Tra memoria e attivismo, la società civile tedesca contro il dilagare dell’estrema destra

In Germania c’è la paura concreta di un drammatico ritorno dell’estrema destra al potere. In un Paese dove la memoria è al centro della politica – il che conduce talvolta a reazioni scomposte al limite del grottesco – le recenti proteste che si sono svolte in molte città tedesche raccontano di una società non disposta a piegarsi davanti alla minaccia del suprematismo. Non si tratta però di reazioni estemporanee, ma di iniziative che affondano le loro radici in un lavoro di cura della memoria fatto spesso di piccole attività locali, come quelle che si svolgono a Stoccarda. A dimostrazione che la memoria possa essere non solo un orpello da esibire in pubblico, ma un cardine del nostro presente.

Simone Zoppellaro

Fra le poche buone notizie degli ultimi mesi c’è l’ondata di proteste contro l’estrema destra che, da oltre un mese a questa parte, sta investendo tutta la Germania, dalle metropoli alla provincia, dall’ovest all’est postcomunista, e che pare ancora lontano dall’esaurirsi. Alcuni milioni di persone, di ogni origine, età e estrazione sociale, sono scese in strada in centinaia di manifestazioni spesso spontanee che, seppure non nuove – è almeno dalla crisi dei migranti del 2015 che ricorrono con periodica frequenza – stanno dimostrando, assai più di un governo in crisi di identità e consensi, che la società tedesca non è disposta a piegarsi al minaccia dei suprematisti etnici affini a Putin, Trump e al governo di Roma.
Fondamentale è però comprendere come questa ondata di proteste non nasca dal nulla. Sua origine e nutrimento sono una miriade di iniziative della società civile che, negli ultimissimi decenni, hanno cambiato il volto del Paese e la sua cultura, partendo dal basso. Certo, la forza di queste proteste è anche la sua debolezza, ovvero la mancanza di coordinamento e la lontananza dai partiti; ma è anche giusto ricordare – e lo sappiamo bene in Italia – che è impossibile immaginare una cultura di sinistra capace di vincere e convincere senza un radicamento che investa l’intero tessuto sociale.
Partendo dal territorio dove vivo e lavoro da ormai un decennio, ovvero Stoccarda e il Sud-Ovest tedesco, vorrei raccontare la battaglia che tanti attivisti stanno portando avanti negli ultimi anni per la memoria (o meglio, le memorie al plurale) sul corpo stesso della città. Perché sì, trattandosi della Germania, la questione della memoria è sempre al centro della politica – pur non senza errori e contraddizioni, come anche di recente, rispetto alla questione israelo-palestinese.
Se non è vero, come mi è capitato di leggere in Italia, che ai sostenitori della Palestina sia impedito di manifestare in Germania – ho assistito io stesso, fra le tante, a due manifestazioni assai partecipate e pacifiche a Stoccarda – è innegabile però che la politica e il mondo della cultura tedesca, dalla Fiera del Libro di Francoforte alla recente Berlinale, abbiano dato segni grotteschi di censura nei confronti di una legittima espressione di denuncia per i crimini di guerra compiuti dal governo Israeliano.
Una situazione di silenzio imposto che lamentano in molti, dal mondo della scuola a quello della cultura, e che può essere spiegato solo in parte dal clima di paura che denunciano le associazioni ebraiche tedesche dopo il 7 ottobre. Gli atti di antisemitismo si moltiplicano, e non mancano istituzioni – come mi è capitato di constatare di persona – che non li denunciano per non alimentare ulteriormente il clima di diffidenza nei confronti dei palestinesi e delle comunità musulmane.
L’estrema destra tedesca sta scommettendo tutto su quello che definisce un “antisemitismo migratorio” o “di importazione”, l’unico – a loro avviso – presente nella Germania di oggi. Se è innegabile che anche questo esista, al di là dalle categorizzazioni linguisticamente problematiche, la falsificazione al centro di questa operazione è lampante. Che poi, al contrario, vi siano sovrapposizioni fra questi due mondi, come nel caso dei Lupi grigi turchi – il maggior gruppo di estrema destra oggi in Germania, statistiche federali alla mano – è ugualmente innegabile.
Quello che sfugge a tante critiche spesso affrettate, però, è quanto questo clima sia il frutto di un percorso radicato e strutturale – e come il timore diffuso sia che una sua rimessa in discussione anche parziale possa corrispondere a un ritorno al passato, a un trionfo dell’estrema destra paragonabile a quello italiano. Qualcosa di assai rigido, certo, anche se in molti casi dettato da buone intenzioni. Credo quia absurdum diceva Nietzsche essere l’essenza dello spirito tedesco. Il supporto senza condizioni di Berlino all’avventura bellica di Netanyahu non sembra lontano da tale contraddizione.
Stoccarda, dunque. Una città di 636mila abitanti, di cui quasi la metà con un retroterra di migrazione, ma che con l’hinterland arriva a superare i 2,8 milioni di popolazione. Bosch, Mercedes, Porsche e Ritter Sport hanno tutte sede qui – ma importante è ricordare che è anche la città del filosofo Hegel, mentre Schiller, Hölderlin, Hermann Hesse sono tutti nati a pochi chilometri da qui. Una città di forte tradizione riformata e pietistica, non senza un influsso calvinista, che sembra fatta apposta per illustrare la tesi di Max Weber sulle origini del capitalismo.
Già caposaldo della destra liberale della Cdu nel dopoguerra, si è trasformata – anche grazie alla trentennale protesta contro Stuttgart 21, il più grande progetto infrastrutturale oggi in cantiere in Germania – in uno dei centri nevralgici della politica verde nel Paese. Di Stoccarda è il ministro dell’agricoltura Cem Özdemir, di origine turca, già alla guida dei Grünen per un decennio, e dello stesso partito – caso unico in Germania – è anche Winfried Kretschmann, il governatore del Land di cui Stoccarda è capoluogo, il Baden-Württemberg.
A pochi chilometri da Stoccarda c’è la cittadina di Leonberg, dove si trova un capo di concentramento in funzione dal 1944 al ’45 in cui furono deportati anche alcune decine di italiani. Mi racconta un’amica, nata e cresciuta a poche centinaia di metri da lì, come fino agli anni Novanta ne ignorasse del tutto l’esistenza. Nessuno ne parlava, neppure i più anziani – come nulla fosse mai avvenuto. Oggi è un fiorire di iniziative – visite guidate, progetti didattici, pubblicazioni, persino un film – legate a un’associazione di cittadini che si battono per la memoria.
Per chi, come me, è quarantenne, e a maggior ragione per i più giovani, è difficile immaginare cosa fosse la Germania del secondo dopoguerra. Oggi la memorializzazione della Shoah e dei crimini del nazionalsocialismo è ovunque, dalle strade ai banchi di scuola. Ma ben diverso è stato il lento risveglio, fitto di omertà e omissioni, che ha riguardato la Repubblica federale dopo le macerie del nazismo.
Un percorso accidentato e difficile, che va dalla questione della colpa (Schuldfrage) sollevata dal filosofo Karl Jaspers, al Sessantotto tedesco, che proprio sulle continuità fra nazionalsocialismo e potere economico e politico fece uno dei fulcri della sua protesta, al gesto del cancelliere Willy Brandt in ginocchio di fronte al monumento dedicato alla rivolta del ghetto a Varsavia. Ma, come ci spiega Günther Anders in quel capolavoro che è Dopo Holocaust 1979, edito in Italia da Bollati Boringhieri, la svolta, almeno da un punto di vista della diffusione popolare, fu un’altra, e ancor più tardiva.
Se fino ancora agli anni Settanta la memoria dei crimini del nazismo riguardava in modo quasi esclusivo intellettuali, studenti e una parte della classe dirigente – ci racconta il filosofo Anders in un diario che è una riflessione straordinaria sulla natura umana, oltre che sulla storia tedesca – fu un telefilm con Meryl Streep, intitolato Holocaust appunto, a decretare il risveglio definitivo di una popolazione tedesca che, con la scusa della ricostruzione, della guerra fredda e del boom economico, aveva fatto di tutto per non affrontare la pagina più oscura della sua storia. Come annota il filosofo: “Solo attraverso la finzione, solo attraverso i casi singoli, l’accaduto e l’innumerabile possono essere resi perspicui e rammemorabili. Ed è quanto è accaduto nel film”.
Diversa, ma certo non meno ambigua, fu la relazione fra la Repubblica democratica tedesca e i crimini del nazifascismo. Basti pensare – per limitarmi a un’immagine, in un discorso assai più complesso, naturalmente – a come il campo di Buchenwald, nella seconda metà degli anni Quaranta, fu usato ancora per imprigionarvi gli oppositori del regime comunista per poi essere in parte demolito, quasi a volerne cancellare le tracce. Ma torniamo a noi.
Complice anche un ricambio generazionale, la svolta a partire da allora fu straordinaria. Poco e male si riflette su come un tale cambiamento – radicale e diffuso – sia purtroppo un unicum, se si pensa a un secolo ed oltre di negazionismo che investe la Turchia, erede dell’Impero ottomano, rispetto al genocidio armeno, o alla Russia che ricade di nuovo e sempre nel suo passato di sangue; ma anche al disastro (come altro definirlo?) che negli ultimi anni sta investendo l’Italia, fra revisionismo e qualunquismo.
Un fiorire di iniziative, dunque, tanto a livello locale che nazionale. La più nota, forse, perché importata anche in Italia, è quella delle pietre d’inciampo, nata grazie all’artista berlinese Gunter Demnig. L’intero Paese ne è pieno. Nel maggio 2023 Deming, instancabile viaggiatore, ha annunciato di aver posto la sua centomillesima pietra d’inciampo a Norimberga, dove si trova peraltro uno bellissimo museo multimediale che ricorda il celebre processo.
Fuori dall’ordinario, anche perché nato da un’iniziativa popolare di cittadini e attivisti, è la storia dell’Hotel Silber, il quartier generale della Gestapo che doveva essere abbattuto per far nascere un centro commerciale di lusso. Ne è nato invece, nel 2018, un museo della memoria che ospita mostre ed eventi che affrontano raccontano dei carnefici e delle loro vittime, con una notevole cura e attenzione riservata anche ai Rom e Sinti che qui furono perseguitati.
Questi ultimi sono stati al centro di diverse iniziative portate avanti dagli attivisti dell’Hotel Silber che hanno coinvolto i membri di questa minoranza, di cui spesso dimentichiamo la persecuzione e la cui memoria pare quasi non aver dignità di menzione. Nella vicina Tubinga, sede di una delle università più prestigiose della Germania, troviamo una targa dedicata allo sterminio di Rom e Sinti in pieno centro, di fronte alla Stiftskirche.
Sempre grazie agli attivisti locali, nel 2020 sono stati celebrati i 110 anni dalla nascita di Gerda Taro, figura straordinaria di fotografa e combattente per la libertà nata a Stoccarda e immortalata, fra l’altro, da Helena Janeczek nel libro La ragazza con la Leica. Una piazza e un recente monumento, ricco di pannelli informativi, la ricordano qui a Stoccarda.
Una piazza, sempre nel capoluogo Baden-Württemberg, sarà finalmente dedicata anche a un’altra figura locale di rilevanza internazionale, Joseph Süß Oppenheimer – cui in precedenza era dedicata solo una via. Qui è in cantiere un progetto di memorializzazione, per ricordare uno degli episodi più terribili e simbolici della storia della città: l’esecuzione di Joseph Süß Oppenheimer, noto come Jud Süß, un macabro spettacolo a cui assistettero migliaia di spettatori a Stoccarda nel 1738. Un uccisione di Stato che concluse in modo inglorioso un processo penale caratterizzato dal risentimento antiebraico e che, non a caso, sarà al centro dal più noto (e orribile) film del nazismo.
La piazza e la sua memorializzazione sono avvenute anche grazie all’impegno della Fondazione Geißstraße 7, nata – sempre per iniziativa popolare – sul luogo stesso di un attacco contro migranti. Qui un incendio doloso, il 16 marzo 1994, uccise sette persone mentre sedici rimasero ferite in quello che fu il peggior incendio a Stoccarda dalla seconda guerra mondiale. Oggi il programma culturale della fondazione comprende conferenze, letture e discussioni su temi attuali, politici e non solo. Oltre al suo lavoro culturale, la Fondazione fornisce appartamenti temporanei a persone che hanno bisogno di un alloggio.
Sarebbero molte le storie da raccontare, come anche i progetti di valorizzazione della memoria del colonialismo tedesco e dei suoi crimini, cui molti sforzi sono stati dedicati negli ultimi anni dopo un lungo oblio. Scrivendo per un pubblico italiano, non si può però omettere il legame fra Stoccarda e Sant’Anna di Stazzema, nato ancora una volta da un’iniziativa di cittadini e attivisti che hanno saputo organizzarsi e agire.
Era il 2012 quando un gruppo di loro decise di recarsi lì sull’onda dello sdegno, subito dopo che la procura di Stoccarda, nella persona di Bernhard Häußler, aveva di deciso di archiviare il caso: estradizione rifiutata, nonostante la condanna in contumacia arrivata a La Spezia nel 2005 per i dieci membri delle SS responsabili del massacro di Sant’Anna. Dopo quel primo viaggio, un gruppo di cittadini si assunse la responsabilità di arrivare là dove non erano giunti la giustizia e la politica del loro Paese, di non dimenticare le colpe del passato e costruire un ponte verso Sant’Anna e l’Italia. Ne nasce un impegno che arriva fino ad oggi, e che porta alla nascita di molte pubblicazioni e progetti.
Uno di questi, il Campo della Pace/Friedenscamp, inaugurato nel 2017, raccoglie ogni estate a Sant’Anna molti giovani italiani e tedeschi, uniti a partire dalla memoria. Enio Mancini e Enrico Pieri, due dei sopravvissuti al massacro, hanno ricevuto nel 2013 il Premio della Pace dalla città di Stoccarda e vengono invitati in Germania, nel Paese che li aveva doppiamente feriti: prima con il massacro delle loro famiglie e di tutto il villaggio, e quindi con il disconoscimento di una verità giudiziaria che avrebbe potuto lenire, almeno in parte, le antiche ferite.
In una bella giornata di sole, a Stoccarda diecimila persone hanno attraversato tutta la città per protestare contro il pericolo dell’estrema destra e contro il razzismo. Ero insieme a loro. C’erano simboli di diversi partiti, di associazioni e chiese, e anche bandiere palestinesi. Un rituale che si ripete ogni settimana ormai, ma che continua a raccogliere adesioni, partecipazione, impegno da parte di più generazioni e da persone con idee politiche anche molto diverse. Difficile dire se sarà l’inizio di qualcosa di grande, forse anche capace di fermare la deriva nera del nostro continente, o solo un canto del cigno di una stagione straordinaria, che ci ha dimostrato come la memoria possa essere non solo un orpello da esibire in pubblico, ma un cardine del nostro presente.

CREDITI FOTO: EPA/FILIP SINGER



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