Lo sciopero dei metalmeccanici in Usa corteggiato da Biden e Trump

In Michigan i metalmeccanici protestano contro le aziende automobilistiche per i salari. Biden e Trump cercano di guadagnare il loro consenso, ma da questo punto di vista il partito democratico è più credibile dei repubblicani, poco sensibili ai diritti dei lavoratori, contrari alle sindacalizzazioni e ossessionati dal confronto con la Cina.

Domenico Maceri

“Se scioperi, sei licenziato”. Ecco come il senatore Tim Scott della Carolina del Sud e candidato alla nomination repubblicana risolverebbe la situazione dei metalmeccanici in Michigan rappresentati dall’United Auto Workers (UAW) che stanno usando il loro potere di negoziare un nuovo contratto astenendosi dal lavoro. Scott ha continuato a spiegare che è proprio quello che fece Ronald Reagan nel 1981 quando l’allora presidente Usa licenziò tutti gli 11 mila controllori di volo. L’attuale presidente Joe Biden ha preso una posizione diametralmente opposta recandosi in Michigan, unendosi agli scioperanti per sostenerli nella loro lotta per compensi e benefici più equi. Si tratta di un’azione storica perché i presidenti tipicamente mantengono la neutralità in queste situazioni, incoraggiando ambedue le parti alla mediazione. Biden, invece, si è schierato con i lavoratori, dichiarando che Ford, General Motors e Chrysler (adesso Stellantis), le tre grandi produttrici di automobili, hanno realizzato ingenti profitti e anche i lavoratori “meritano” un compenso consono con i loro sforzi.

Non c’è dubbio che il Partito Democratico storicamente sia un alleato dei sindacati ma i repubblicani hanno cercato di corteggiare i voti dei lavoratori con promesse fasulle. Anche Donald Trump si è recato in Michigan invece di partecipare al secondo dibattito del suo partito organizzato dalla Fox News. L’ex presidente da imprenditore fece dei tutto per evitare l’assunzione di lavoratori membri del sindacato e in alcuni casi è stato denunciato. Come altri imprenditori, Trump vedeva e vede i lavoratori come un male necessario che va subordinando ai profitti, invece che riconoscere loro adeguati compensi. In Michigan l’ex presidente ha fatto un discorso davanti a un gruppo di metalmeccanici che non fanno parte di nessun sindacato chiedendo loro di convincere i leader dell’UAW ad offrirgli appoggio. Così facendo Trump ha creato la falsa impressione che stesse parlando ai membri del sindacato. Il presidente dell’UAW Shawn Fain ha capito la sua tattica e ha dichiarato che non si incontrerà con Trump perché l’ex presidente non ha a cuore la situazione dei lavoratori, servendo invece gli interessi “dei miliardari”.

Le visite di Biden e Trump al Michigan sono significative poiché il “Great Lakes State” (Stato dei grandi laghi), oltre ad essere il cuore dell’industria automobilistica americana, è competitivo dal punto di vista politico. Trump vinse lo Stato nel 2016 ma poi nel 2020 Biden prevalse. In un certo senso negli ultimi anni i democratici sono riusciti a prendere la leadership politica con lievi maggioranze sia alla Camera che al Senato e anche con l’elezione della governatrice Gretchen Whitmer. Non sorprendono dunque le visite di Biden né quella di Trump, i probabili candidati alle presidenziali del 2024. Nessuno dei due sembra avere rivali per la nomina anche se nel campo repubblicano continuano gli incontri fra i 7 candidati i quali sperano di togliere la candidatura a Trump. L’ex presidente, quindi, agisce come se avesse già la nomination in tasca assentandosi dai dibattiti sponsorizzati dalla Fox News. Anche prima della sua visita a fianco dei metalmeccanici in Michigan, Biden aveva dimostrato supporto ai lavoratori nonostante i possibili risvolti negativi della sua politica sulle green energy. La spinta di Biden sullo sviluppo di auto elettriche, più facili da fabbricare, potrebbe in futuro ridurre il numero dei posti di lavoro dei metalmeccanici.

Le tre grandi fabbriche di automobili (Ford, General Motors e Stellantis) dovranno investire ingenti somme per affrontare due concorrenze, quella interna e quella cinese. La stragrande maggioranza delle auto elettriche in America sono prodotte nel Sud del Paese dove i sindacati sono quasi inesistenti per ragioni politiche. Esiste un clima anti-sindacati nel Sud e senza i sindacati i costi di produzione sono più bassi. Il Wall Street Journal ha calcolato che Tesla produce le sue macchine usando lavoratori senza rappresentanza sindacale. I dipendenti di Elon Musk ricevono un salario medio di 34 mila dollari annui comparati a 69 mila per Stellantis, 75 mila per Ford e 80 mila per GM. La seconda sfida è globale con una corsa in cui gli Stati Uniti non sono assolutamente in ottima posizione. Si calcola che quasi due terzi delle macchine elettriche siano prodotte in Cina e la compagnia cinese BYD ha già superato Tesla per il numero di produzioni. Il problema per le aziende cinesi è rappresentato dal dazio del 27,5 percento imposto da Trump, notevolmente più alto del 10 percento per l’Europa. L’ex presidente sulla questione delle auto elettriche guarda al passato, asserendo che “sono un disastro per l’UAW e i consumatori americani”. Trump sostiene che saranno tutte “fabbricate in Cina e saranno troppo care…. causando la fine” dei posti di lavoro ai metalmeccanici che siano membri di sindacati o no. La posizione di Trump è accettata da esponenti del Partito Repubblicano, che, come esprime lo slogan MAGA, (Make America Great Again), intende ricreare l’America del passato. Il problema però esiste poiché la situazione dei metalmeccanici come pure degli altri sindacati in America è poco promettente anche se qualche luce inizia ad intravedersi. Lo sciopero degli sceneggiatori a Hollywood è finito e il contratto negoziato, soggetto all’approvazione dei membri, appare un passo avanti. Il nodo del cambiamento alle auto elettriche che avrebbe un notevole impatto sul cambiamento climatico richiede anche serie negoziazioni. Trump e i repubblicani, guardando al passato, riflettono una visione miope della situazione. Alla fine la questione si troverà non nell’inevitabile cambiamento alle macchine elettriche ma con la solita lotta del potere fra aziende e lavoratori. Già sappiamo da quale parte si schierano i repubblicani. Per quanto riguarda i democratici la sfida sarà di continuare a spingere nella giusta direzione sperando che i lavoratori non siano sedotti dalla retorica repubblicana.
Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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Credit Image: © Ryan Garza/Detroit Free Press via ZUMA Press Wire



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