“Ma grazie!”

Da qualche tempo nell’odierna espressione italiana al posto del semplice “Grazie” dilaga il “Ma grazie!”. Una riflessione socio-linguistica sul fenomeno.

Nunzio La Fauci

Chi scrive questa nota manda notizia d’una pubblicazione a sue relazioni. Tra esse, una signora intorno ai quaranta e vivamente partecipe di una fortunata configurazione in rete dell’attuale società delle lettere. Spiccia e cortese giunge la risposta, che s’apre con un “Ma grazie!”. Non passa molto e un altro “Ma grazie!” si affaccia sullo schermo del suo computer. Stavolta è di un brillante e rampante professore d’università tra i quaranta e i cinquanta che insegna fuori dei confini nazionali, ma non perde occasione per segnalarsi presente sulla scena culturale domestica. Si badi bene, sono tratti socio-linguistici, più che personali, e come tali qui li si espone. Nell’un caso come nell’altro, essi qualificano ciò che si coglie sotto tali penne ideali come affidabile testimonianza di ciò che nell’odierna espressione italiana è di confermata e accreditata tendenza.

Ci si complimenta con qualcuno? Gli si consegna un dono? Gli si usa una cortesia? Da sempre, si diventa destinatari di una testimonianza di gratitudine: formale. Da qualche tempo, tra coloro che alla lingua del Bel paese dettano la via, la testimonianza resa dal semplice e schietto grazie o da grazie con i suoi consueti contorni non è più sufficiente. La formula si è appunto evoluta in un “Ma grazie!”. Vieta come deve d’altronde essere qualsiasi routine, grazie puzza di stantio, lo si sa. Quel ma di apertura si presume storni l’inevitabile olezzo, a naso e giudizio di chi se ne serve.

Se non ci si sbaglia, di “Ma grazie!” non si è ancora occupato nessuno. È un’inezia. Ricorre ancora d’elezione, se non esclusivamente, nella lingua privata, non nella pubblica. E l’attenzione di un’opinione che, appunto, viene detta pubblica (e che da qualche anno pullula di linguisti, non pochi di complemento) è rivolta soprattutto ai botti effimeri della lingua in vetrina e del suo lessico. La lingua di tutti i giorni, come la vita di tutti i giorni, passa di norma inosservata. O fraintesa, soprattutto nei suoi aspetti squisitamente funzionali: lampante, in proposito, la vicenda ormai stagionata del piuttosto che con valore di disgiunzione non esclusiva. E un ma cos’è, se non la forma di un fascio di funzioni?

Ma marca di norma una rottura e, turbando il placido scorrere della parola, una rottura (di qualsivoglia tipo) muove l’attenzione, come si sa bene. Se ma congiunge, come dice l’etichetta assegnatagli dalle grammatiche, congiunge con un implicito discorsivo. Nel caso specifico, quello di una (atteggiata) sorpresa. Tanto implicito però che può proprio non darsi: una fantasima creata da ma e, nella sua vaghezza, lasciata in controllata balìa dell’immaginazione di colui o di colei cui ci si rivolge.

Del resto, sono tutte marche di enfasi i ma che già da tempo ricorrono in casi come “Ma quanto sei caruccia, figlia bella”, “Ma quanto ti amo, tesoro mio”, “Ma come sono felice…”, “Ma quanto mi dispiace…”, sui quali l’attenzione di chi studia la lingua non è mancata. L’enunciazione ne viene enfatizzata per se stessa e come fatto. Quanto all’enunciato, a ciò che si sta dicendo, più che avversare, ma segnala che, quanto al tema, si sta montando sul gradino più alto di un climax ideale, come del resto segnala la regolare combinazione con riferimenti quantitativi, con il ‘più’ di un superato ‘meno’.

Un valore attenuativo permane, tuttavia. Togliendo riferimento, come si diceva, e quindi perentorietà a ciò che si afferma, ma lo pone essenzialmente nella prospettiva di chi enuncia e invita chi ascolta a verificare l’enunciato non quanto alla sua fattualità ma quanto all’effetto, per così dire, sulla sua soggettività o, piuttosto, su una soggettività la cui sorpresa, la cui enfasi, la cui ricerca di novità comunicativa si vuole condivisa.

In queste espressioni e dunque nel nuovo e dilagante “Ma grazie!”, ma fa insomma rapporto a distanza. Chiama e vuole testimoniare (simulato) affetto. Dice amicizia (virtuale). Oggi fa solidarietà da Metaverso. Chi vuole trova nelle relative reti sociali ricca messe di esempi, appunto. Scendendo di registro, è vero, ma senza esagerare, perché “Ma grazie!” funge ancora da piccolo segno di distinzione e lo si è detto.

È un segno dei tempi, di conseguenza, il fatto che, uscendo dall’oralità, in cui forse ha fatto le sue prime comparse, il modo scenicamente avversativo di ringraziare (e di presentarsi) si affaccia con la sua regolare piccola enfasi nello scritto. Sono ovviamente complici le condivisioni sociali e simili, dove tutto (o quasi tutto) sa, morbidamente se non morbosamente, dei sentimenti della persona grammaticale che enuncia: sa insomma di io.



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