Mick Jagger compie 80 anni. Buon compleanno, caro ragazzo!

Ripercorrere la vita del cantante e frontman degli Stones, giunta all'ottantesimo giro di boa, significa celebrare l'essenza stessa del rock, fatta di provocazione e contraddizioni. Un'essenza che nessuno come Jagger ha saputo incarnare, sia con la sua arte sia con la sua stessa vita.

Giovanni Carbone

Fare gli auguri di compleanno a questo ragazzo per i suoi 80 anni è come ribadire con Neil Young che “Rock ‘n’ Roll will never die”. Mick Jagger è, per molti aspetti, l’artefice della creazione di una sorta di ortodossia del sex and drugs and rock and roll. Con la sua voce sensuale, il volto che pare scolpito nella pietra da un abilissimo scalpellino poco attento alle proporzioni, la bocca fuori misura capace di diventare marchio di fabbrica, fisico da furetto, un fascio sottile di nervi e muscoli perennemente tesi, Mick Jagger è icona del rock nella sua espressione più impenitente, impertinente, imprevedibile. Ha attraversato sessant’anni di musica lasciando segni concreti del suo passaggio. Non ci sarebbe stato il rock che conosciamo senza lui, senza gli Stones. Pure è assai difficile raccontarne la storia in spazi brevi, tempi concisi; altrettanto complicato beccare tra tutti gli eventi d’una vita assai agitata quelli più significativi: c’è il rischio concreto di perdersene parecchi, di fare scelte non proprio azzeccate. Ad ogni buon conto un compleanno come il suo merita un bilancio, striminzito, parziale, ma che paia almeno un omaggio a chi ci ha divertiti per parecchi lustri, in musica, ma non solo.

A dispetto d’ogni immaginario, non ha natali – e nemmeno formazione culturale – in un fremente ed inquieto sobborgo inglese ma in una buona famiglia della borghesia nazionale. Il padre, Basil Fanshawe “Joe” Jagger, è un insegnante, come il nonno; la madre, Eva Ensley Mary, di origini australiane, fa la parrucchiera ed è attivista politica. A Mick piace cantare, lo fa sin da bambino, dalle scuole elementari che frequenta con tale Keith Richards. Ritrova quel suo vecchio compagno d’infanzia nel 1961, sorprendentemente uniti nell’essersi portati dietro la passione per il rock and roll di Buddy Holly, Muddy Waters, Chuck Berry, Bo Diddley, come si conviene a sorprendenti convergenze evolutive. È incontro determinante poiché Mick non ha ancora deciso cosa fare da grande – s’è messo addirittura a studiare economia, per fare il giornalista o dedicarsi anche lui, come la madre, alla politica. Keith, invece, lo induce in tentazione e fondano una band che comincia a suonare in quello scantinato che sarebbe diventato il Ferry Club. I due cominciano a costruire un sodalizio granitico che attraversa bufere caratteriali, diventando un rapporto d’amore-odio. Molti anni dopo, in un’intervista. Keith Richards dirà: “Penso ai nostri litigi come a delle liti familiari. Se sono io a gridare e urlare contro di lui, è perché nessun altro ha il coraggio di farlo, oppure non sono pagati per farlo. Allo stesso tempo, mi auguro che Mick si renda conto che io sono un amico che sta solo cercando di portarlo sulla strada giusta per fargli fare ciò che deve essere fatto”.
Keith suona la chitarra e Mick canta, poi ci sono Brian Jones che suona un po’ tutto, Bill Wyman al basso e Charlie Watts alla batteria. Il nucleo fondante degli Stones si è ormai costituito e il nome della band lo prendono da una canzone di Muddy Waters. Il primo concerto lo fanno al leggendario Marquee Club di Londra il 12 luglio del ’62. Pescano dal repertorio di Chuck Berry, da quello di Bo Diddley, ma Mick e Keith cominciano a comporsi da soli le canzoni e diventano le firme degli Stones, il peccaminoso duo da contrapporre alla casta accoppiata Lennon-McCartney. È la chiave di volta e Mick scopre cosa farà da grande poiché abbandona gli studi. Si fa subito animale da palcoscenico, front man della più travolgente band della storia del rock. Il primo successo arriva con un singolo insospettabile, I Wanna Be Your Man, scritta niente poco di meno che da Lennon-McCartney, i due di Liverpool con cui, in teoria, gli Stones dovevano essere in competizione assoluta. Perfetti bad boys gli Stones, più rassicuranti i quattro di Liverpool: tutto pareva predisposto per una disfida da stadio. Una roba da far urlare di gioia promoter e manager per l’occasione strabiliante che avevano davanti. Gli Stones danno voce ai disordini dell’epoca, le loro sono canzoni aggressive, si rivolgono al disagio giovanile, guidano l’assalto alla cittadella fortificata del buoncostume britannico. Mick ha aveva la postura adatta per interpretare quel ruolo di rottura. I Beatles, si potrebbe dire, fanno un altro mestiere, rassicurano, almeno in apparenza. In realtà, pare che le due band questa rivalità non l’avvertissero poi così tanto e più volte lo stesso Mick ha dichiarato di avere un’ammirazione sconfinata per i Beatles. È Andrew Loog Oldham, il giovane produttore che li guida nei loro esordi, a immaginare questo dualismo, a incastrare gli Stones nel ruolo di anti-Beatles coniando la famosa frase: “Would you let your daughter go with a Rolling Stone?” (“Lascereste uscire vostra figlia con un Rolling Stone?»).
In quegli anni tirano fuori due, poi tre album e una gran quantità di singoli. La svolta vera arriva nel 1965, con il singolo (I Can’t Get No) Satisfaction, che li consacra definitivamente rockstar anche nelle vendite. La voce di Mick Jagger si fa strada tra la fitta “tessitura di chitarre” di Jones e Richards che suonano contemporaneamente le parti soliste o quelle ritmiche creando quel sound che diverrà una delle caratteristiche sonore più tipiche della band inglese. Il successo è clamoroso in tutto il mondo, inanellano uno dopo l’altro successi su successi.
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Nel 1967 Jagger si fa arrestare per detenzione di stupefacenti insieme a Keith Richards. Si becca tre mesi commutati in libertà condizionale. Nel 1969 muore Brian Jones, stroncato da alcol, droghe e psicofarmaci. Mick si fa carico di un nuovo corso degli Stones, anche per i frequenti problemi con la droga dello stesso Richards, dando al gruppo un’impronta sempre più glamour. Gli anni Ottanta sono quelli della crisi degli Stones, i dissidi in casa si fanno sempre più frequenti: Mick vorrebbe un sound più pop e sperimentale, che ammiccasse alle tendenze di quegli anni, in definitiva non volendo rinunciare a scalare classifiche; Keith Richards preferisce qualcosa di più vicino alle origini: più rock alla Chuck Berry, per intenderci, cui dedica persino un film documentario. Mick, subodorando che la storia degli Stones potrebbe avere epiloghi nefasti, addirittura essere al capolinea, comincia a fare qualcosa da solo, dando alla luce qualche disco con il quale ottiene discreti successi pure di critica, ma non certo allori strabordanti come negli anni d’oro degli Stones. Assai probabilmente a causa di questo, il gruppo si riunisce per nuovi album e nuove tournée, riuscendo ancora a far capolino nelle parti alte delle classifiche e riempiendo gli stadi in ogni parte del mondo, Italia compresa. Il brand, a quanto pare, non ha età. Nel frattempo, purtroppo, perdono qualche pezzo: Bill Wyman, che per problemi di salute lascia la band nel 1994, e Charlie Watts, che muore nel 2021. Proprio per Charlie, gli Stones sono in sala di registrazione per un nuovo album, dedicato appunto al vecchio batterista insieme alla band sin dal 1963.
Nel 2003 Mick pare aver messo la testa a posto, ripulendosi per benino dalla droga, e dunque può prendersi con merito il titolo di baronetto, lo stesso che negli anni Sessanta era stato assegnato ai presunti nemici Beatles.
Dai suoi esordi burrascosi pare curioso che qualche lustro dopo Mick Jagger dichiari grande stima per una leader politica alquanto rigida come Margaret Thatcher. Ma anche la sua recente adesione al movimento per la difesa dell’ambiente e contro i cambiamenti climatici non pare del tutto in linea con le posizioni della Lady di ferro, nemmeno con quelle del premier conservatore Cameron cui Mick non fece mancare si suo sostegno. E poi c’è quella canzone, Sweet Neo Con, marcatamente contro la guerra, anti-Bush, e che, senza infingimenti, cita la multinazionale Halliburton legata al vicepresidente statunitense Dick Cheney e agli enormi profitti della guerra in Iraq. Parrebbero aperte contraddizioni ma, in definitiva, questo è il rock e Jagger lo incarna perfettamente per quello che è, tutto ed il suo contrario, purché sia strabordante, estremo, eccessivo, come è stata tutta la sua vita.

E anche quella privata non ha mai smesso di essere convulsa. È stato sposato dal 1971 al 1978 con Bianca Pérez-Mora Macias e tra il 1990 e il 1999 con Jerry Hall. Un paio di anni dopo inizia una relazione con la stilista L’Wren Scott, suicida nel 2014. Nel frattempo ha anche 8 figli: Karis con la cantante Marsha Hunt; Jade con la prima moglie Bianca Jagger; Elizabeth, James, Georgia e Gabriel con Jerry Hall; poi Lucas con la modella Luciana Gimenez. Nel 2016 diventa padre per l’ottava volta, di Deveraux, la cui madre è la ventinovenne ballerina Melanie Hamrick.
Nemmeno si nega di far cinema e come attore lo vediamo in Sadismo di Donald Cammell e Nicolas Roeg, girato nel 1968 ma distribuito solo un paio di anni dopo; ne I fratelli Kelly, di Tony Richardson, del 1970; nel film di fantascienza di Geoff Murphy Freejack, del 1992; nel 2001 partecipa a L’ultimo gigolò di George Hickenlooper, al fianco di gente come Andy García, Julianna Margulies, James Coburn e Olivia Williams; lo ritroviamo nel 2019 ne La tela dell’inganno dell’italiano Giuseppe Capotondi al fianco, tra gli altri, di Donald Sutherland e Alessandro Fabrizi. Kubrick aveva persino preso in considerazione di affidargli il ruolo di Alex De Large in Arancia meccanica con gli altri Stones a fare i drughi. Nel film I Flintstones in Viva Rock Vegas lui non c’è, ma Alan Cumming interpreta un tale dal nome evocativo di Mick Jagged che gli somiglia parecchio.
Al prossimo disco, al prossimo tour e ai prossimi compleanni, caro ragazzo.

CREDITI FOTO: Marcel Antonisse|Wikimedia Commons



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