I silenzi di Mario Draghi

Non una parola sui due morti al giorno per infortuni sul lavoro. Muto sull’emergenza climatica e sul dissesto idrogeologico. “Stranamente”, ignora le questioni sociali e ambientali più urgenti e drammatiche. E tace, ovviamente, sul caso Durigon.

Michele Martelli

Come ogni teologia, anche il draghismo ha il suo lato mistico, sconfina anzi nel misticismo. «Il silenzio è la lingua di Dio. Tutto il resto è cattiva traduzione», ha scritto Rumi, il famoso teologo islamico e grande poeta mistico persiano del Milleduecento. Ma se ogni traduzione è cattiva, infedele e fuorviante, ne segue che la lingua di Dio è intraducibile, quindi incomprensibile. Se e che cosa, arroccato nel suo silenzio, Dio pensi davvero, nessuno lo sa. E perciò, se e quando parla, per esempio nei Testi sacri, nessuno dovrebbe arrogarsi il privilegio di capirlo, né l’imam, né il califfo o il gran muftì. Ed è ciò che spesso è successo a noi poveri mortali nei sei mesi del governo Draghi. Sin dall’inizio, la strategia comunicativa di Draghi er mejo è costellata di silenzi, vuoti e balbettii fuori luogo, come l’appellativo di dittatore a Erdogan o l’elogio ai salvataggi libici in mare.

Durante il primo mese, dopo l’investitura, l’ex capo della Bce, forse, chissà, asceso in cielo a mezzo della scala di Mohammed, sembrava colpito da totale afasia: l’Italia era come senza governo, e il governo totalmente acefalo. Draghi? Scomparso dai radar dei mass-media. Poi, ecco il miracolo, evviva: Draghi c’è, è tornato tra noi, e parla. Ma come? Spesso per mezzo di videomessaggi tipo avatar, note e interviste affidate ai suoi sottoposti, discorsi brachilogici in occasione di cerimonie ufficiali e brevi comunicati non firmati, come l’ultimo, prima di Ferragosto, sui cosiddetti «compiti a casa» rivolto ai suoi pargoletti discoletti ministri in vacanza. E il Parlamento? Beh, col Draghi dei miracoli il Parlamento non parla, non discute né legifera. Approva quasi sempre a scatola chiusa, all’unanimità, esclusi i «Meloni brothers», come è accaduto col famoso Pnrr, votato in 4-5 giorni: 318 pagine strapiene di dati e progetti tecnici di ogni tipo che i parlamentari non hanno avuto nemmeno il tempo di sfogliare.

Ovviamente, così concede spazio al propagandismo becero e logorroico di altri, per esempio di Salvini, pronto a tirarlo per la giacca, e a presentarlo come «uno dei suoi», di centro-destra. O dell’alter ego italo-vivente di Salvini, ormai d’accordo, i due fratelli-siamesi, su quasi tutto. Ma Draghi in genere non si scompone, tace; sa, da big banker qual è, che il silenzio è d’oro. Ma poi, dicono i lacchè e i cavalier serventi di stampa e rai-tv che lo incensano, la grammatica del draghismo comunicativo è scarna ed essenziale, perché istituzionale: non ha problemi partitico-elettorali, non mira al consenso, è pragmatica, parla con i fatti.

Ma con quali fatti? Ci sono fatti di cui Draghi parla e fatti di cui Draghi non parla, ma di cui però, in quanto presidente del Consiglio, dovrebbe parlare. Il Draghi parlante parla quasi sempre la lingua padronale, confindustriale, neoliberista, dal condono delle cartelle esattoriali al no alla tassazione progressiva, dallo sblocco dei licenziamenti e al caso McKensey per la stesura del Recovery Plan, eccetera. È tutto un genuflettersi a Lorsignori: Bonomi, Fmi e pescecani del capitale ringraziano. Il Draghi silente, guarda caso, ignora le questioni sociali e ambientali più urgenti e drammatiche, dal caporalato nel Sud e nel Nord all’immigrazione alla sicurezza sul lavoro.

Alla Grafica Veneta, i lavoratori pakistani sono sottopagati, picchiati e incatenati. E SuperMario? Muto come un pesce(cane). Nel 2021, oltre l’80% delle imprese e cantieri italiani non rispettano le norme di sicurezza, con la conseguenza di due morti al giorno per infortuni. E SuperMario? Non ha parole. Il suo governo ha ripreso il progetto faraonico del Ponte sullo Stretto, ma ponti di strade e autostrade stanno crollando e il dissesto idrogeologico avanza, ma Draghi tace. E tace, ancora se possibile più colpevolmente, sul caso Durigon, il fascioleghista salviniano sottosegretario all’Economia che voleva dedicare un parco di Latina al corrotto e totalitario Arnaldo Mussolini, mandante, tra l’altro, dell’assassinio di Matteotti, nel 1924, invece che ai due magistrati eroi dell’antimafia Falcone e Borsellini. E il pragmatico SuperMario istituzionale? Almeno finora, no comment. Ma, mi chiedo, la carica istituzionale di capo del governo lo obbliga alla difesa della Costituzione antifascista? O no?



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