Migranti e chiusura della rotta Mediterranea: Draghi peggio di Salvini

Dal blocco delle ONG alla normalizzazione dei rapporti con la Libia. Il governo Draghi è arrivato dove i precedenti non erano arrivati.

Valerio Nicolosi

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Sorrisi dei carcerieri, migranti che giocano a beach volley o che fanno il bagno al mare, prigioni tirate a lucido come se fosse un cinegiornale dell’Istituto Luce degli anni 30. Per essere degno della propaganda mussoliniana manca solo Dbeibah, il Presidente del Consiglio libico, che gioca con i migranti sulla spiaggia o che pulisce lui stesso le prigioni.

Dbeibah però non compare, in quei giorni era impegnato a Roma per incontrare Mario Draghi, divenuto un partner fondamentale per la transizione democratica della Libia dopo l’insediamento del nuovo governo di Tripoli. Lo spot sulla gestione dei migranti serve a rassicurare l’amico e partner italiano, che a fine conferenza stampa durante le dichiarazioni congiunte dei due premier, dichiara: “ritengo sia un dovere morale ma anche un interesse della Libia assicurare il pieno rispetto dei diritti di rifugiati e migranti” e aggiunge: “L’Italia intende continuare a finanziare i rimpatri volontari assistiti e le evacuazioni umanitarie dalla Libia (…) Continuerà a fare la sua parte in termini di risorse e capacità formative, ma serve un’azione dell’Ue determinata e rapida. Al Consiglio Europeo di giugno, su proposta italiana, la migrazione tornerà al centro dell’attenzione politica”.

Draghi è arrivato dove gli altri non erano arrivati: normalizzare i rapporti con la Libia come se fosse un Paese normale, non in guerra e dove i diritti dei migranti vengono rispettati.

Di colpo sono state rimosse dall’immaginario collettivo le torture e gli abusi che in questi anni abbiamo visto arrivare da immagini rubate con i telefonini, oppure girate dagli stessi carcerieri per chiedere il riscatto alle famiglie d’origine.

I dati dell’UNHCR pubblicati pochi giorni fa parlano di 5.783 persone intercettate e respinte dalla cosiddetta Guardia Costiera Libica e riportate nei centri di detenzione, di questi 457 sono minori e per le leggi internazionali dovrebbero essere tutelati e non imprigionati.

Ma il video dei migranti che giocano a beach volley evidentemente ha rassicurato il governo italiano perché a detta di Draghi: “la collaborazione tra il governo libico e l’Italia continua a essere sempre più fertile e sempre più viva e la giornata di oggi lo dimostra. L’Italia si impegnerà nella costruzione di ospedali in Libia e nell’invio di personale sanitario, oltre a ricevere decine di bambini malati di cancro. Si tratta di una cooperazione sanitaria di ampie dimensioni”. Su queste decisioni forse hanno pesato anche le settimane in cui migliaia di persone sono arrivata a Lampedusa partendo proprio dalla Libia e dalla Tunisia, come se il “metodo Erdogan” di aprire e chiudere le rotte fosse il vero e proprio motore degli investimenti dell’Italia in Nord Africa.

Proprio la Tunisia è l’altro Paese chiave per le partenze, da quando lo scorso anno la classe media ha iniziato a scappare dalla crisi economica portata dal blocco del turismo per la pandemia. Lamorgese prima con il governo Conte e ora con quello Draghi ha messo in campo una serie di investimenti per il pattugliamento delle coste e il respingimento delle persone, oltre che per i rimpatri di chi arriva. L’Italia investe 8 milioni in 33 mesi, soldi destinati soprattutto all’acquisto di nuove motovedette.

L’altra cosa nella quale Draghi è arrivato dove i governi precedenti non erano arrivati, è bloccare la quasi totalità delle navi umanitarie operative in questo momento. Matteo Villa è un ricercatore dell’ISPI e si occupa da tempo della rotta del Mediterraneo centrale. Lo abbiamo sentito per farci spiegare la situazione attuale tra partenze e fermi amministrativi: “Questa forma è la più giuridica e formalmente quella più indipendente, perché arriva dalla magistratura. Con Minniti al Ministero degli Interni la priorità era regolamentare le operazioni di salvataggio, Salvini diceva “io non vi faccio sbarcare” chiedendo alla Guardia Costiera di non indicare il punto di sbarco o di non farle entrare nelle acque territoriali, oggi si agisce con i cavilli burocratici”. Dal 2016 a oggi quello che colpisce è la continuità con la quale i governi, ognuno a modo proprio, ha cercato di fermare l’operato della flotta civile nel Canale di Sicilia ma i risultati sono diversi perché quando Salvini era ministro degli interni le navi umanitarie erano operative in media 1 giorno su 4, mentre con Lamorgese al Viminale la media è passata a 1 giorno su 2. “C’è un minimo di tolleranza in più ma non è tolleranza politica ma solo maggiore la volontà delle ONG di tornare in mare” commenta Villa.

La presenza delle navi da soccorso è sempre stata al centro di critiche perché, secondo molti esponenti di destra, aumenterebbe le partenze dei migranti facendo da fenomeno di attrazione nonostante i numeri del Viminale elaborati dall’ISPI dicano altro: con Salvini Ministro degli Interni i soccorsi delle ONG erano il 12% del totale, mentre il restante 88% erano sbarchi autonomi o soccorsi effettuati dalle autorità. Con la gestione Lamorgese nei governi Conte II e Draghi la differenza è minima perché le ONG hanno effettuato il 14% dei soccorsi mentre il restante 86% sono soccorsi delle autorità o sbarchi autonomi. Un 2% di differenza che incide davvero poco in quella parte di mare.

Di pull factor Matteo Villa se ne è occupato molto in passato smontando le tesi che la destra veicolava attraverso i social network: “sembra banale dirlo ma quello che determina il flusso sono le condizioni atmosferiche. Nel 2021 è aumentato il numero di persone che partivano dalla Libia quando c’erano le ONG ma solo perché le navi arrivavano al largo della Libia quando c’era bel tempo. Questo è stato sfruttato dagli identitari ma in realtà è una stupidaggine. Da più di 8 giorni c’è Geo Barents di MSF, la nave più grande e attrezzata mai messa in mare dalle ONG, ma le partenze dalla Libia sono state inferiori a quelle delle settimane precedenti, semplicemente perché le condizioni atmosferiche non sono buone.” commenta il ricercatore.

Una continuità dal 2016 a oggi, che ha portato a normalizzare le relazioni con la Libia e a estromettere quasi completamente l’operato delle navi umanitarie, non avendo più occhi indipendenti in quel pezzo di mare.



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