Mappe del nuovo mondo: Mukasonga e Houellebecq

In questa puntata: a ventinove anni dall'inizio del genocidio in Ruanda, un libro di Scholastique Mukasonga per conoscere la storia dell'odio interetnico fra Hutu e Tutsi; Michel Houellebecq, il cantore degli emarginati che si rifugiano nell’odio e nella violenza.

Andrea Maffei

Michel Houellebecq, Estensione del dominio della lotta, Bompiani, Milano, 2001

Come un liquore dal sapore ricercato è da sorbirsi in purezza, poiché annacquato col ghiaccio smarrisce la sua identità, così Houellebecq è preferibile non nei particolari inconcludenti de (pur ottimo) La carta e il territorio o affini, ma piuttosto in Le particelle elementari (appena un cubetto di ghiaccio) o, meglio ancora, in Estensione del dominio della lotta. Distillando ulteriormente: la decina di pagine del capitolo decimo vale – per intensità, per potenza, per la carica di rabbioso e impotente dolore che sprigiona – quanto buona parte dei successivi lavori dell’autore e quanto l’intera produzione di altri. Infine in questo breve testo può trovarsi l’autentico fulcro dell’opera di Houellebecq, condensato nelle gocce di sole poche righe:

“In situazione economica perfettamente liberale, c’è chi accumula fortune considerevoli; altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In situazione sessuale perfettamente liberale, c’è chi ha una vita erotica varia ed eccitante; altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine. Il liberalismo economico è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Altrettanto, il liberalismo sessuale è l’estensione del dominio della lotta. (…) Le imprese si disputano alcuni giovani laureati; le femmine si disputano alcuni giovani maschi; i maschi si disputano alcune giovani femmine; lo scompiglio e la confusione sono considerevoli”.

Non è un caso che il romanzo sia diventato punto di riferimento per incel e mondo Red Pill in generale e la stessa pulsione alla violenza, lo stesso odio appena trattenuto, lo stesso senso di battaglia già irrimediabilmente persa del libro si può ovunque riscontrare nei blog di queste correnti. Houellebecq non è solo il loro cantore, ma lo è anche di tutta quella parte di società che emarginata, disorientata e oppressa, senza punti di riferimento colpisce i bersagli che le sono più prossimi: ammalandosi di misoginia, di xenofobia, ma soprattutto della brama radicata di schiacciare, di umiliare – essa stessa debole – chiunque sia ancora più debole di lei, più rinnegata. (Sarebbe ora simili tematiche fossero approcciate anche da sinistra, aggiungiamo!) I personaggi di Houellebecq si scoprono insomma non più sicuri, per parafrasare Achebe, la lotta si è estesa anche laddove si credevano al riparo: fin dentro casa. La loro impressione è quella d’un consumato tradimento, come se la donna, che la lunga tradizione patriarcale rassicurava sarebbe rimasta ubbidiente, liberandosi li avesse colpiti alle spalle. Da ciò il grottesco rimpianto per un mondo di sottomissione, presassontottesco, ove i matrimoni erano affari siglati fra uomini: rimasta soltanto una disperazione impotente – non lenita, ma esasperata dalla pornografia di massa -, innanzi a un orizzonte di fallimento. Così la parola di Michel Houellebecq, laddove non temperata, è pugnale perfetto per ridurre a brani, per dilaniare. Appena però la si avverte inautentica, recitata (poiché anche questo accade con l’autore), lascia solo la penosa impressione di un Céline a un decimo del suo talento, e subentra (citando Sartre, stavolta, ma solo incidentalmente, par Dieu!) la nausea.

Scholastique Mukasonga, Nostra Signora del Nilo, 66thand2nd, Roma, 2014

La morte del presidente ruandese Juvénal Habyarimana, per l’abbattimento del suo aereo – di cui tutt’oggi si ignorano i colpevoli – proprio sopra l’aeroporto di Kanombe, presso la capitale Kigali, la notte del 6 aprile 1994: così ebbe inizio uno dei più spaventosi genocidi della storia umana. In circa cento giorni, infatti, la maggioranza di etnia (ma la categoria è controversa) hutu, filopresidenziale, sterminò, non di rado a colpi di machete, circa un milione di persone della minoranza tutsi. Un tale immane massacro era stato, come è facile immaginare, premeditato già da decenni, peraltro anche con decisive influenze dall’estero (tra i molti saggi in proposito cito quello di Daniele Scaglione, che ho avuto il piacere di conoscere personalmente, Istruzioni per un genocidio, per EGA). L’odio degli hutu verso i tutsi era stato coltivato pazientemente nel corso del tempo e Scholastique Mukasonga, scrittrice ruandese ora residente in Francia, nel suo Nostra Signora del Nilo fissa l’attenzione proprio su uno speciale momento di tale lunga evoluzione, a ridosso del 1973, con la presa di potere di Habyarimana e una prima, imponente ondata di violenze anti-tutsi. La scrittura dell’autrice è splendidamente ordinata, precisa, sobria, priva di eccessi o asperità. Il liceo d’élite, femminile e religioso, che dà nome al romanzo s’erge a microsfera in cui in piccolo s’osservano – come in un’incubatrice – le dinamiche che condurranno, vent’anni più tardi, all’apocalisse. Ecco allora la fanatica hutu power Gloriose, che sfrutta la situazione per fare carriera politica, demonizzando la controparte e ai suoi proponendosi a paladina. Ecco il bianco Monsieur de Fontenaille, ubriaco di miti esotici ch’egli stesso inventa e si racconta. Ecco la regina belga Fabiola, che con cortese distacco visita i suoi antichi sudditi. Ecco le suore e i professori belgi, che inizialmente per semplice amore di quieto vivere si adattano alle sempre più stringenti discriminazioni verso i tutsi, finché (ancora per pigrizia, salvandosi dalla fatica del pensiero critico) finiscono per ritenerle normali e perfino giuste e auspicabili. Ma questo romanzo è anche un piccolo tuffo al cuore per chi abbia avuto il privilegio di visitare il Ruanda (al sottoscritto fu possibile grazie alla splendida onlus Turi Kumwe) o almeno questa parte d’Africa: con le sue birre Primus accatastate e i bricchi di latte Nido, con la terra rossa e le piogge torrenziali, la mitica sorgente del Nilo, le mille colline, i gorilla dalla schiena argentata, i bambini e le danze. Nostra Signora del Nilo mostra come qualunque odio razziale fondi su menzogne che stratificano, fino a prendere per assodate teorie in realtà del tutto dubbie e a volte francamente false: i tutsi come immigrati, come popolo nilotico, i tutsi come ebrei d’Africa (riferendosi in ciò ai più noti luoghi comuni antisemiti), come classe aristocratica, come etnia dotata di specifiche caratteristiche fisiche (ad esempio il naso, ancora). Che in questo mese d’aprile si torni ad approfondire o finalmente si scopra una delle pagine di più buia follia della umana specie: e il romanzo di Scholastique Mukasonga è strumento perfetto allo scopo.

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