Licenziamenti, così la politica si è inchinata (ancora) a Confindustria

Circa 1 milione e 500 mila lavoratori rischiano di essere spazzati via dal Covid-19. È questo lo scenario che si prospetta dal 1° luglio. I sindacati protestano, ma ancora niente “sciopero generale”.

Maurizio Franco

Lo spettro della lotta di classe si aggira nel nostro Paese. Le questioni sul tavolo sono le metamorfosi del mercato del lavoro e la tenuta del modello industriale e produttivo. O la sua drastica ri-organizzazi0ne. I licenziamenti sono l’attuale terreno di scontro tra i due contendenti che hanno forgiato la storia del conflitto di classe in oltre due secoli: i lavoratori e i padroni delle imprese. E sembra che, a oggi, il vento giochi a favore di quest’ultimi.

Nessuna proroga al 28 agosto per i licenziamenti. Il 30 giugno è ancora la data limite per il blocco. La norma, che avrebbe dovuto posticipare gli esuberi per le aziende richiedenti la Cig Covid entro la fine del mese, è sfumata dall’ultima versione del Decreto Sostegni bis, pubblicata in Gazzetta Ufficiale. Il divieto, quindi, non scatta con la misura straordinaria introdotta dal Governo per mitigare gli effetti della pandemia.

Nel testo della manovra è rimasto, invece, l’impegno per le imprese che ricorrono dal primo luglio alla cassa integrazione ordinaria di non lasciare i lavoratori a casa per tutto il periodo di beneficio dell’ammortizzatore sociale. Inoltre, le aziende non pagherebbero i contributi addizionali fino al 31 dicembre del 2021. Il sunto: se c’è l’aiuto dello Stato, non si licenzia e si riceve uno sconto. Senza fare appello allo Stato, invece, l’impresa può aprire le gabbie dei licenziamenti.

La proroga al 28 agosto era stata prospettata il 20 maggio dal Ministro del Lavoro, Andrea Orlando, poi sconfessato dai fatti. Confindustria aveva tuonato contro il provvedimento, dicendo al Sole 24 ore, attraverso Maurizio Stirpe, vice presidente dell’associazione di categoria per le Relazioni industriali, che il blocco “è una fonte di incertezza per le imprese, rallenta quei processi di riorganizzazione e riposizionamento essenziali per tornare ad essere competitive sui mercati, dopo questa crisi così pesante […]”. La Confindustria delle regioni del Nord aveva chiesto chiarezza al Governo, scagliandosi sull’ipotesi di rinvio palesata nei giorni scorsi.

In coro, i segretari generali Cgil di Lombardia, Piemonte e Veneto avevano risposto per le rime, affermando, in una nota congiunta, che “l’unica cosa di cui non c’è bisogno in questo momento nel nostro paese è lo sblocco dei licenziamenti”. Uno scontro, balzato di giornale in giornale con dichiarazioni roventi e prese di posizione.

Il 28 maggio i sindacati confederali – Cgil, Cisl e Uil – sono scesi in piazza a Montecitorio per manifestare per il rinvio della proroga. E sulla centralità dei temi del lavoro. Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, ha dichiarato che “il primo luglio non può essere il giorno in cui partono i licenziamenti. Se non dovessero cambiare la norma, diciamo che non siamo disposti ad accettare passivamente, a subire i licenziamenti”. Barricate e sciopero generale? Chissà. L’Unione sindacale di base (Usb) ha annunciato uno sciopero nazionale di otto ore, articolato a livello provinciale, a partire dalla prossima settimana “con manifestazioni davanti alle sedi di Confindustria e/o alle Prefetture”.

La pandemia ha colpito duramente il sistema economico italiano. E il mondo del lavoro. A marzo, secondo le elaborazioni fornite dall’Istat, circa 945mila occupati in meno rispetto al mese di febbraio dello scorso anno, quando il Covid-19 era una semplice notizia di cronaca. Con 650mila inattivi in più e il tasso della disoccupazione giovanile al 33 per cento.

Nel 2020, i licenziamenti comunque ci sono stati. L’economista Emiliano Brancaccio, ai microfoni di Radio 1, li elenca. Circa 150mila esuberi economici “e a questi bisogna poi aggiungere i licenziamenti disciplinari, che sono sempre stati possibili, e anche, ovviamente i contratti temporanei che, tranquillamente, le aziende hanno potuto non rinnovare”. Proroga o non proroga, la questione centrale, individuata dall’economista, sono le politiche di precarizzazione dei contratti che, nel corso degli ultimi trent’anni, hanno sfarinato le tutele e i diritti del macrocosmo del lavoro. Flessibilità e deregolamentazione.

Oggi, secondo i dati del Centro studi Unimpresa, con lo sblocco dei licenziamenti e “senza le adeguate misure a supporto delle aziende”, “si potrebbe creare una drammatica emorragia che potrebbe far saltare tra i 300mila e i 600mila posti di lavoro”. Il conto finale è abbastanza salato: circa 1 milione e 500 mila lavoratori rischiano di essere spazzati via dal Covid-19.


[FOTO: Il segretario della CGIL Maurizio Landini alla manifestazione dei sindacati confederali a Montecitorio, Roma, 28 maggio 2021. ANSA/MASSIMO PERCOSSI]



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