L’opposizione iraniana di fronte al conflitto fra Teheran e Tel Aviv. Intervista a Frieda Afary

Dopo l’attacco dell’Iran ai danni di Israele avvenuto tra il 13 e il 14 aprile, seguito al bombardamento operato il 1° aprile da Tel Aviv di un edificio adiacente al Consolato iraniano a Damasco, diversi cittadini della Repubblica islamica sono scesi in strada a festeggiare. Ma la gran parte del popolo iraniano non appoggia certo il suo regime e – anzi – i movimenti di protesta al suo interno sono tanti e si oppongono alla possibilità di una guerra nella regione. Il quadro della situazione lo tratteggia Frieda Afary, attivista socialista e femminista di origine appunto iraniana.

Francesco Brusa e Piero Maestri

Governi e popolazioni: non sempre la distinzione risulta così netta, soprattutto mentre a Gaza è in corso un massacro indiscriminato (secondo il Ministero della Salute della Striscia, oltre 30mila persone uccise) deciso dall’esecutivo israeliano a guida Netanhyau in risposta alla strage perpetrata dai miliziani di Hamas e della Jihad Islamica il sette ottobre scorso. Di risposta in risposta, a inizio mese si è verificato inoltre un bombardamento da parte di Tel Aviv – che nella sproporzione del tutto risulta “più mirato” – contro un edificio adiacente al consolato iraniano a Damasco, che ha ucciso 16 persone tra cui alcuni membri dei Guardiani della Rivoluzione di Teheran. Il regime degli ayatollah, da parte sua, ha infine reagito nella notte tra il 13 e il 14 aprile con il lancio di un centinaio fra missili e droni sul territorio israeliano, praticamente tutti intercettati anche grazie al sostegno fornito da Stati Uniti, Gran Bretagna e dalla Giordania.
Diverse persone sono scese in piazza per le città iraniane a festeggiare l’attacco, che – secondo numerosi analisti – ha rappresentato di fatto una mossa più che altro “simbolica” da parte dell’Iran e tesa forse a rinvigorire la narrazione di governo che da sempre si basa anche su una netta contrapposizione all’esistenza di Israele. Altre persone, legate al movimento Donna Vita Libertà o alle forze sindacali e di sinistra, hanno invece sottolineato, pur nella generica condanna delle azioni dell’esercito di Netanhyau a Gaza, come guerra e ulteriori escalation nella regione non siano nell’interesse del popolo iraniano né di altri popoli. Abbiamo parlato con Frieda Afary, attivista socialista e femminista originaria dell’Iran e residente negli Stati Uniti e autrice del libro Socialist Feminism. A New Approach (Pluto Press, 2022) per capire meglio come stanno agendo e reagendo i gruppi di opposizione del suo Paese nel contesto attuale.
Qual è il suo punto di vista sull’attacco di Teheran sul territorio israeliano? Le è sembrata una mossa più che altro propagandistica?
Si tratta di una guerra fra Iran e Israele dal carattere reazionario. Per oltre quarant’anni, la Repubblica islamica di Teheran ha utilizzato la contrarietà all’occupazione israeliana di terre palestinesi come mezzo retorico per promuovere le proprie ambizioni e i propri interventi di natura imperialista nella regione. Ha usato l’argomento della solidarietà con il popolo palestinese anche per coprire le proprie contraddizioni interne, che hanno a che fare con lo sfruttamento di classe, col potere patriarcale, con la misoginia, col razzismo e con altre forme di dominio e pregiudizi. Ma le sollevazioni popolari legate al movimento Donna Vita Libertà del 2017, 2019 e del 2022-2023 hanno reso evidente come una larga fetta di cittadini e cittadine non è più disposta ad accettare la propaganda del regime. Hanno a cuore i diritti dei palestinesi e si oppongono alla guerra genocidiaria di Israele contro Gaza ma allo stesso tempo non sostengono il fondamentalismo religioso e il potere autoritario di Hamas e non vogliono che le risorse iraniane vengano spese per alimentare questo conflitto. Molti iraniani sostengono la coesistenza pacifica di palestinesi ed ebrei nella forma che le due popolazioni vorranno metterla in pratica, che si tratti di uno Stato, due Stati o di una confederazione.
Pensa che l’innalzarsi della tensione fra Iran e Israele possa influire sullo stato del movimento? Si aspetta un incremento della repressione?
Se dovesse esserci un’ulteriore risposta israeliana e se dunque dovesse continuare lo scambio di colpi fra i due Paesi, il movimento progressista e anti-regime iraniano dovrà confrontarsi con un aumento di repressione. Il governo di Teheran sta già utilizzando l’atmosfera che si è creata con la brutale invasione israeliana a Gaza per intensificare il giro di vite nei confronti dell’opposizione e per mettere in atto ancora più arresti dei dissidenti e delle donne che si rifiutano di indossare l’hijab. Anche il numero di esecuzioni capitali nelle carceri è cresciuto. Credo che in questo momento il compito più importante per il movimento progressista iraniano sia quello di farsi ascoltare e stabilire un’alleanza con le altre forze progressiste della regione, soprattutto i movimenti femministi, così come dialogare con le sinistre ucraine e russe che stanno soffrendo per via dell’alleanza fra Iran e imperialismo russo. La sfida cioè è quella di forgiare una contro-alleanza che sia radicata in una prospettiva democratica e che sia indipendente da tutti i poteri statali.
Vorrebbe approfondire le istanze del movimento Donna Vita Libertà? A volte, in Italia o in Europa, viene percepite solo come un rifiuto dell’hijab…
Il movimento, che ha iniziato a emergere nell’autunno del 2022, dal mio punto di vista rappresenta davvero uno sprazzo di speranza per la regione: gli uomini e le donne che hanno protestato per mesi sono stati arrestati, uccisi, torturati, stuprati e non chiedevano solo la fine dell’hijab obbligatorio ma anche la fine del sopruso della polizia morale e del governo nel controllare i loro corpi, i diritti riproduttivi come quello abortivo, il diritto all’educazione al pensiero critico (contro all’educazione ai dogmi del fondamentalismo religioso o la censura dei libri che vige oggi in Iran), la fine della pena di morte, diritti per le minoranze nazionali oppresse (incluse le minoranze religiose, come bahá’í e sunniti), diritti lavorativi; si oppongono al fondamentalismo religioso, alla violenza statale e di genere, al militarismo, all’imperialismo e sono inoltre implicitamente contrari agli interventi militari iraniani nella regione, chiedendo infatti la coesistenza pacifica con gli altri Stati che vi si trovano. Molto coraggiosamente, una parte del movimento chiedeva proprio la rottura delle divisioni di stampo etnico e religioso che vengono strumentalizzate dai leader autoritari e religiosi.
Quindi il contenuto positivo del movimento Donna Vita Libertà è molto importante e molto ricco. Inoltre, esiste una resistenza quotidiana che va avanti non solo nelle scuole, nelle prigioni, nel privato ma anche una resistenza da parte dei lavoratori che continuano a protestare, degli insegnanti, delle minoranze nazionali, dei pensionati, dei disabili… Insomma, ci sono proprio contestazioni che vanno avanti da più parti e ogni giorno. Queste forze progressiste non stanno chiedendo che qualche autorità occidentale vada da loro in visita né vogliono un qualche intervento militare statunitense: vogliono semplicemente solidarietà materiale e morale da parte delle forze progressiste mondiali contro il militarismo, l’autoritarismo e il fondamentalismo religioso.
Ha accennato al fatto che c’è un’opposizione sia a Hamas sia alla guerra mossa da Israele contro la popolazione di Gaza…
Tendenzialmente, queste forze – come si vede anche dalle dichiarazioni della premio Nobel Narges Mohammadi – sono contro sia all’attacco di Hamas sia alla risposta genocidiaria di Israele. Inoltre, sono anche in contatto con le donne afghane, che stanno resistendo ai talebani i quali a loro volta governano anche grazie al sostegno e ai contatti con l’Iran. Il governo di Teheran ha spesso detto di essere contro i talebani ma la realtà è che ci collabora e noi conosciamo molto bene il tipo di oppressione che i talebani muovono nei confronti delle donne e della popolazione in generale. Quando sono tornati al potere nel 2021, in pratica dopo aver stretto un accordo con gli Usa, la situazione è peggiorata ulteriormente rispetto a prima. Insomma, tutte queste questioni possono trovare voce nelle lotte che avvengono in Iran. Se davvero avessero la possibilità di crescere e di superare la repressione credo che potranno costituire un grande successo per la regione. Se invece il governo riuscirà a sopprimerle, non so quale futuro ci aspetta. E penso anche che il futuro delle donne in Afghanistan sia legato a stretto giro con il futuro delle donne iraniane. Se la lotta contro la misoginia non sopravviverà in Iran non potrà sopravvivere in Afghanistan. Ma innanzitutto bisogna fare in modo che si fermi la guerra a Gaza, perché diventa solo peggiore di giorno in giorno, c’è solo nuda brutalità e volontà genocidiaria e non sta avendo altra conseguenza che la marginalizzazione ulteriore delle forze progressiste della regione. Lo si può vedere anche nella stessa Israele, dove qualsiasi attivista per la pace, che sia ebreo o palestinese, viene attaccato.
Cosa si può fare concretamente?
Su un piano pragmatico credo possa risultare utile: uno sforzo congiunto e organizzato da parte della sinistra internazionale per chiedere la liberazione dei prigionieri politici in Iran, la liberazione di Narges Mohammadi e la fine della pena di morte e delle esecuzioni capitali nel Paese; costruire delle connessioni fra le lotte nel proprio Paese e quelle in Iran, come per esempio fra la lotta contro lo strupo e la violenza di genere e il movimento Donna Vita Libertà, oltre che fra la lotte contro l’autoritarismo nell’educazione e lotte simili che si svolgono nelle scuole in Iran; bisogna inoltre non dimenticarsi mai delle donne afghane, che spesso sentono il proprio isolamento a livello globale e che al momento si trovano letteralmente tumulate in casa.
A livello più teorico, credo che sia importante riflettere sulla crescita dell’autoritarismo nel contesto occidentale e parallelamente in Medio Oriente e in Nord Africa: quali sono le relazioni? Quali questioni globali si intrecciano fra loro? Occorre cioè capire in che modo l’attuale congiuntura globale sembri richiedere un certo tipo di capitalismo autoritario, che sta tra l’altro raccogliendo diversi consensi nel mondo. Assistiamo a movimenti popolari che sostengono regimi autoritari in alcuni luoghi della terra mentre in altri, anche mediorientali come l’Iran, i movimenti popolari tendono invece a opporsi alle tendenze autoritarie. Siamo dentro questa contraddizione.
Quanto è larga la base di consenso su cui può contare il regime in questo momento?
Secondo il centro di ricerca iraniano Zamaneh (con sede in Olanda), esiste probabilmente un 20% della popolazione che sostiene il regime, un altro 20% che pensa che il ritorno della monarchia potrebbe essere un’opzione da considerare e questo lascia infine un 60% e oltre di persone che sono opposte sia al regime islamico che alla monarchia. Difficile dire quanto accurate e precise siano queste stime, ma sono quelle più credibili a disposizione.
I membri della Guardia Armata Rivoluzionaria iraniana, che rappresentano il braccio armato del regime islamico-capitalista dello Stato, controllano il cuore del Paese: ci sono un sacco di imprese affiliate con loro, tante persone lavorano con loro in modi diretti o indiretti; la maggior parte delle persone economicamente legate alla guardia rivoluzionaria sono pro-regime e a questo si aggiunge anche una parte di popolazione che si è arricchita grazie ai contatti con l’apparato statale. Ma si tratta di una minoranza. Se operiamo una comparazione con i periodi precedenti, vediamo che un sacco di legami e connessioni tra il regime con la classe lavoratrice non esistono più. Il regime islamico era stato capace di garantirsi il consenso di larga parte della popolazione attraverso i sussidi, oppure in termini ideologici, dando magari vantaggi agli uomini in merito alla legalizzazione della poligamia e dando sostanzialmente il diritto di abusare di una donna in ogni modo possibile senza rischiare conseguenze. Ma, nonostante questi vantaggi e privilegi maschili garantiti dal regime esistano ancora, i vantaggi economici e i sussidi non ci sono più e anche il lato ideologico non riesce più tanto a fare presa sulla popolazione giovane. I giovani sono così insoddisfatti del regime e senza speranza rispetto al futuro che non vogliono davvero avere nulla a che fare con il fondamentalismo islamico e sono molto più in contatto con il resto del mondo. Insomma, vedono che l’opzione iraniana non è l’unica esistente. Inoltre, l’alfabetizzazione è aumentata molto dopo la rivoluzione e questo rende una fetta crescente di popolazione più consapevole di quanto succede.

CREDITI FOTO: Student News Agency|Wikimedia Commos



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