Lo spettro delle armi chimiche

Sono già state evocate in questo conflitto. Ma cosa sono, quando sono state usate e che effetti possono avere le armi chimiche?

Silvano Fuso

In un post su Twitter la portavoce della Casa Bianca Jen Psaky ha respinto come “falsità” le affermazioni del Ministero degli Esteri russo che hanno accusato gli Usa di sviluppare armi chimiche e biologiche in Ucraina, al confine con la Russia. Nello stesso post Jen Psaky ha affermato che “tutti dovremmo stare allerta rispetto all’uso di armi chimiche da parte della Russia o aspettarci che Mosca le usi per creare un pretesto, è uno schema chiaro”.

Augurandoci di cuore che la sciagurata prospettiva non renda ancora più drammatico il folle conflitto cui stiamo assistendo attoniti, vale la pena sapere qualcosa di più sulle armi chimiche.

Le armi chimiche sfruttano la tossicità di alcune sostanze per uccidere, ferire o comunque danneggiare il nemico. Le Nazioni Unite classificano quelle chimiche come armi di distruzione di massa e una convenzione internazionale del 1993 ne ha messo al bando sia la produzione che lo stoccaggio.

Fin dall’antichità l’uomo ha utilizzato frecce avvelenate per la caccia e per la guerra. Molto antico è anche l’uso di fumi irritanti e tossici. L’impiego di armi chimiche si sviluppò però soprattutto in occasione della Prima guerra mondiale. In essa vennero adoperate sostanze esistenti per uso industriale (quali il cloro e il fosgene), rilasciate con metodi convenzionali (bombole) e affidando al vento il loro trasporto. Dopo la grande guerra l’industria bellica sviluppò prodotti specifici sempre più letali e metodi di dispersione più efficaci.

Il principale fautore dell’uso di armi chimiche durante la Prima guerra mondiale fu il chimico tedesco Fritz Haber (1868-1934). Haber fu senza ombra di dubbio un grandissimo scienziato ma la sua inquietante figura rappresenta una sorta di dottor Jekyll e mister Hyde.

Tra il 1894 e il 1911, durante la permanenza all’Università di Karlsruhe, Haber e il suo assistente Robert Le Rossignol (1884-1976) misero a punto un particolare processo di sintesi dell’ammoniaca, partendo da idrogeno e dall’azoto atmosferico, in presenza di opportuni catalizzatori e a elevata pressione e temperatura. Il metodo venne poi perfezionato dal chimico tedesco Carl Bosch (1874-1940). Il processo, che prenderà il nome di Haber-Bosch, rappresenta una tappa fondamentale della chimica perché per la prima volta consentiva di utilizzare l’azoto atmosferico trasformandolo in ammoniaca. Da questa sostanza si potevano poi produrre innumerevoli altri composti azotati, primi fra tutti i fertilizzanti, indispensabili in agricoltura. Ancora oggi la produzione mondiale annua di fertilizzanti azotati di sintesi, che consente di sfamare buona parte della popolazione mondiale, ammonta a più di 100 milioni di tonnellate. Tutto grazie al processo Haber-Bosch. Non è pertanto esagerato affermare che Haber, con la sua scoperta, ha contribuito a salvare dalla fame milioni di persone. Nel 1918 Haber venne insignito del Premio Nobel per la chimica con la seguente motivazione “per la sintesi dell’ammoniaca dai suoi elementi”. Bosch riceverà il Nobel per la chimica nel 1931 per i suoi studi sulla chimica delle alte pressioni.

Haber sarebbe passato alla storia come un grande scienziato, benefattore dell’umanità per la sua straordinaria scoperta della sintesi dell’ammoniaca. Tuttavia, gli eventi bellici che interessarono l’Europa nei primi decenni del novecento trasformarono il grande scienziato in un terribile strumento di morte e sofferenza.

Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Haber fu un accanito sostenitore dell’intervento militare tedesco. Aderì, tra l’altro, al cosiddetto “Manifesto dei 93”, documento dell’ottobre 1914 in cui 93 artisti e scienziati tedeschi (tra cui diversi Premi Nobel) difendevano la legittimità dell’attacco militare tedesco al Belgio sostenendo, tra l’altro, affermazioni palesemente false.

L’entrata in guerra provocò tuttavia alla Germania non pochi problemi, acuiti tra l’altro dall’embargo navale inglese ai danni della nazione tedesca. Venne costituito un comitato di esperti, incaricato di risolvere i problemi di natura tecnologica che interessavano il paese. Haber, che aveva assunto il grado di capitano, ne fece parte e mise a disposizione del governo tedesco le sue competenze e il suo istituto.

Di fronte alle difficoltà di carattere militare che la Germania stava incontrando nel conflitto, Haber si convinse che la soluzione si sarebbe potuta trovare solamente con una profonda innovazione tecnologica di carattere bellico. Tale innovazione, secondo Haber, poteva essere rappresentata dalle armi chimiche. Il terribile suggerimento di Haber venne purtroppo accolto dallo Stato Maggiore tedesco, nonostante il divieto di utilizzare armi chimiche sancito dalle Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907, a cui la Germania aveva aderito.

Alle 17.30 del 22 aprile 1915, a Ypres in Belgio, le truppe tedesche, mediante l’uso di 5.730 bombole, rilasciarono 168 tonnellate di cloro, su un fronte di circa sei chilometri, contro le truppe alleate (formate da algerini, francesi e canadesi) con cui stavano combattendo. Nel giro di dieci minuti i morti furono 5000. Il cloro gassoso causava gravissimi problemi ai polmoni e agli occhi. Chi sopravviveva restava comunque cieco. Inoltre, essendo più pesante dell’aria, si raccoglieva all’interno delle trincee, costringendo i soldati a uscire allo scoperto.

Haber coordinò personalmente il primo attacco chimico. Il 2 maggio 1915, otto giorni dopo l’attacco chimico di Ypres, la moglie di Haber, Clara, si sparò un colpo al cuore, nel giardino di casa, utilizzando la pistola di ordinanza del marito. Venne trovata agonizzante dal figlio dodicenne Hermann. La causa scatenante sembra sia stata un’accesa discussione con il marito. Sicuramente però l’attacco chimico di Ypres, coordinato dal marito, ebbe un ruolo importante nel determinare la drammatica decisone: lei, fervente pacifista, non poteva sopportare che il marito fosse artefice di una simile atrocità. Il malessere di Clara, tuttavia, covava da tempo e a questo contribuì in maniera determinante il carattere autoritario ed egocentrico di Haber. Come lei stessa scrisse a un’amica:

È sempre stato parte della mia attitudine il pensiero che una vita valga veramente la pena di essere vissuta se si fa pieno uso delle abilità che si possiedono e si prova ogni tipo di esperienza che la vita umana ha da offrire. È stato sotto questo impulso, tra le altre cose, che ho deciso di sposarmi allora. […] La vita che ne ho ottenuto è stata molto breve […] e le cause principali di ciò è il modo oppressivo di Fritz di porre se stesso per primo a casa e nel matrimonio, cosicché una personalità meno violentemente auto-compiacente può solo essere solo distrutta[1].

Haber proseguì le sue ricerche per la messa a punto di nuove armi chimiche. Contribuì anche alla realizzazione di maschere antigas con filtri adsorbenti, per la protezione nei confronti dei gas asfissianti. Venne pure costituita una truppa speciale per la guerra chimica, nella quale Haber reclutò diversi scienziati tedeschi.

Le ricerche di Haber lo condussero alla sintesi di un composto gassoso chiamato “tioetere del cloroetano”, le cui proprietà tossiche sono nettamente superiori a quelle del cloro. Il gas verrà utilizzato dalle truppe tedesche, sempre a Ypres, il 12 luglio 1917. Per questo motivo il composto prenderà il nome di “iprite”. Poiché ha un pungente odore simile a quello dell’aglio e della senape, verrà anche chiamato “gas mostarda”. L’iprite ha un’azione vescicante e produce devastanti piaghe sull’epidermide e ha la capacità di penetrare facilmente attraverso gli abiti e altre protezioni. Produce inoltre gravi danni respiratori e cecità.

Dal canto loro, anche i francesi si diedero da fare per rispondere ai tedeschi con le stesse armi. Con il contributo determinante del chimico Victor Grignard (1871-1935), ben noto in chimica organica per i reattivi che portano il suo nome, realizzarono anch’essi micidiali armi chimiche. I francesi utilizzarono, tra l’altro, il fosgene, che era stato sintetizzato per la prima volta nel 1812 dal chimico John Davy (1790-1868).

Contrariamente alle aspettative di Haber, l’uso di armi chimiche non fu affatto risolutivo nell’accelerare la fine della guerra e produsse solamente un numero impressionante di vittime e atroci sofferenze.

Uno dei suoi figli, Ludwig ( “Lutz”) Fritz Haber (1921-2004), è stato un insigne storico della guerra chimica nella prima guerra mondiale e ha pubblicato nel 1986 un libro dal titolo The Poisonous Cloud: Chemical Warfare in the First World War[2].

Haber non ebbe mai scrupoli di coscienza per il suo contributo alla guerra chimica e difese il suo operato affermando:

Durante il periodo di pace uno scienziato appartiene al mondo, ma in tempo di guerra appartiene al suo paese[3].

Dopo la guerra Haber, tra il 1919 e il 1923, continuò a fare ricerche nel campo delle armi chimiche, collaborando anche con il chimico Hugo Stoltzenberg (1883-1974). Negli anni venti, i ricercatori che lavorano presso l’istituto di Haber sintetizzarono un composto chiamato “cianoformiato di metile”, che venne indicato commercialmente con il nome Zyklon A. Esso fu il precursore di un secondo prodotto che venne chiamato Zyklon B. Usato inizialmente come agente disinfestante e insetticida, lo Zyklon B divenne tristemente famoso durante la seconda guerra mondiale poiché utilizzato dai nazisti per lo sterminio degli ebrei nelle camere a gas.

Oggi esistono circa 70 tipi diversi di aggressivi chimici che possono essere gassosi, liquidi o solidi. Una prima classificazione può essere fatta distinguendo gli aggressivi chimici in letali e incapacitanti. I primi provocano la morte, mentre gli incapacitanti producono effetti fisici o mentali che impediscono alle vittime di controllare il proprio comportamento. Gli aggressivi chimici possono essere classificati anche in base alla loro persistenza, ovvero il tempo durante il quale essi mantengono la loro efficacia dopo la dispersione. Tale tempo può variare da pochi minuti ad alcune ore. Infine, gli aggressivi chimici possono essere distinti in base agli effetti che producono (irritanti, vescicanti, asfissianti, ecc.).

In senso lato, si possono considerare armi chimiche anche quelle utilizzabili non sul nemico, ma sulle proprie truppe per vincere la paura prima dell’attacco. Tra queste vi sono gli eccitanti psichici disinibitori, quali l’alcol, la cocaina, le anfetamine, l’ecstasy e diverse altre droghe.

Tra gli agenti asfissianti, i più micidiali sono i cosiddetti agenti nervini. Dal punto di vista chimico si tratta di composti organofosforati che devono la loro tossicità all’azione che esercitano sul sistema nervoso. Tra i principali agenti nervini, ricordiamo il Ciclosarin (GF), il Sarin (GB), il Soman (GD), il Tabun (GA), il VX e il Novichok. Essi sono detti aggressivi sinaptici perché inibiscono un particolare enzima (acetilcolinesterasi) impedendo la degradazione di un neurotrasmettitore (acetilcolina) nelle sinapsi della vittima. L’enzima media la trasmissione degli impulsi all’interno del sistema nervoso e da questo verso i muscoli. La sua inibizione determina, già a bassissime dosi di agenti nervini, una paralisi di tipo spastico dei muscoli dell’iride, del corpo ciliare, dei bronchi, del tratto gastrointestinale, della vescica, dei vasi sanguigni, delle ghiandole interne e sudorifere, e del muscolo cardiaco. A dosi maggiori, si determina perdita di coscienza, accompagnata da convulsioni, arresto circolatorio e respiratorio, paralisi e morte: il tutto avviene nell’arco di alcuni minuti. Tipici sintomi dell’intossicazione da agenti nervini possono essere epistassi, fitte al torace, indebolimento della vista, restringimento delle pupille, eccessiva sudorazione, defecazione e minzione involontarie, contrazioni, convulsioni, barcollamento, mal di testa, sonnolenza e difficoltà respiratorie.

Non esistono purtroppo antidoti specifici contro gli agenti nervini. Solamente la somministrazione di atropina può limitarne gli effetti e talvolta può salvare la vita nei casi di intossicazione blanda e solo se l’intervento è repentino.

Se si guarda alla storia delle armi chimiche si scopre, ahimè, che non sono pochi i paesi che le hanno usate, macchiandosi di orrendi crimini. Compreso il nostro che, nella guerra di Etiopia, utilizzò ripetutamente l’iprite. Auguriamoci che i drammatici giorni che stiamo vivendo non costringano gli storici ad aggiornare questo agghiacciante capitolo.

[1] J. Cornwell, Hitler’s Scientists, Science, War and the Devil’s Pact, Penguin Press, London 2003, p. 49.

[2] L. F. Haber, The Poisonous Cloud: Chemical Warfare in the First World War, Clarendon Press, Oxford 1986.

[3] P. Herrlich, The responsibility of the scientist. What can history teach us about how scientists should handle research that has the potential to create harm?, “EMBO (European Molecular Biology Organization) Report” 14(9), 759-764, 2013: bit.ly/3CxLWpd.



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