Una mattina, mi son svegliato

Finalmente la sinistra si occupa di antifascismo. La piazza di San Giovanni chiede chiaramente alla politica di attuare la Costituzione e sciogliere le forze politiche che si rifanno al fascismo. Ma questo deve essere solo il primo passo, come ha sottolineato a MicroMega don Luigi Ciotti: "Senza giustizia sociale, mafie ed estrema destra saranno sempre più forti".

Daniele Nalbone

Piazza San Giovanni che canta e balla sulle note di Bella Ciao è il giusto riconoscimento non a Maurizio Landini, mattatore dal palco della giornata di mobilitazione dopo l’assalto di una settimana prima alla sede nazionale della Cgil, non ai vari Giuseppe Conte o Roberto Speranza o Luigi Di Maio o Massimo D’Alema o Pierluigi Bersani e via dicendo che hanno assistito, da pubblico vip, agli interventi dal palco, ma a una persona che sul palco c’era e lo ha riempito pur rimanendo in silenzio. Perché doveva essere il “suo” palco, e lo ha ceduto ai sindacati per riportare in piazza l’antifascismo vero, quello fatto di corpi e volti. Parliamo di don Luigi Ciotti, presidente di Libera.

La piazza romana doveva essere il cuore della mobilitazione “per i diritti e la giustizia sociale” indetta dalla Rete dei Numeri Pari, di cui Libera è fondatrice, in occasione della Giornata mondiale per l’eliminazione della povertà. “Democrazia e libertà, partecipazione e giustizia sociale” le parole d’ordine della giornata impressi sui volantini pensati e stampati ben prima dell’assalto alla sede della Cgil. Quattro valori, quattro principi, che hanno lasciato spazio a un valore, a un principio, che è cappello della nostra democrazia costituzionale: l’antifascismo. E così la piazza di Libera e della Rete dei Numeri Pari è diventata la piazza di tutti gli antifascisti. E per questo anche Maurizio Landini ha ringraziato don Luigi Ciotti dal palco di piazza San Giovanni.

Ma il silenzio di don Ciotti è stato un chiaro messaggio sul tempo ormai scaduto, sul ritardo colpevole, sull’assenza di politiche che tolgano acqua alla fonte a cui si abbeverano forze reazionare e che nelle ultime settimane hanno conquistato più seguito mediatico che consenso politico. Un messaggio che ha ribadito a MicroMega, in una lunga e calorosa chiacchierata, alla fine della manifestazione. “Per noi convergere qui, nella piazza antifascista, era più che doveroso. Era inevitabile. Perché quello che sta accadendo in Italia e che si è palesato con l’assalto alla sede della Cgil è diretta conseguenza di quello che denunciamo da troppo tempo: le organizzazioni mafiose da una parte e quelle fasciste dall’altra trovano terreno fertile nella democrazia pallida, nelle insufficienti risposte delle politiche sociali, nella crescita e nella diffusione della povertà, in una scuola che vede l’Italia all’ultimo posto in Europa per dispersione. Le mafie e le destre neofasciste storicamente approfittano della fragilità e del disorientamento delle persone, della rabbia che ne consegue”.

Il problema, secondo don Ciotti, è che troppi esponenti politici, anche aderenti alle forze politiche scese in piazza “contro i fascismi”, hanno bollato di volta in volta “le forze neofasciste come folklore o elemento nostalgico”. Eppure, sottolinea il fondatore di Libera, all’inizio del 2018 ben 23 realtà tra associazioni, sindacati, partiti, movimenti democratici diedero vita a un appello, dal titolo “Mai più fascismi“, per “richiamare alle proprie responsabilità tutti i livelli delle istituzioni” e “attuare pienamente la dimenticata dodicesima Disposizione della Costituzione” che recita: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Allora, ricorda don Ciotti, “non è successo nulla. Ora diciamo che ci servono risposte più ferme e di maggior rigore e che vengano applicate le leggi Mancino e Scelba. Che le forze politiche neofasciste vengano sciolte. E che sia una decisione politica, del Parlamento, non di un qualche tribunale”.

Le parole di don Ciotti fanno da eco a quelle, pronunciate durante l’intervento conclusivo della manifestazione, da parte del segretario della Cgil, Maurizio Landini. “Oggi, 16 ottobre, nel 1943 a Roma avvenne il rastrellamento nel ghetto ebraico e la deportazione di mille persone nei campi di sterminio nazisti. Dei mille deportati, solo in sedici sopravvissero. Questo è un Paese che ha perso la memoria, e un Paese senza memoria non può avere futuro”. E quale miglior giornata per chiedere “al governo”, e di esponenti di governo sotto al palco ce n’erano davvero tanti, “di sciogliere, con l’appoggio del Parlamento, le forze politiche che si richiamano al fascismo”? Il messaggio è chiaro: “Dalla solidarietà si deve passare all’azione concreta”.

Il dado sembra essere tratto. Ora, in un Paese normale, dovrebbe essere solo questione di tempo. Quel tempo che è stato perso, se pensiamo all’appello del 2018, alle decine di aggressioni neofasciste in giro per l’Italia (oltre duecento negli ultimi cinque anni) e al crescente clima di tensione sul quale queste forze stanno soffiando in giro per le piazze prima No mask, poi No vax e ora No green pass in giro per il Paese. Ma dopo?

Dopo aver sciolto le organizzazioni neofasciste il problema sarà risolto? Anche qui il tempo è in primo piano. “Abbiamo perso tempo a parlare di austerità, di crescita economica, di politiche lontane dai bisogni di cittadini” chiosa don Luigi Ciotti “e abbiamo lasciato in un angolo quella visione che ha al centro il valore delle persone, della solidarietà, della democrazia. Per togliere terreno alle forze reazionarie c’è solo una strada e si chiama giustizia sociale. Ma di questo non ne sentiamo parlare”. E non è un caso se lo striscione portato in piazza dalla Rete dei Numeri Pari recita: “Non c’è ripresa né resilienza senza partecipazione, diritti sociali, coprogettazione, giustizia ambientale”.

FOTO ANSA/ANGELO CARCONI



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