Lorena Spampinato e quell’adolescenza inquieta

"Piccole cose connesse al peccato" (Feltrinelli) è un romanzo di formazione che racconta di un'estate fuori dal tempo e dei turbamenti tipici dell'adolescenza.

Marilù Oliva

«Esiste un punto oltre il quale cadevano le cose. Un punto vicinissimo, che si poteva persino sfiorare. Lì cadeva l’adolescenza, cadevano le estati. Le giornate abbaglianti. I volti delle persone conosciute, il loro accento. I corpi allo specchio. I desideri, la contentezza».
La catanese Lorena Spampinato (classe 1990) ha da poco pubblicato per Feltrinelli il romanzo “Piccole cose connesse al peccato”.
La vicenda si svolge in una località fuori dal tempo (e dalla movida) vicino a Taormina, dove conosciamo le protagoniste, le due amiche Anna ed Enza. Anna che capta ciò che accade attorno, Enza bella quanto la madre Angela, con cui non va d’accordo, alle quali si aggiunge Bruna l’irregolare, di una bellezza molesta, con un sorriso “vagamente dispettoso”. Per loro tre l’estate serba un battesimo del fuoco e ciò avverrà nelle atmosfere rarefatte delle ore estive, quando i giovani cercano soltanto l’evasione e un po’ di birra.

Le cose si complicano quando il gruppo si mescola a quello dei ragazzi ed entrano in ballo le eterne dinamiche che sconquassano quell’età: competizione, spirito di affermazione, tentativi di imitazione, stupidi scherzi ad animali innocenti, voglia di rivalsa, litigi, aneliti d’amore, fiorire di amicizie. Segreti, bugie e desideri. E non basta una fuga nella notte per acquietare quel nodo allo stomaco, quel senso di sospensione che ti fa sembrare tutto possibile eppure al contempo tutto così difficile.

Un romanzo di formazione con un plot minimalista, una storia scritta nel sangue e nella sabbia, mentre il mare e i suoi abissi fanno da colonna sonora. Portato avanti con una scrittura immediata, densa, consapevole, a tratti evocativa, che reca in sé la freschezza del primo assaggio del male. E ci ricorda che proprio nell’età in cui ci sentivamo più imprigionati, magicamente i confini si annullavano: «Il resto della notte trascorse come in un sogno. Appena fummo tutti, il gruppo si unì in un campanello di corpi schiacciati. Si ballò senza premura di farsi lontani, cercando l’abbraccio dell’uno e dell’altro, saltando come ranocchi sull’acqua. Bevemmo e bevemmo. Nelle orecchie stordite le voci si facevano distanti più di un’eco lontana. Un suono di abisso, come di un boato sentito dal fondo del mare».

 

 

 



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