Michelangelo, il sindaco di Firenze e i colori della pace

Che senso ha coprire il David di un drappo nero vergato di giallo e blu e non, invece, dei colori arcobaleno della bandiera della pace di Aldo Capitini?

Mariasole Garacci

Immagini e simboli andrebbero usati, combinati e diffusi con estrema cautela. Il loro impercettibile potere di ripartire e ricomporre il sensibile deflagra sotterraneamente. Le immagini possono cambiare il reale, modificare il significato che diamo a concetti e parole. Generano, come scrive Jacques Ranciére, «delle mappature del visibile, dei percorsi di connessione tra visibile e dicibile, delle relazioni tra modi di essere, modi di fare e modi di dire. Definiscono variazioni delle intensità sensibili, delle percezioni e delle capacità dei corpi. In questo modo si impadroniscono degli umani qualunque, creano scarti, aprono derivazioni, trasformano i modi, le velocità e le traiettorie con cui tali umani aderiscono a una condizione, reagiscono alle situazioni, riconoscono le loro stesse immagini»[1]. Per questo motivo, è molto interessante osservare come le immagini vengono usate in momenti di particolare tensione politica e sociale, quali messaggi veicolano, e come vengono recepite.

All’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, iniziata il 24 febbraio scorso, in poche ore il Ministero della Cultura guidato da Dario Franceschini ha reagito con una lodevole campagna digitale che coinvolge musei, biblioteche, archivi e istituti culturali statali, per ricordare che «l’Italia ripudia la guerra» ed esprimere «la piena e incondizionata solidarietà all’Ucraina». Immagini di famose opere d’arte custodite nei nostri musei, vergate o incorniciate dai colori della bandiera ucraina, sono state pubblicate sui canali social accompagnate dagli hashtag #cultureunitestheworld e #museumsagainstwar, con risultati e scelte grafiche (duole ammettere) non sempre brillanti ed efficaci. La sera del 25 febbraio, inoltre, le facciate di diversi monumenti e istituzioni culturali, tra cui il Colosseo e il Teatro dell’Opera di Roma, sono state illuminate di giallo e blu. Si tratta di immagini e claim apparentemente innocui ed ecumenici, sui quali c’è poco da obiettare; ma che all’obiettivo della pace associano, in realtà, una serie di premesse, condizioni e posizioni. Su queste si può essere ovviamente molto d’accordo, ma bisogna esserne consapevoli e rendere conto ai propri interlocutori di stare esprimendo un’interpretazione precisa e orientata dei fatti drammatici di queste settimane in Ucraina, dei fatti accaduti almeno dal 2014 in poi, e della loro possibile soluzione politica, diplomatica e militare. Un’interpretazione che sarà necessariamente divisiva, non irenica.

Bisogna essere consapevoli e rendere conto del fatto che si sta chiamando “pace” una configurazione geopolitica precisa da ottenere, mantenere o ripristinare attraverso la guerra diretta o l’invio di armi.

Questa riflessione mi viene in mente guardando un’immagine di questi giorni del David di Michelangelo, ovvero della sua copia realizzata tra il 1890 e il 1910 da Luigi Arrighetti per essere collocata in Piazza della Signoria a Firenze al posto dell’originale custodito nella Galleria dell’Accademia. Lo scorso 6 marzo, in occasione dell’anniversario della nascita dell’artista toscano nel 1475, il sindaco della città Dario Nardella ha fatto ricoprire la scultura di un drappo nero decorato di nastri gialli e blu, i colori dell’Ucraina, «finché la guerra non sarà finita» (speriamo presto, prestissimo).

In occasione della cerimonia, a cui hanno partecipato rappresentanti della comunità ucraina a Firenze e due giovanissimi russi di nome Cristina e Ivan, è stata inoltre esposta la bandiera della Repubblica guidata da Volodymyr Zelensky. «Oggi – ha dichiarato Nardella – vogliamo ricordare Michelangelo nel giorno della sua nascita con questo gesto di lutto e di dolore. È un gesto di lutto molto forte per ricordare le migliaia e migliaia di vittime che in questi dieci giorni già si sono contate. Vittime civili a Kiev e in tutte le altre città ucraine ma anche militari. Vogliamo ricordare anche i militari russi, i giovani soldati russi mandati da Putin e dal suo governo a morire per una guerra folle, ingiusta e incomprensibile. Il David di Michelangelo è il simbolo della libertà. È il David che combatte contro Golia, è il popolo ucraino che combatte per la libertà».

Il mio piccolo esercizio di analisi di questo episodio di comunicazione non è una critica rivolta al sindaco di Firenze: quando egli dichiara di non aver voluto abbattere la statua di Fëdor Michailovic Dostoevskij nel Parco delle Cascine, come sembra sia stato richiesto da alcuni cittadini, personalmente non ho motivo di dubitarne e approvo questa scelta (del casus legato allo scrittore russo e al corso del professor Paolo Nori censurato alla Bicocca di Milano ho scritto qui).

Ma se rifiutiamo insensate sanzioni culturali e linguistiche nei confronti della Russia perché siamo capaci di distinguere tra cultura e politica, tra popolo e governanti, e perché affermiamo la necessità di una lettura complessa della realtà, allora viene da domandarsi (non per polemica, ma per comprendere correttamente i messaggi che ci stiamo scambiando) che significato abbia coprire il David di un drappo nero vergato di giallo e blu e non, invece, dei colori arcobaleno della bandiera della pace di Aldo Capitini. Il riferimento al pensatore antifascista perugino, tra i primi teorizzatori del pacifismo nel nostro Paese, non è qui casuale. Perché quando proponiamo immagini di pace, quando promuoviamo la pace, quando parliamo di pace (e credo che dobbiamo farlo nonostante a molti sembri, comprensibilmente, il momento meno opportuno) non stiamo evocando un sentimento o esorcizzando una paura; ma ci stiamo riferendo a un progetto politico molto ampio che implica antimilitarismo, non-violenza, ecologismo e ricerca di nuove fonti di approvvigionamento energetico. E dunque a una riflessione strutturata sull’origine radicale della situazione disastrosa in cui ci troviamo e che necessariamente si riproporrà proseguendo su questa strada. Una riflessione da condurre senza timore di essere tacciati di anti-interventismo, di filo-putinismo, di codardia e di indifferenza verso le atroci sofferenze dei nostri fratelli in Ucraina (o delle sofferenze e la paura, per menzionare alcune delle crisi e i conflitti attualmente in corso nel mondo, di chi vive in Afghanistan, Yemen, Iraq, Libia, Nigeria, Siria).

Del resto, tornando all’episodio particolare, credo che l’azione di coprire la statua di Piazza della Signoria abbia creato un cortocircuito un po’ goffo e involontariamente comico. Così velato, l’eroico re di Israele, che secondo il racconto dell’Antico Testamento viene mandato da Saul ad affrontare l’arrogante Golia, somiglia piuttosto a una donna con il burqa: non esattamente un modello di ribellione verso gli oppressori. E se le immagini sono parte di un codice linguistico, si trova qui un piccolo errore grammaticale, come quando si vuole enunciare una frase affermativa e si produce invece il contrario. David è il coraggioso ebreo che piccolo, nudo e armato solo di una frombola si oppone e sconfigge in una singolar tenzone il gigantesco e spaventoso nemico. «Dall’accampamento dei Filistei uscì un campione, chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e un palmo. Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di cinquemila sicli di bronzo. Portava alle gambe schinieri di bronzo e un giavellotto di bronzo tra le spalle. L’asta della sua lancia era come un subbio di tessitori e la lama dell’asta pesava seicento sicli di ferro; davanti a lui avanzava il suo scudiero»[2].

L’analogia simbolica con il presente rapporto di forze tra Ucraina e Russia, dichiarata anche nel discorso di Dario Nardella, è evidente. Perché, dunque, si è scelto di coprire il David e non di evidenziarlo? Si è forse pensato di esaltare la sua virtù obliterandolo, come in certe azioni artistiche? C’è da dire che, effettivamente, il risultato fa pensare al surrealismo di Breton e Man Ray.

[1] Jacques Ranciére, La partizione del sensibile. Estetica e politica, DeriveApprodi 2016, p. 58.

[2] C.E.I. 2008, 1 Samuele, 17,4-7.

Credit foto David di Michelangelo: Jörg Bittner Unna via Wikimedia Commons (CC BY-SA 4.0).



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