Capitalismo meridiano. Alle radici dello spirito mercantile tra religione e profitto

Il libro di Luigino Bruni studia i legami tra lo sviluppo dell'economia capitalistica e la religione, i suoi ordini e sacrifici.

Roberto Rosano

Luigino Bruni è docente di Economia politica alla Lumsa di Roma, economista e storico del pensiero economico con crescenti interessi per l’etica, gli studi biblici e la letteratura. È convinto che la scienza economica, da sola, non può comprendere e spiegare parole come benessere, felicità, mercato, dono, reciprocità e gratuità. Per questo i suoi libri e i suoi articoli sulla storia del pensiero economico si alternano ad altri sulla natura religiosa del capitalismo. Oggi parliamo del suo ultimo lavoro, “Capitalismo meridiano. Alle radici dello spirito mercantile tra religione e profitto” (il Mulino, 2022).

Professor Bruni, Lei ha scritto che “l’economia è sempre stata più grande dell’economia”. Cosa intende?

Intendo dire che l’economia non è soltanto una sfera della vita – quella dei bisogni materiali, ad esempio-, ma interagisce con tutto, dalla religione alla politica. Per capire le scelte economiche bisogna conoscere quasi tutto del resto di una persona e delle sue comunità. Le passioni che spingono all’azione economica non sono mai soltanto economiche: la paura della morte, la solitudine, il bisogno di infinito. Ieri questo era esplicito, oggi occorre studiare per capirlo.

Montesquieu sosteneva che il commercio è amico della pace. Antonio Genovesi, invece, scriveva che il commercio è “geloso” e perciò “arma gli uomini”, salvo poi smentirsi.  Alla luce delle vicende recenti, che idea si è fatto in proposito?

Credo che avesse ragione Genovesi, perché il commercio non basta per l’assicurare la pace. Lo stiamo vedendo. Resta vero che il buon commercio, quello che nasce, diceva Genovesi, dai ‘reciproci bisogni’, è sempre una spinta per la pace, ma non è sufficiente. La tentazione di usare anche le merci come armi è molto forte nelle persone e nei popoli. Basti pensare all’imbroglio delle sanzioni durante le guerre, che finiscono sempre per affamare i poveri, impoverire i Paesi che le impongono e rafforzare i dittatori che si vorrebbero sanzionare. L’economia è ambivalente, come la vita.

Lei sostiene, che l’economia di mercato sia nata dall’alleanza tra la civil ricchezza dei mercanti e l’altissima povertà dei mendicanti francescani. Perché?

Perché lo dice la storia. Se studiamo i libri contabili e i diari dei mercanti medioevali, italiani e europei (e l’ho fatto nel mio libro) troviamo una grande attenzione al tema religioso, ed è ovvio; meno ovvio vedere nei libri mastri il conto ‘Messer Dominedio’, cui andavano quote di profitti come per gli altri soci. E se si studia la storia del movimento francescano, si resta stupiti di quanta economia ci fosse all’inizio in un movimento che ha fatto della altissima povertà il suo prestigio. Ma su questo non voglio dire troppo per non spoilerare il mio stesso libro.

L’invidia sociale è causa o effetto delle recenti crisi economiche?

Entrambi: nei processi complessi un fattore entra come input e poi diventa output e quindi ancora input, facendo sì che le crisi si auto-alimentino. In Occidente è saltata la base stessa del patto sociale, quella solidarietà dovuta alla consapevolezza di essere tutti sulla stessa barca. Ora la tempesta è la stessa, ma le barche sono molto diverse: dal barcone che affonda sulle nostre spiagge ai panfili dei super ricchi. Barche troppo diverse per non far scattare l’invidia: mentre, in passato, il castello del nobile faceva vivere anche i poveri attorno (pur male) il panfilo del super-ricco fa vivere altri ricchi, ma non raggiunge più i poveri…
Fino a quando durerà e non arriveranno nuovi pirati all’assalto?

Vorrei commentare insieme a Lei questo passaggio: “il sacrificio è stato il principale ponte tra homo religiosus e homo oeconomicus (…) essendo basato sulla dinamica credito/debito. Ben prima della scienza economica, è stata la religione ad inventare la logica economica”.

Non so il suo commento. Il mio è il seguente: gli uomini hanno imparato a commerciare guardando i sacrifici agli dèi. Dentro i templi e sugli altari sono iniziati i prezzi e i rapporti di scambio. Pecunia viene da pecus, cioè le pecore contate da offrire a Dio. La logica mercantile è lo sviluppo della logica religiosa sacrificale. Poi il cristianesimo ha cercato di spezzare questa logica arcaica, ma non c’è riuscito molto, visto che noi, fuori e dentro le chiese, continuiamo ancora a calcolare e a far di conto. Si pensi alla meritocrazia nelle imprese e ormai ovunque.

Lei ha scritto che l’ambivalenza è l’altro nome dell’economia medioevale, l’altro nome dell’economia meridiana. Forse il vero nome dell’economia”. 

Certo, lo vediamo tutti i giorni. Mentre noi ora stiamo leggendo questa intervista, ci sono persone che con l’economia vivono e vivono bene. Ci sono alcuni che stanno facendo gesti eroici, e magari qualcuno sta editando, lavorando, la sua santità. Insieme ad altri che trafficano per la morte, dalle armi agli esseri umani, che inquinano, che speculano sulla vita e sulla morte. Ma questo è vero per ogni ambito della vita: anche da questa prospettiva l’economia è vita.

Cosa sarebbe stato dell’economia e della finanza italiane se, dopo la controriforma, i monti di pietà fossero rimasti delle banche e non trasformati in enti di pura assistenza?

Non lo sappiamo, nella storia non abbiamo l’evidenza contro-fattuale. Di certo la controriforma è un buco nero della nostra storia economica, poco esplorato: lo sto facendo in questi mesi su Avvenire. Non è stato un tempo semplice, perché la paura della chiesa cattolica che i venti di Riforma soffiassero troppo forte anche sotto le Alpi, produsse un controllo sulle coscienze che ostacolò o non favorì le grandi esperienze e intuizioni medioevali: l’economia cattolica non si sviluppò come avrebbe potuto. Anche gli ordini religiosi antichi subirono una grande frenata nel loro impegno sociale. Studiare le ragioni di tutto ciò può servire per capire meglio la natura del capitalismo meridiano.

L’economia meridiana può essere uno spunto per il nostro confuso presente?

Forse, ma più per i sentieri interrotti che per quelli battuti. Ci sono domande aperte da secoli, che possono ancora essere generative: può esistere un capitalismo sempre ‘spirito’? È possibile mettere insieme mercato e fraternità? I poveri saranno sempre poveri? L’impresa può essere capace di gratuità? Verrà un giorno in cui le persone varranno come persone e non solo per quanto possiedono? Su queste domande continuiamo a lavorare.



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