per sussumere le autocoscienze individuali coinvolte nella dinamica riconoscitiva: «esso racchiude in sé la verità della pluralità dei soggetti, la verità dell’intersoggettività, il suo fondamento. Questo consiste nella relazione, nella reciprocità: in breve, nel rapporto di riconoscimento» (p. 117). La radicale esigenza teoretica di Hegel che dipinge una relazione in cui le due coscienze si “vedono” reciprocamente senza alcun residuo, con totale trasparenza, se da una parte svela la più alta verità sul riconoscimento, dall’altra rischia di mettere a repentaglio la concretezza delle individualità riconoscentisi: «i due si sono totalmente identificati e hanno consegnato la loro individualità in questa nuova realtà […] l’in sé e per sé dell’una si risolve nell’in sé e per sé dell’altra» (p. 118). In questo passaggio argomentativo – quello speculativamente più denso e complesso del libro – la vicinanza di Cortella a Hegel si rivela mediata da una radicale presa di distanza da quest’ultimo e dal suo contesto di riferimento, quello della filosofia moderna del soggetto, messa radicalmente in discussione dal pensiero hegeliano, ma mai del tutto superata. Per riproporre una rigorosa teoria del riconoscimento nell’epoca post-metafisica della svolta linguistica si tratta quindi di tornare a quel piano trascendentale che Hegel aveva giustamente individuato, senza seguirlo però nella sua “soggettivizzazione”, attingendo ad una tradizione filosofica diversa. Quest’ultima è costituita dall’etica comunicativa di Apel e Habermas, che ha avuto il merito di valorizzare la struttura etica delle relazioni comunicative e intersoggettive: lo stesso confronto argomentativo assurge a modello normativo e implica il riconoscimento reciproco degli argomentanti.

Da una tale premessa, tuttavia, Habermas ha derivato una radicale distinzione tra etica e morale: se la questione etica della vita buona, sempre particolare e contestuale, non è decidibile razionalmente, la seconda, proprio in virtù della sua universalità, riguarda solo le regole di giustizia nel rapporto con gli altri ed è frutto di un processo argomentativo razionale. È proprio nella direzione di un’etica universale – categoricamente esclusa dalla rigida distinzione habermasiana – che si muove invece la teoria di Cortella: «solo una teoria del riconoscimento è in grado di manifestare il carattere pienamente etico di quell’oggettività normativa intuita da Habermas – ma da lui ridotta a mera regola razionale – e altrettanto bene individuata da Hegel – ma da lui poi risolta nell’autoriflessività del sapere assoluto» (p. 131). Diventa chiaro a questo punto il significato del titolo del libro. A fondamento della nostra stessa soggettività si trova un ethos originario, un insieme di pratiche intersoggettive, di relazioni riconoscitive dal contenuto – ancor prima che teoretico – pratico e normativo. Su tale ethos originario poggiano poi tanto le pratiche argomentative formali che producono i nostri giudizi morali, quanto i giudizi etici particolari sulla vita buona. Su di esso si fonda la stessa forma di vita umana, con la sua libertà (caratteristica non innata, ma appresa proprio grazie alla relazione con l’altro) e la sua originaria normatività.

L’originale teoria del riconoscimento di Cortella si rivela in ultima istanza una forma di “ricostruzione trascendentale” che, a partire dalle pratiche umane e dalla moralità in esse implicata, mostra l’inaggirabilità del riconoscimento e del suo originario contenuto etico. In questo L’ethos del riconoscimento sviluppa una prospettiva sicuramente più vicina al pensiero di Habermas che a quello di Hegel. Cortella non intende seguire i tentativi di riproposizione del pensiero hegeliano, che cercano di interpretare il concetto di spirito in modo non “monologico”. Una vera fedeltà al pensiero del filosofo di Stoccarda, al contrario, può passare solamente attraverso un congedo da quegli aspetti della sua filosofia che ci allontanano da lui e una “traduzione” delle sue acquisizioni fondamentali all’interno del paradigma della filosofia contemporanea. L’ethos del riconoscimento ci consegna i risultati di una tale operazione.



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