Mappe del nuovo mondo: Mo Yan e Can Xue

In questa puntata: “Sorgo rosso” e “Dialoghi in cielo”.

Andrea Maffei

Mo Yan, Sorgo rosso, trad. di R. Lombardi, Einaudi, Torino, 2014
Nell’allestimento della coppia di recensioni odierne, con cui per la prima volta MDNM approda in Cina, abbiamo potuto avvalerci della preziosa e cortese collaborazione di Maria Rita Masci, già tra­duttrice e conoscitrice profonda della Letteratura cinese. Amica personale di Mo Yan, fu da lui invi­tata alla cerimonia per la sua vittoria del premio Nobel 2012. L’assegnazione lo consacrò definitiva­mente come il romanziere – se non migliore – probabilmente ad ora più rappresentativo del suo Pae­se. Quest’ultimo è dall’autore osservato e cantato nei suoi mutamenti lungo i decenni, così intensi e drammatici, del secolo ventesimo. Da questo punto di vista, l’opera forse più completa di Mo Yan è Grande seno, fianchi larghi (per Einaudi), che in oltre novecento pagine abbraccia la Storia cinese dagli anni Trenta fino alla soglia della contemporaneità, anche se ha ragione la Masci a sostenere che, nel flusso dell’ampia narrazione, l’autore si lasci talora distrarre dalla divagazione (più puntuali e uniformi i racconti – il genere della novella gode d’una illustre tradizione, in Cina – raccolti in L’uomo che allevava i gatti, ancora per Einaudi). Uno dei suoi lavori più riusciti, nonché certo il più famoso, è il romanzo Sorgo rosso, che in cinque libri si concentra sulle gesta d’amore e di morte del bandito Yu e della sua famiglia durante la terrificante invasione giapponese degli anni Trenta e Qua­ranta (ma, come osserva Renata Pisu in appendice, i fatti si svolgono per piani sovrapposti, in avanti e all’indietro dal 1939 al 1972 circa). La vocazione preminente di Mo Yan, riscontrabile in quasi tutte le sue opere, è quella del cantore epico, che probabilmente in Sorgo rosso raggiunge il massimo equilibrio. È un canto possente vigoroso, quello che guida i personaggi attraverso avventu­re gagliarde come maotai (il rapimento della futura nonna dalla portantina del suo allora sposo, ad esempio, oppure il successivo contrasto, selvaggio, fra lei e l’amante del marito), sanguinose e vio­lente (talvolta sconvolgenti: pensiamo allo scorticamento dello zio Liu, minuziosamente descritto), ma è anche fiume in grado di deviare, come quello dei poemi antichi, in rivoletti secondari e in sé autonomi (quello dedicato all’aiutante Ren o ai due bambini in fondo al pozzo, per esempio). La scelta di ambientare la storia in un’estrema provincia rurale conferisce al racconto l’indefinito spa­ziale necessario a ogni leggenda, la decisione dell’autore di partecipare (ancorché secondariamente, in veste di ultimo discendente) alla vicenda rende più partecipe l’ascoltatore (il lettore), il sorgo come simbolo dell’intera saga, col suo incessante purpureo ondeggiare, restituisce alla perfezione il senso di perpetuo e sanguigno di cui l’autore è in cerca. Sorgo rosso si segnala fra le opere fondanti della Letteratura cinese contemporanea, valore primigenio che del resto implicitamente le riconobbe anche lo scrittore Acheng, definendola il grande armadio della nostra infanzia, dove si ritrovano tutte le parole e i giochi e le cose spaventose della vita.

Can Xue, Dialoghi in cielo, trad. di M.R. Masci, Theoria, Roma-Napoli, 1991
In Diario di un pazzo, racconto lungo del 1918 che segna la nascita della moderna lingua letteraria cinese (baihua), il celebre Lu Xun presenta, attraverso una serrata narrazione in prima persona (una sorta di flusso di coscienza) una realtà distorta e paranoica. Il protagonista si persuade, fino ad aver­ne la certezza assoluta, che tutti attorno a lui vogliano divorarlo. Personaggio e clima allucinato e allucinatorio perfettamente si accorderebbero (e forse l’avranno in parte ispirata) alla raccolta di (dodici) racconti Dialoghi in cielo, di Can Xue. Come scrive la Masci nella sua ottima introduzione, da queste novelle è scomparsa ogni relazione di tempo, luogo e spazio, oltre che ogni traccia di realismo e contenuto narrativo. Crediamo che in questo caso risulti utile, per meglio spiegarci alla gentile lettrice al lettore, avvalerci di un supporto iconografico. Un buon paragone potrebbe essere quello col pittore Odilon Redon (vale davvero la pena di conoscerlo), che dissemina le sue opere di bizzarre e inconsulte figure, occhi che diventano anche rocche e animali, ragni con al centro del cor­po volti umani, flora mostruosa, il tutto pervaso da un senso di ambiguo e osceno mistico. Così in Can Xue, ancora citando Maria Rita Masci, Una pianta di bambù germoglia nel petto di un uomo, le gambe di una donna fluttuano in aria come alghe marine, una vecchia che in realtà è un’aquila si trasforma in una pietra. Alberi pieni di campanellini tintinnanti crescono sul fondo dei laghi, co­lonne di ghiaccio precipitano dal cielo, balene immerse nei loro pensieri attraversano mari sensua­li. Serpenti sono in agguato, vermi si arrampicano nelle stanze, insetti cadono a pioggia dal cielo. Si può addirittura affermare che Can Xue spinga Kafka fino al radicale (!), scarnificando le sue pa­gine quasi d’ogni spunto narrativo, lasciando solo l’illogico evolversi delle forme, così come nei so­gni tormentati. E in riferimento a questi ultimi non è un caso che, come ha notato lo scrittore (e già ministro) Wang Meng, il vocabolario dell’autrice abbondi di termini come deformazione, cancrena, sanguisuga, cicatrice, mutilazione, ragnatela, topo, veleno, zanzara, mosca, fetore, cimice e serpen­te. Infatti, così come Jerzy Kosinski (un altro che aveva tentato di radicalizzare ulteriormente Kaf­ka), è attraverso l’impiego di immagini disturbanti deformi che l’autrice forgia il suo inquietante immaginario onirico. Mentre compiliamo queste righe (agosto 2023) Can Xue è indicata fra le mag­giori favorite al Nobel per la Letteratura. Non la riteniamo (non ancora, almeno) meritevole del pre­mio, ma il suo semplice nome in lizza ha fatto sì si creasse per lei un rinnovato interesse, il quale ad esempio ha spinto l’intraprendente casa editrice Utopia a ripubblicare, recentemente, Dialoghi in cielo. Esistono però ancora tanti lavori, in Italia inediti, dell’autrice, cominciando da un saggio su Dante del 2019, ma senza dimenticare i suoi scritti su Calvino. Speriamo la ritrovata attenzione per Can Xue possa portare alla pubblicazione in italiano di altre opere, dunque, che arricchirebbero e rinsalderebbero il dialogo culturale e letterario fra due mondi che forse desidererebbero, finalmente, conoscersi meglio.

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