Macron – Le Pen: il confronto

Il dibattito fiume durato quasi tre ore si chiude con un vantaggio cospicuo di Macron che è sembrato più a suo agio nelle vesti di candidato e con aria professorale ha dominato il dibattito per oltre un’ora. Il candidato de La République en Marche ha messo il turbo su economia, Europa ed Ucraina dominando e spargendo sicurezza, anche troppa. Soltanto sui temi di immigrazione e radicalismo Marine Le Pen, spesso impacciata, stranamente timida e non preparatissima su alcuni temi, esce dal torpore e reagisce. Ma molti forse sono già a letto. Mélénchon twitta: “Che spreco. Non vedo l’ora che ci sia il terzo turno”.

Marco Cesario

PARIGI – È ormai notte fonda quando Libération diffonde sui social la prima pagina che sarà pubblicata in edicola del “day after” del dibattito. “Sempre non a livello” titola su un ritratto stanco della Le Pen che sembra guardare altrove. Ed è in effetti quello che appare agli occhi di tutti, media, specialisti, politologi, persino dell’estrema destra (sconsolata sui social): Macron ha dominato il dibattito in maniera piuttosto netta, probabilmente più di quanto ci si aspettava. Eppure, dopo il dibattito del 2017 l’occasione per Marine le Pen era ghiotta: il quinquennato di Macron tra scelte impopolari, imposte sulla benzina, pandemia, lockdown, licenziamenti e serrate inopportune aveva tanti, numerosi punti attaccabili. Per una ragione sconosciuta (o per una precisa strategia) Marine Le Pen non ha voluto infierire ma ha lasciato il candidato di LReM parlare liberamente fino ad inorgoglirsi diventando arrogante, autoreferenziale e da far sembrare il suo quinquennato addirittura come un successo a tutti i livelli. In realtà è stato uno dei più tormentati dal dopoguerra ad oggi a livello di movimenti, proteste, blocchi e scioperi e soprattutto a livello di erosione dei diritti dei lavoratori e delle libertà dei cittadini.

Molti hanno pensato a cosa sarebbe stato di Macron se al posto della Le Pen ci fosse stato Mélénchon. Gli avrebbe probabilmente dato molto più filo da torcere visto che il leader degli Insoumis in tutti i dibattiti ha dimostrato di avere pochi rivali dal punto di vista dialettico: “Che spreco. Non vedo l’ora che ci sia il terzo turno” ha infatti twittato il leader dell’Union Populaire facendo riferimento alle legislative. Ma soprattutto gli avrebbe rivoltato addosso la rabbia accumulata in questi anni di macronismo esasperato che è stata una declinazione del privatismo, della difesa dei grandi gruppi industriali a scapito delle piccole e medie imprese, dei licenziamenti inopportuni, della delocalizzazione selvaggia con la compiacenza delle multinazionali e politiche economiche che hanno saccheggiato profondamente lo status sociale dei francesi. Non a caso, anche prima del Covid, il movimento dei gilet gialli è stato il più longevo e violento movimento di contestazione della storia della Francia contemporanea (migliaia gli arresti, i processi, le violenze poliziesche). Insomma, un bilancio pesante per Macron. Ce n’era per attaccarlo ma Le Pen ha deciso di non farlo. Perché?  Difficile rispondere ma in Francia un’idea c’è e si chiama “incompetenza” (su Twitter l’hashtag #nulle ovvero #zero rivolta a Marine Le Pen spopola).

Il candidato de La République en Marche, di fronte all’attitudine fin troppo remissiva della sua avversaria, è apparso dunque molto sicuro di sé (fin troppo) mettendo il turbo su temi su cui è apparso notevolmente più competente: economia, Europa, relazioni internazionali e guerra in Ucraina. Sulla politica estera, Emmanuel Macron ha poi affondato il colpo accusando Marine Le Pen di dipendere dal potere russo e da Vladimir Putin. “Non ci si può fidare di un candidato legato al potere e alle banche russe. Il tuo partito ha appoggiato l’annessione della Crimea”, le ha detto senza mezzi termini e senza che lei riuscisse davvero a controbattere. Imbarazzante e balbettante per oltre un’ora la Le Pen, quasi irriconoscibile nella veste di candidata dimessa, politicamente corretta, rispettosa dell’avversario. Una strategia? Vedremo se pagherà ma intanto la twittosfera (ed i social) hanno già decretato il vincitore: Macron che a momenti è apparso talmente sicuro di sé da sfociare nell’aggressività e nelle continue interruzioni della parola del suo avversario che spesso non riusciva a finire facilmente anche frasi semplici (è stato più volte richiamato all’ordine dai giornalisti che mediavano il dibattito). Anche i sondaggi confortano l’impressione globale di social e giornali: secondo un sondaggio Elabe realizzato per BFMTV alla fine del dibattito, il 59% dei francesi ha trovato convincente Macron, solo il 39% la Le Pen.

Marine Le Pen però è un po’ come un dinosauro sornione (esattamente come il padre Jean-Marie Le Pen fondatore del Front National e torturatore di algerini nell’allora colonia francese d’Algeria). Nel momento in cui il dibattito si è diretto su temi cari alla storia del Front National – e del suo maquillage politico Rassemblement National – si è risvegliata dal torpore ed ha cominciato a sputare fuoco. In quel momento, come si dice in gergo calcistico, è iniziata un’altra partita. Ma a quel punto era oramai troppo tardi, la maggior parte degli ascoltatori era già a letto. Forse sarà un bene o forse no ma bisogna comunque tenere a mente che quello che dice Marine Le Pen (quando non farfuglia, balbetta o sorride) è oltremodo inquietante. Su temi come immigrazione, Islam, sicurezza e sovranità nazionale il suo resta un programma di estrema destra, un programma pericoloso che porterebbe la Francia dritto fuori dall’Europa e che occorre comunque respingere in ogni modo. La scelta è come quella che capitò ai francesi nel 2017 o nel lontano 2002 (con il padre Jean-Marie e Chirac). Padella o brace, incudine o martello. Comunque vada ci si farà del male ma almeno si avrà evitato l’abisso.

CREDIT FOTO: ANSA/LUDOVIC MARIN / POOL MAXPPP



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